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Di cosa si potrebbe discutere nel prossimo vertice dei BRICS

I principali argomenti in discussione nell’agenda del prossimo vertice dei Brics nell’analisi di Emanuele Rossi

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I consiglieri di sicurezza nazionale (o pari ruolo) di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica si sono incontrati il 25 luglio in preparazione del vertice che i BRICS, terranno al Sandton Convention Centre di Johannesburg alla fine del prossimo mese. Che ci siano una serie di Paesi — circa 40 tra richieste formali e proposte — interessati a entrare nell’associazione che raggruppa cinque dei più importanti Paesi “ex-emergenti” (Russia, Cina e India sono ormai emersi a livello globale come potenze) è indicativo del valore percepito dei BRICS. E che ai Paesi che ambiscono a un posto nell’organizzazione si siano aggiunti tra il 2022 e il 2023 Algeria, Argentina, Bangladesh, Bielorussia, Egitto, Etiopia e Iran è indicativo dei tempi. I BRICS sono visti da una parte di mondo estesa a tutte le longitudini come un riferimento ambito. E innanzitutto a quella parte di mondo intendono parlare.

Se la sicurezza (in tutte le dimensioni in cui può essere applicata) è stato il fulcro delle discussioni preliminari della scorsa settimana, la questione di fondo del summit generale, che si terrà in Sudafrica dal 22 al 24 agosto, sarà proprio il tema dell’allargamento dell’organizzazione: perché rappresenta la possibilità di fare pressione sull’asse Usa-Ue proponendosi come alternativa politica e finanziaria.

L’attuale sistema dei BRICS rappresenta il 42% della popolazione mondiale e detiene l’equivalente del 31,5% del Pil globale, contro il 30,8% delle economie ricche nel club del G7. Figurarsi se dovesse inglobare economie come quella saudita o indonesiana e collettività come quella bengalese, etiope o egiziana.

Sul valore di questo allargamento in corso si è espresso abbastanza chiaramente il capo della diplomazia del Partito Comunista cinese, Wang Yi (da poco tornato anche ministro degli Esteri, dopo la sostituzione del diplomatico Qin Gang, per epurazione o motivi di salute). Wang al vertice securirario dei BRICS ha ripetuto una retorica nota, che incastra le grandi iniziative del leader cinese Xi Jinping con i progetti del Global South, di cui i BRICS intendono essere punto di riferimento. Secondo questa strategia sino-centrica, la Repubblica popolare dovrebbe rappresentare il modello che quella consistente parte di mondo dovrebbe seguire. Pechino è “un membro ex-officio del Global South e sarà sempre un membro della grande famiglia dei paesi in via di sviluppo”, come ha ricordato l’ambasciatore cinese Jia Guide riprendendo su Twitter la narrazione di Wang (seguendo quanto fatto da altri colleghi diplomatici cinesi secondo quella che era evidentemente un’indicazione del Partito/Stato). Ma la Cina allo stesso tempo è anche una consolidata potenza globale, innegabilmente riconoscibile e per tale ragione ambisce alla centralità assoluta. Sottinteso, secondo questa impostazione, i BRICS e gli interlocutori non avrebbero bisogno di seguire il modello proposto dalle organizzazioni multilaterali internazionali guidate storicamente dall’influenza occidentale, ma dovrebbero esserne alternative, se non competitive. In definitiva, cambiare l’attuale ordine internazionale. Un messaggio che le capitali dei BRICS — e di molti degli aspiranti membri e interlocutori — sentono piuttosto come proprio, nonostante intrattengano pragmatici rapporti con Stati Uniti, Unione Europea o Giappone e Corea del Sud.

Quello che Wang a nome della Cina ha proposto è un piano di cooperazione globale basato su quattro punti, i quali incontrano consensi nei principi — per quanto vaghi. Sull’attuazione con caratteristiche cinesi di questo piano ci sarà da vedere, ma intanto val la pena osservare lo schema della proposta. Innanzitutto, eliminare i conflitti e ripristinare la pace, considerato un concetto comune per la sicurezza del fragile Sud globale, attraverso una (non specificata) riforma dell'architettura di sicurezza internazionale che promuova la soluzione politica delle controversie secondo il principio cinese di “comunità per l'umanità”. È attorno a questi concetti che ruota il vago impegno cinese per la pace in Ucraina.

Poi Pechino vuole promuovere chiaramente lo sviluppo del Global South come centro dell'agenda internazionale dei BRICS, attraverso una partnership il più ampia possibile, che legittimi le aspirazioni dei singoli Passi e muova nuovi fattori di sviluppo su cui i Paesi più forti devono fornire assistenza. Da qui il terzo tema, il progresso comune: l’umanità, per l’interpretazione che la Cina intende spingere, è accomunata da una sana diversità e per questo non servono ideologie e scontri di campo. Il messaggio è incoerente con le campagne di rieducazione cinesi in corso contro i musulmani nello Xinjiang e denunciate dalle associazioni per i diritti. Ma è efficace nella narrazione secondo cui tutti i paesi hanno diritto di esplorare i propri percorsi di sviluppo e sistemi sociali.

Sulla base di queste prime tre concettualizzazioni, la Cina promuove unità e cooperazione tra i BRICS attraverso sistemi estensivi di consultazioni e condivisone, dove l’obiettivo è il beneficio comune dell’ottica win-win, ma è evidente che con molti interlocutori Pechino sposti un peso sbilanciato a proprio favore. In questo, quando Wang dice di opporsi all’egemonia e alla politica di potere e sostenere il ruolo attivo delle Nazioni Unite negli affari internazionali in parte non è sincero del ruolo reale che la Cina occupa nel mondo, dove per dimensioni ha chiaramente atteggiamenti egemonici. Ma Pechino usa questa narrazione contro le regole del mercato internazionale, il potere del dollaro, l’influenza occidentale sulle istituzioni finanziare globali, la volontà di condizionare il corso degli affari del mondo sulla base di principi ideologici (democratici). Tutti argomenti che sembrano attecchire tra i BRICS.

Spesso questo genere di narrazioni — e lamentale propagandistiche — sono usate da alcuni Paesi appartenenti al Global South per giustificare malgoverni autoritari, corrotti e sfruttatori. Attaccare l’Occidente, accusarlo di ogni genere di problema e di malefatte storiche (reali o presunte) è un ottimo giustificativo. Un nemico su cui far ricadere le responsabilità di azioni di governo deboli e inefficaci, di contrazioni delle libertà in nome della sicurezza, di protezioni del sistema di potere a esclusione delle masse. In linea di massima l’aumento del valore geostrategico e geopolitico del Global South non si sta abbinando a un’evoluzione sui temi di diritti e libertà. Ma questo che per l’Occidente è un problema, altrove (a Pechino e a Mosca come a Dacca o Teheran) non è percepito come tale.

Al vertice che tra il 22 e il 24 agosto verrà ospitato a Johannesburg non ci sarà Vladimir Putin, su cui pende un mandato di arresto da parte della Corte Penale Internazionale — accusato, come noto, di crimini di guerra riguardo alla deportazione di bambini ucraini. Il presidente russo ha fatto un passo indietro lasciandosi sostituire dal suo ministro degli Esteri, ma non prima di aver portato il Sudafrica sul punto di una clamorosa scelta tra l’ospitare il leader del Cremlino e l’uscita dalla Corte (Pretoria sembrava anche valutare la seconda opzione). Ed è un altro passaggio significativo che ha accompagnato questo vertice. Risolto l’affaire Putin, e con la riunione della scorsa settimana, i temi sul tavolo sono diventati più evidenti.

L’agenda dell’incontro è dettata dalla narrazione promossa da Pechino, anche se ci sono Paesi come l’India che intendono marcare le distanze dalla Cina, e spingere un proprio bouquet di interessi. In ballo c’è anche una serie di discussioni sulla creazione di un polo valutario alternativo al dollaro. Ipotesi attualmente complicatissima da realizzare, su cui non si dovrebbe parlare formalmente. Ma la brasiliana Djilma Roussef, presidente della New Development Bank (la banca dei BRICS), ha recentemente incontrato Vladimir Putin sul tema. Per Mosca la de-dollarizzazione significa andare contro alle sanzioni imposte dall’Occidente, tant’è che il Cremlino sottolinea che “i nostri Paesi (detto nel senso dei BRICS, ndr) stanno aumentando l'uso delle valute nazionali nei loro accordi reciproci”. Ma non c’è solo Mosca interessata.

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