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Da Algeri allo Zimbabwe, così l’Iran si muove in Africa

Nel tentativo di uscire dall’isolamento internazionale, l’Iran ha avviato da tempo una sua strategia di penetrazione in Africa, che punta sulla presenza politica ed economica in alcuni paesi. L’analisi di Emanuele Rossi

L’attuale crisi in Medio Oriente, unita all’ascesa al potere di diversi leader favorevoli alla Repubblica islamica o ai suoi alleati, come la Russia, rappresenta un combinato capace di determinare un’occasione irripetibile, per Teheran, per contrastare gli sforzi degli Stati Uniti tesi a isolarla sul piano internazionale. L’Africa è diventata da tempo un quadrante geostrategico che la Repubblica islamica cerca di usare per questi suoi obiettivi.

Per esempio, già a fine 2023, l’Iran ha firmato diversi accordi di cooperazione con il Burkina Faso in materia di energia, pianificazione urbana, istruzione superiore oppure, alla fine di gennaio, ha annunciato la creazione di due università in Mali, firmando contemporaneamente alcuni accordi di cooperazione. Due passaggi che hanno rivitalizzato la politica africana dell’Iran, caratterizzata da un linguaggio khomeinista e terzomondista, e una ideologia anti-imperialista.

Il presidente iraniano Ebrahim Raisi, che ha visitato il continente l’anno scorso, “ha elogiato la resistenza dei paesi africani contro la colonizzazione come simbolo del loro risveglio e vigilanza”. Per ora gli accordi iraniani hanno un’implementazione limitata, anche perché non hanno i finanziamenti necessari per essere sostenuti, né per competere seriamente con medie potenze simili come la Turchia — che per dimensioni è un potenziale competitor iraniano, mentre le grandi potenze (Russia, Cina, Usa e Ue) giocano su una categoria superiore.

Però, ci sono attività altamente sensibili che Teheran sta portando avanti. Infatti, avendo aumentato la produzione di uranio arricchito al 60 per cento, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, potrebbe alla fine bramare le enormi riserve di uranio del Niger — finora sfruttate dalla società francese Orano. Questa è una delle ragioni per cui le tensioni tra Niamey e Washington sono aumentate fino alla recente rottura pubblica dell’accordo di cooperazione sulla sicurezza.

Altro passaggio significativo di questo nuovo impegno africano è arrivato a febbraio con la visita ufficiale, dopo 14 anni, di Raisi in Algeria. L’Iran sembra impegnato nel costruire la sua “Africa strategy” riprendendo un percorso tracciato in parte dalla presidenza Ahmadinejad.

Teheran può far parte del menù delle alternative a cui certi Paesi africani intendono accedere. Sebbene meno forte degli altri promotori del modello che contrasta quello democratico — Mosca e Pechino — ha i suoi strumenti e peculiarità. A cominciare dall’industria militare, le cui dimostrazioni di capacità sono quasi quotidiane, con gli Houthi che usano droni e missili di fabbricazione iraniana, in una campagna militare intrisa dell’ideologismo della “resistenza”. Prerogativa di una narrazione anti-occidentale che nella Repubblica islamica khomeinista trova un centro di propagazione. “Il vantaggio di un mondo multipolare è che non esiste un solo centro decisionale”, spiegava il presidente senegalese Macky Sall, presidente dell’Unione Africana fino a febbraio 2023, che proprio nei giorni in Raisi era ad Algeri decideva arbitrariamente di rimandare le elezioni nel suo Paese (poi tenute, con sconfitta di Sall). E nel dire poi che “quando c’è un solo centro diventa un diktat, non hai scelta” cercava sponde in un modello di visione del mondo differente rispetto a quello democratico occidentale, che lo aveva criticato per la scelta sul voto.

In Algeria, paese in passato tra i leader del movimento dei “non-allineati”, Raisi ha trovato intesa su diversi punti comuni, elevando il ruolo iraniano nel continente, attraverso accordi con uno dei Paesi più importanti dell’Africa. Algeri recentemente si è anche intestato il ruolo di centro dell’opposizione araba alla normalizzazione dei rapporti con Israele.

La partecipazione dell’iraniano al 7° Vertice dei Capi di Stato e di Governo del Forum dei Paesi esportatori di gas è stata durante la visita in Algeria la cornice simbolica. Il Forum del gas è un’organizzazione intergovernativa composta dai principali Paesi esportatori di gas del mondo: Algeria, Bolivia, Egitto, Guinea Equatoriale, Iran, Libia, Nigeria, Qatar, Russia, Trinidad e Tobago, Emirati Arabi Uniti e Venezuela. Ufficialmente istituita nella sua forma attuale nel dicembre 2008, nel quadro delle dinamiche che l’organizzazione intende gestire Teheran ha un ruolo non secondario. L’Iran detiene attualmente le seconde riserve di gas naturale al mondo dopo la Russia, stimate in 33.988 miliardi di metri cubi — per confronto, l’Algeria, primo fornitore di un Paese del G7 come l’Italia, ne detiene 4.504 miliardi di metri cubi, circa un ottavo.

I rapporti tra Iran e Algeria hanno avuto una storia travagliata. L'Algeria ha interrotto le relazioni diplomatiche con l'Iran nel 1993, dopo aver accusato Teheran di sostenere l’opposizione islamista che combatteva il governo algerino dell'epoca. Sono state poi ripristinate nel 2000. Da allora, i due Paesi hanno lavorato per approfondire i loro legami in vari campi, fino ad arrivare alla decisione, durante la visita del ministro degli Esteri algerino Ahmed Altaf a Teheran nel luglio 2023, a concordare di porre fine alla necessità di visti politici e di smettere presto di richiedere visti per qualsiasi viaggiatore.

La firma di altri accordi bilaterali nelle scorse settimane ricorda quando nel settembre 2010 il presidente Mahmoud Ahmadinejad fece una breve sosta nella capitale algerina su richiesta espressa della leadership di Abdelaziz Bouteflika, nonostante in quel periodo fosse un leader piuttosto isolato dall’Occidente. Inoltre, in occasione di una conferenza stampa, il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha dichiarato che i legami tra Iran e Algeria sono “sulla strada giusta” e ha espresso la disponibilità del suo Paese a espandere la cooperazione bilaterale nei settori della scienza e della tecnologia, dell’agricoltura, della medicina e delle attrezzature mediche, del turismo, dell’industria e delle miniere. Soprattutto, al fondo c’è un messaggio politico: Algeri sostiene il diritto dell’Iran di sviluppare il nucleare civile. Stesso diritto che chiedono altri Paesi africani (di cui Algeri intende essere in qualche modo riferimento ideologico) che avviano partnership commerciali con le aziende del mondo atomico russo e cinese.

Per Teheran, lo sforzo verso l’Africa può servire anche a questo. Sotto il peso dell’isolamento internazionale imposto dalle sanzioni statunitensi — meccanismo che molti Paesi africani contestano, perché americano-centrico e perché temono di poterne finire vittime in funzioni di comportamento non encomiabili — lo sfogo commerciale africano può essere una delle soluzioni. E i collegamenti ideologici diventano strumento utile per fini pragmatici. Per esempio, a maggio 2023 funzionari iraniani hanno iniziato a lavorare per convincere che la giunta maliana che una (proficua) collaborazione con Teheran sarebbe stata utile per combattere i gruppi armati sunniti (IS su tutti) che stanno insorgendo nel Sahel. Armi, come i droni già passati ad altre organizzazioni in Medio Oriente, possono essere utili per le necessità di Bamako.

Nel luglio 2023, Raisi ha intrapreso un tour africano che lo ha portato in Kenya, Uganda e Zimbabwe, dove ha firmato un totale di 21 accordi in vari settori, tra cui petrolio ed energia. In questi mesi, l’Iran ha ripristinato le relazioni con il Sudan. Nell’ottobre 2023, dopo una rottura durata sette anni, è tornato il dialogo e il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, ha visitato Khartoum all’inizio di febbraio, l’Iran starebbe fornendo droni all’esercito sudanese nella lotta contro le forze paramilitari (Rsf, Rapid support forces) ed emergono voci sulla richiesta di poter sfruttare la base militare di Port Sudan sulle coste sudanesi nel Mar Rosso (ambito anche da Mosca).

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