Approfondimenti

Il vertice di Anchorage e le evoluzioni nel conflitto ucraino

Il vertice di Anchorage e la ricerca di un nuovo reset tra aspettative, realtà e conseguenze. Le tensioni sul fronte orientale e il riavvicinamento di Trump con Zelensky. Il punto di Giorgio Cella

L'agosto del 2025 verrà ricordato nel calcolo storiografico e nei futuri annali della diplomazia internazionale, come un mese indubbiamente speciale e carico di eventi significativi per gli equilibri di potenza globali in divenire. Un mese che è stato segnato da due eventi diplomatici di notevole importanza sul piano globale: il summit russo-statunitense tra Trump e Putin in Alaska del 15 agosto, di cui ci occupiamo in questa riflessione e, poco dopo, dal 31 agosto al 3 settembre, il vertice della Shangai Cooperation Organization (SCO) a Tianjin in Cina, al quale verrà dedicata prossimamente una analisi a parte. Due incontri che dicono molto sullo stato erratico, fluido e imprevedibile delle relazioni internazionali, del sistema internazionale e dei mutamenti, palesi e meno, che esso sta vivendo.

Il vertice di Anchorage, avrebbe dovuto (potuto?) costituire un punto di svolta sostanziale nell'annoso conflitto ucraino, una guerra che si appresta ad entrare nel suo pericoloso quarto anno di violenza bellica, stesso arco di tempo della Prima Guerra Mondiale; un paragone temporale che chi scrive vuole sottolineare in quanto aiuta a comprendere la situazione di rischio e di gravità del conflitto in corso. Con l’attesissimo summit tra i due presidenti, la stampa internazionale, anche comprensibilmente, ha da subito accennato a un possibile nuovo reset delle relazioni tra Russia e Occidente; un vertice che, quindi, avrebbe guardato ben oltre la mera situazione ucraina, ricalibrando i termini delle relazioni tra i due ex blocchi in un nuovo cammino, con una auspicata co-gestione di vari dossier internazionali e, con la implicita velleità di un conseguente distacco della Russia dall’orbita cinese, dinamica che resta assai lontana dall’avverarsi.

Le difficili relazioni bilaterali russo-statunitensi: una storia di reset

Parlando di reset, si ricorderà, in quella che con gli occhi di oggi pare un'epoca geopolitica remota, quando nel 2009, anche alla luce della destabilizzante guerra russo-georgiana del 2008, Hillary Clinton, al tempo Secretary of State dell'amministrazione Obama, incontrò il suo collega russo Lavrov a Ginevra, in un incontro che la stampa del tempo, sempre con un seppur comprensibile sensazionalismo di fondo, dichiarò la svolta definitiva nei rapporti tra Occidente e Federazione Russa del mondo post bipolare, il tanto atteso reset: quell’azzeramento delle tensioni e criticità geopolitiche tra le due potenze per instaurare un nuovo cammino. Peccato che le cose non andarono esattamente così, per usare un eufemismo, dato che di lì a poco, nel dicembre del 2010, si sarebbe aperta una fase di altissima destabilizzazione e violenta divergenza dei rispettivi interessi strategici con l'avvio delle cosiddette primavere arabe, che scossero l'area mediorientale e dell'Africa settentrionale, con implicazioni e diramazioni globali e in continuità con le problematiche geopolitiche odierne, pensiamo ad esempio al caso siriano. L'incontro del 2009 tra Hillary Clinton e Sergey Lavrov, sebbene occorso in un clima di distensione, era già stato del resto segnato da una sorta di accadimento premonitore, se così lo si vuole definire: emerse infatti che la traduzione russa di reset, stampata sul bottone che Clinton portò a Lavrov come simbolo di tale nuovo corso, recava la scritta in cirillico перегрузка (peregruzka), che significa in realtà sovraccarico, dunque quasi l'opposto del concetto di quel tanto ricercato riavvio sinergico delle relazioni bilaterali (il termine russo corretto per reset avrebbe dovuto essere перезагрузка (perezagruka).

Vertice di Anchorage: un (relativo) bilancio

Tornando ai nostri ancora più turbolenti giorni e tirando le somme riguardo il summit di Anchorage, a distanza di neanche un mese, si può già trarre un relativo bilancio. Per parte russa, il vertice ha costituito una sorta di manna sul piano diplomatico e del riconoscimento internazionale, facendo brillare Mosca come attore di politica internazionale decisivo e ago della bilancia negli equilibri geopolitici mondiali, facendola figurare come quel terzo decisivo attore oltre al duopolio di potenza sino-statunitense oggi de facto in vigore. In un contesto di sorrisi, strette di mano, tappeti rossi e in un clima generale definibile financo come amichevole, il presidente statunitense ha fornito a Mosca - nonostante le problematiche militari sul campo in oltre tre anni di operazione militare speciale in Ucraina (come definita dal Cremlino) - una legittimazione globale che, conseguentemente, mette in difficoltà l’Unione Europea sia su un piano macro che sulla specifica questione ucraina. Rimane, quantomeno, una salda comunicazione e una qualche coordinazione sull’assistenza a Kiev tra le due sponde dell’atlantico. Difatti, nonostante le soventi rimostranze pubbliche di Trump nei confronti di Zelensky, rimane tuttavia la volontà americana di fondo di tenere le redini della diplomazia circa una potenziale ricomposizione del conflitto, mentre, sul lato militare e in un futuro scenario di garanzie di sicurezza, la diplomazia statunitense fa capire che saranno gli Stati dell’Unione Europea a dover divenire in futuro garanti, sul campo, di tali garanzie di protezione e sicurezza a Kiev. Tornando al vertice, il trattamento riservato al presidente russo in Alaska, esaudisce altresì una costante volontà della diplomazia russa, ossia quella di negoziare in modo diretto e alla pari con la superpotenza americana. Questi dati, sommati alla automatica esclusione ai tavoli del negoziato di delegazioni dell'Unione Europea e dell’Ucraina ad Anchorage, ha prodotto senz’altro una indubbia win-win situation per il Cremlino.

In questo relativo bilancio conclusivo, per parte americana, si può invece cogliere l’inizio di un qualche reale ripristino delle relazioni con la Russia di Putin; una policy sovente riaffermata da Trump, in una chiara ottica di politica estera che rompe con le passate amministrazioni (sia democratiche che neo-con) e che, dall’altro lato, ribadisce la sua (malcelata?) fascinazione verso la figura dell’uomo forte del Cremlino. In questo primo inizio di nuove relazioni, si è trattato circa una più ampia futura cooperazione commerciale; su un piano invece eminentemente geopolitico, come indica la scelta stessa del luogo d’incontro da parte della amministrazione Trump, si è trattato anche di cooperazione per la strategica e ambita regione artica. Durante la conferenza stampa congiunta infatti, Putin ha dichiarato che "la cooperazione nell'Artico e la ripresa dei contatti interregionali, anche tra l'Estremo Oriente russo e la costa occidentale degli Stati Uniti, appaiono rilevanti". Trump, dal canto suo, non ha specificamente menzionato l'Artico nel suo discorso ma, come accennato, l'iniziativa della sua amministrazione di ospitare l'incontro in Alaska, oltre che simbolica, è indicativa di una volontà di cooperazione tra Stati Uniti e Russia, e di come tale quadrante geopolitico possa costituirne un elemento rilevante.

L’incontro alle Nazioni Unite con Zelensky e l’ultima giravolta pro Ucraina di Trump

Rimanendo su questioni politico-militari, la crisi ucraina nel summit di Anchorage non sembra avere prodotto significativi successi, per usare un eufemismo. I bombardamenti di varie aree dell’Ucraina da parte di droni e missili russi sono difatti continuati nelle settimane successive, come parallelamente sono continuati gli scontri nei territori contesi dell’Ucraina sud-orientale. Evaporata anche l’idea di un cessate il fuoco in Ucraina per il futuro prossimo, non voluto e sostanzialmente ignorato da Putin, nonostante fosse stato descritto come un elemento fondamentale da raggiungere in quel di Anchorage. Altro vantaggio per Putin, dunque, come lo è stata anche l’evaporazione di un’altra assertiva istanza trumpiana, ossia ulteriori sanzioni statunitensi in caso di mancata volontà di fermare la guerra in Ucraina. Sanzioni che, tuttavia, in un continuo cambio di visione nella erratica politica estera dell’amministrazione Trump II, potrebbero ora divenire nuovamente realtà in seguito all’incontro tenutosi nei giorni scorsi tra Trump e Zelensky nella sede delle Nazioni Unite a New York. Quest’ultimo incontro ha infatti costituito il momento di più forte sintonia tra i due presidenti, portando Trump a dichiarare (in un post su Truth) che Kiev ha le capacità di riconquistare tutti i territori occupati militarmente dalla Russia, e che quest’ultima si è dimostrata in questi anni di guerra ucraina una tigre di carta. Parole che pesano, specie se indirizzate al Cremlino, che da sempre ha come stella polare in politica estera la ricerca di uno status di potenza globale. Trump ha inoltre sottolineato, nello stesso messaggio, le criticità crescenti della Russia sul piano economico-finanziario. Che si tratti di tattica negoziale, di provocazioni verbali per scoprire le reazioni di Mosca o di un sostanziale cambio di postura nei confronti di Mosca, lo dirà solo l’avvenire prossimo. Un indizio reale, invece, di come la postura di Washington circa il conflitto russo-ucraino potrebbe evolvere, lo si trova analizzando più a fondo lo stesso post sopra menzionato: Trump ha invero fatto intendere come il possibile recupero dei territori occupati potrà avvenire tramite il supporto attivo dell’Unione Europea, mentre Washington si limiterà all’invio di armamenti. Questa dinamica sembra segnalare un futuro disimpegno militare degli Stati Uniti in Ucraina ma, allo stesso tempo, la volontà di Washington di rimanere protagonista assoluto del negoziato diplomatico: il ruolo centrale nella assistenza diretta a Kiev spetterà invece all’Europa.

Siamo partiti dalle sintonie agostane di Anchorage per giungere ai più recenti sviluppi settembrini che sembrano contraddire alcune delle premesse stesse di tale summit. Per chiudere il cerchio del rapido mutamento dal vertice in Alaska a oggi, il 24 settembre, proprio al largo dell’Alaska, quattro aerei militari russi sono stati identificati e intercettati da aerei da combattimento coordinati dal Comando di difesa aerospaziale nordamericano: in campo filosofico si parlerebbe di una eterogenesi dei fini.

Approfondimenti

I sondaggi, le scelte dei Democratici e il Midterm 2026

Tra sondaggi e prospettive elettorali verso il Midterm 2026, cosa si muove nella politica americana? Il punto di vista di Stefano Marroni

Leggi l'approfondimento
Approfondimenti

La Libia sull'orlo del conflitto

Il ruolo dell'Italia tra diplomazia e deterrenza. Il punto di Daniele Ruvinetti

Leggi l'approfondimento
Approfondimenti

Dalla Ukraine Recovery Conference a Roma ai negoziati di Istanbul

Dinamiche ed evoluzioni della crisi ucraina nell’analisi di Giorgio Cella.

Leggi l'approfondimento