Dalla diplomazia funeraria in Vaticano all’accordo tra Stati Uniti e Ucraina per le risorse minerarie.
L’evoluzione dei negoziati sul conflitto in Ucraina nell'analisi di Giorgio Cella

Alla luce dei vari colloqui tenutisi ai margini dei funerali del Pontefice Francesco - su tutti quello tra Trump e Zelensky, immortalati dalla relativa foto a San Pietro già entrata nell’immaginario collettivo - il presidente della Repubblica Federale Tedesca Steinmeier aveva consigliato, in una comprensibile prudenza diplomatica, di non riporre troppe aspettative in tali dinamiche di diplomazia funeraria. Il procedere della storia sembra tuttavia indicare che qualche passo in avanti negoziale sul conflitto in Ucraina - quantomeno nella dimensione bilaterale dei rapporti ucraino-statunitensi - si stia materializzando, in parte come prodotto proprio dei colloqui tenutisi nella splendida cornice di San Pietro. Il riferimento va naturalmente alla notizia del raggiungimento di un accordo tra Stati Uniti e Ucraina per lo sfruttamento delle risorse minerarie critiche e delle terre rare del territorio ucraino. A conferma della scia positiva derivante dai colloqui occorsi in Vaticano, è lo stesso presidente Zelensky che ha espresso la sua soddisfazione per l'accordo raggiunto con la controparte americana: "Abbiamo ora il primo risultato dell'incontro in Vaticano, il che lo rende davvero storico. Attendiamo con ansia anche gli altri risultati di quel colloquio".
Veniamo ora ai contenuti di questa intesa strategica tra Kiev e Washington. L'accordo copre una lista di 57 risorse naturali, tra cui alluminio, grafite, petrolio e gas naturale. Al centro del nuovo patto tra Stati Uniti e Ucraina - definito dal presidente ucraino come un accordo equo, oltre che, come detto, storico - c’è l’idea del Fondo di investimento per la ricostruzione: un fondo che verrà gestito in modo paritario tra le due parti e supervisionato in forma congiunta, mentre i profitti derivanti dalle risorse minerarie saranno reinvestiti esclusivamente in Ucraina. Altro obbiettivo importante raggiunto da Zelensky, sta nel fatto che l’Ucraina non dovrà ripagare i tre anni di assistenza militare e finanziaria che gli Stati Uniti le hanno fornito, come invece in un primo momento sembravano indicare le dichiarazioni in questo senso perentorie di Trump. Kiev manterrà inoltre il controllo del sottosuolo e delle risorse naturali, mentre andrà a Washington un diritto di prelazione sui diritti di estrazione mineraria in Ucraina, garantendo così agli Stati Uniti l’accesso a quelle bramate terre rare e a quei minerali critici che il presidente statunitense aveva da tempo identificato come una priorità strategica per Washington.
Venendo ora ai riflessi geopolitici e alle ricadute di sicurezza relative a questa nuova sinergia collaborativa tra Stati Uniti e Ucraina, si noti in primis come la qualità del rapporto bilaterale tra i due presidenti - dopo le tensioni esplose nell'incontro verbalmente conflittuale tra i due leader alla Casa Bianca dello scorso febbraio, in un altro momento diplomatico divenuto anch'esso iconico - sembra aver preso una nuova traiettoria. Tale patto strategico sembra infatti aver anche segnato un miglioramento della posizione di Zelensky, ricalibrando il proprio status agli occhi di Trump e della sua amministrazione, ridestando la sua figura sia in Ucraina, sia agli occhi della comunità internazionale. La nuova partnership rilancia perciò la presenza e la proiezione politica degli Stati Uniti in Ucraina e, di riflesso, quantomeno sul piano della percezione, in tutta l’Europa centro-orientale. Il nuovo patto strategico delinea per Kiev una sorta di roadmap di ampio respiro e di lungo termine per la ricostruzione, e configura una sorte di Piano Marshall per il Paese spossato da oltre tre anni di conflitto. Il cambio di postura di Washington riguardo Kiev, traspare anche dalle parole del ministro al Tesoro statunitense Scott Bessent, il quale ha dichiarato come “questo accordo segnala chiaramente alla Russia che l'amministrazione Trump è impegnata in un processo di pace incentrato su un'Ucraina libera, sovrana e prospera a lungo termine. E per essere chiari, a nessuno Stato o persona che abbia finanziato o fornito la macchina bellica russa sarà consentito di beneficiare della ricostruzione dell'Ucraina". Toni e parole che segnano allo stesso tempo un cambio di approccio anche nei rapporti con Mosca: un linguaggio ben più diretto, in contrasto con i messaggi di piena intesa e distensione sinora adottati dall’amministrazione Trump verso il presidente russo. Restano invece sospese le questioni prettamente militari riguardanti i futuri meccanismi di difesa dell’Ucraina, ossia le famose garanzie di sicurezza (security guarantees) che vengono però, in maniera alternativa e parziale, fornite tramite l’ingresso nel Paese di svariate aziende e annesso personale statunitense che, nel pensiero di Trump, faranno esse stesse da elemento di sicurezza e inviolabilità territoriale per Kiev, prevenendo nuove potenziali offensive russe in territorio ucraino. Rimane invece esclusa la possibilità per Kiev di accesso nell’Alleanza Atlantica, ma vengono lasciate aperte le porte per una futura possibile adesione all’Unione Europea. Sulla scia di questo nuovo accordo, per quanto concerne l’aspetto securitario - oltre alla suddetta futura presenza in loco di aziende e personale statunitense - viene altresì ripreso l’invio di aiuti militari a Kiev, con l’invio di armamenti per oltre 50 milioni di dollari: il primo finanziamento di armi per gli ucraini da quando Trump ha iniziato il suo secondo mandato lo scorso gennaio. Altra sorpresa in questo mutamento di approccio dell’amministrazione Trump verso il conflitto russo-ucraino, è la possibile ripresa anche di nuove sanzioni alla Russia, come caldeggiato dall’influente senatore repubblicano Lindsay Graham, con una proposta di bone-crushing sanctions per Mosca, nel caso in cui Putin non si decidesse a trovare una soluzione negoziale condivisa insieme al presidente statunitense. Si direbbe, per alcuni aspetti, quasi un ritorno alle classiche linee di politica estera degli Stati Uniti, dunque un ritorno alle dottrine della precedente amministrazione Biden.
Se da un lato si sono registrate tali nuove sinergie, dall’altro, ossia nei rapporti tra Kiev e Mosca, la situazione rimane di grande tensione. Infatti, in merito alle celebrazioni del prossimo 9 maggio a Mosca per l’ottantennio della vittoria della Russia sulla Germania nazista, il presidente ucraino ha affermato di “non poter garantire la sicurezza dei capi di Stato e di governo che si recheranno a Mosca”, tra i quali vi sarà anche, tra gli altri, il presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping. Zelensky ha così argomentato la sua dichiarazione: “Non si sa cosa la Russia intenda fare in quella data. Potrebbe prendere varie misure, come incendi o esplosioni, per poi accusare noi”. La risposta del Cremlino ad ogni modo non si è fatta attendere, tramite l’ormai abituale tono apocalittico dell’ex presidente e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, Dmitrij Medvedev: "nel caso di una vera provocazione nel Giorno della Vittoria, nessuno può garantire che il 10 maggio arriverà a Kiev". In aggiunta a questi toni estremamente conflittuali, in un turbinio di dichiarazioni che possono disorientare l’opinione pubblica, Donald Trump ha affermato in una recente intervista alla NBC che “forse la pace in Ucraina è impossibile, per via dell’odio tremendo tra Putin e Zelensky”. Da ultimo, in questa infinita ridda di dichiarazioni, si segnala altresì da parte del Cremlino la volontà di un possibile futuro vertice tra Putin e Trump e, secondo le parole stesse del presidente russo, l’apertura per una futura coesistenza con la nazione ucraina: “È solo questione di tempo, ma la riconciliazione con il popolo ucraino è inevitabile “.
In conclusione, è possibile affermare che il mutamento in corso della visione strategica statunitense sin qui tratteggiato impatterà sugli equilibri e sui rapporti di forza del conflitto, tramite un riorientamento sinergico di Washington verso Kiev e, per contro, verso Mosca. Difatti, sebbene nel momento in cui scriviamo non vi siano ancora dichiarazioni ufficiali in merito all’accordo rilasciate dal Cremlino, è plausibile ritenere che tale nuova partnership ucraino-statunitense e le annesse dichiarazioni della diplomazia a stelle e strisce non siano state apprezzate dal potere russo, come indicano le parole del già citato Dmitrij Medvedev, il quale ha infatti dichiarato come “l’Ucraina sarà ora costretta a pagare gli aiuti statunitensi con le proprie risorse minerarie”, per poi definire l’Ucraina come “un Paese che sta scomparendo”. Al netto di tutto quanto sin qui ricostruito, è altresì chiaro come un cessate il fuoco sia tuttora lontano e come un trattato di pace sembra essere a oggi un miraggio. Infatti, secondo recenti dichiarazioni del vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance rilasciate all’indomani dell’accordo siglato con Kiev, la guerra tra Russia e Ucraina non è destinata a finire in tempi brevi e, ha aggiunto, come spetti ora ai rispettivi governi di Russia e Ucraina fare concreti passi in avanti per la risoluzione del conflitto. Considerazioni che, se comparate alle semplicistiche dichiarazioni elettorali di Trump riguardo una soluzione del conflitto in 24 ore, ci dice molto, ancora una volta, circa la volatilità della sicurezza internazionale e della notevole complessità della realtà geopolitica globale dei nostri tempi.