DRC-Rwanda: il valzer di guerra e pace che riecheggia a Lobito
Il processo di pace del Congo orientale ha compiuto un ulteriore passo in avanti, ma l’obiettivo finale non sembra ancora a portata di mano. L'analisi di Corrado Čok

Il 27 giugno, i ministri degli Esteri della Repubblica Democratica del Congo (RDC) e del Rwanda hanno firmato un accordo di pace sotto l’egida di un'amministrazione statunitense particolarmente assertiva. L’intesa definisce i punti operativi per risolvere alcune questioni fondamentali del conflitto e da seguito a due accordi preliminari, mediati da Stati Uniti e Qatar a marzo e aprile, che avevano già ridotto gli scontri diretti tra l’esercito congolese e le forze ruandesi. Tuttavia, alla fine di aprile, le forze ruandesi restavano ancora presenti su territorio congolese con circa 1.000-1.500 soldati, dispiegati assieme al gruppo armato M23. Il presidente della RDC, Félix Tshisekedi, e quello del Rwanda, Paul Kagame, sono attesi ora a Washington per la firma ufficiale di quello che è stato anticipato come l’“Accordo di Washington”. Il conflitto nell’Est del Congo, a cui si cerca di porre fine, è il più sanguinoso dalla Seconda Guerra Mondiale, con un bilancio stimato di circa sei milioni di vittime dal 1997 ad oggi.
La pressione americana è stata determinante per ottenere questo risultato. I minerali sono stati il principale — se non l’unico — catalizzatore dell’attenzione degli Stati Uniti sul processo di pace nell’Est del Congo. Una parte sostanziale dell’accordo getta infatti le basi per l’ingresso di aziende minerarie statunitensi nell’Est congolese, ricco di materie prime tra cui il cobalto, il coltano, la manganese, il rame, con l’obiettivo di contrastare il predominio cinese nelle catene globali di approvvigionamento dei minerali critici. Il patto prevede anche la creazione di un quadro di integrazione economica regionale per facilitare investimenti infrastrutturali e industriali e sviluppare catene del valore minerario transfrontaliere. Durante la conferenza stampa seguita alla firma, il consigliere speciale USA per l’Africa, Massad Boulos, ha citato anche gli investimenti americani nel Corridoio di Lobito. Questo ricorda come il progetto di Lobito rientri nella regione dei Grandi Laghi e ne condivida quindi le fragilità geopolitiche.
Un accordo vacillante
Diversi ostacoli rischiano di compromettere l’“Accordo di Washington”. Il primo riguarda il ritiro delle truppe ruandesi, previsto entro 90 giorni, ma l’accordo menziona solo marginalmente l’M23 — il gruppo armato sostenuto dal Rwanda che ha riacceso il conflitto con il governo nel 2022, conquistando diverse aree strategiche, tra cui due capoluoghi provinciali e importanti zone minerarie. Il dossier M23 è affidato a un negoziato separato in Qatar, ma dopo un’intesa preliminare raggiunta ad aprile, non ci sono stati progressi concreti. Anzi, i ribelli hanno continuato ad avanzare sul terreno.
Un altro grande assente nell’accordo sono i Wazalendo, una rete informale di milizie che il governo congolese ha armato per affiancarle all’esercito nella lotta al M23. Oggi rappresentano la principale forza anti-M23, ma operano perlopiù al di fuori del controllo di Kinshasa, rendendo ancora più difficile la gestione politica o militare di un cessate-il-fuoco.
L’unico gruppo armato trattato in dettaglio nel testo dell’accordo è quello delle Forces Démocratiques pour la Liberation du Ruanda (FDLR), partorito dai responsabili del genocidio ruandese del 1994, che da anni trovano rifugio nell’Est del Congo. L’accordo prevede un piano (il CONOPS) per smantellare il gruppo e una piattaforma di sicurezza congiunta per seguirne l’attuazione. ll Ruanda ha indicato le FDLR come una minaccia esistenziale alla propria sicurezza, sufficiente a giustificare i suoi interventi militari nella RDC dal 1997 in poi. Tuttavia, le FDLR sono oggi un gruppo marginale ed in parte fuso con i Wazalendo. Quest’ultimo fattore complica ulteriormente le operazioni militari congolesi volte ad eradicarlo, dato che qualsiasi spaccatura interna al fronte governativo verrebbe probabilmente sfruttata dal M23 per ulteriori avanzate.
Insistendo sull’eliminazione delle FDLR ma sorvolando sulla questione del M23, l’accordo sembra soddisfare in larga misura le richieste del Ruanda. Questo riflette sia l’efficacia diplomatica di Kigali, sia la volontà americana di evitare un coinvolgimento militare di alcun genere a scapito delle speranze di Kinshasa di ottenere un sostegno più incisivo da parte di Washington.
La ministra degli Esteri congolese ha dichiarato l’intenzione del governo di concludere un accordo parallelo con il M23 prima della firma definitiva dell’“Accordo di Washington”. Ma con poco tempo e scarso progresso da aprile in avanti, è probabile che si arrivi solo a una nuova intesa preliminare utile più a rassicurare Washington che a risolvere davvero le questioni aperte — come il ruolo dei Wazalendo o la gestione delle risorse estratte nelle aree controllate dal M23. E questi restano nodi potenzialmente esplosivi assieme alle cause più profonde del conflitto — tensioni etniche, sfollati, accesso alla terra e giustizia — anch’esse appena menzionate ma centrali per la stabilità dei Grandi Laghi.
L’assenza di una vera stabilità rimane un ostacolo fondamentale all’arrivo di investimenti privati necessari ad avviare progetti minerari di lungo periodo. E mentre gli scontri tra M23 e Wazalendo continuano, oltre 120 gruppi armati sono ancora attivi nella regione e controllano numerosi siti estrattivi. Per questi gruppi, l’accordo si limita a un generico sostegno ai programmi di disarmo e reintegrazione, che però richiederebbero risorse imponenti per essere attuati ad oggi non stanziate dalla comunità internazionale.
Gli echi del conflitto su Lobito
Il Corridoio di Lobito, almeno per ora, è fuori dalla zona di crisi: si trova nel sud del Katanga, a circa 1.000 km dall’area del conflitto. Ma il Katanga, regione strategica e ricchissima di risorse minerarie, si estende fino al Sud Kivu, teatro di scontri tra M23 e il fronte governativo. Se l’accordo non riuscisse a fermare la violenza e dovesse scatenare nuove tensioni politiche, anche il Katanga rischierebbe di destabilizzarsi. Non sarebbe una novità: la regione è stata teatro di una feroce guerra civile nei primi anni ’60 e gruppi separatisti katanghesi, come i Mai-Mai Bakata Katanga o le “Tigres”, basate in Angola, sono ancora attivi.
In più, il presidente Tshisekedi ha alimentato nuove tensioni. Appartenente alla comunità Luba-Kasai, espulsa con la forza dal Katanga ad inizio anni ’90 dove molti si erano trasferiti in cerca di lavoro, oggi facilita il ritorno dei suoi membri con il supporto della polizia, provocando scontri e violenze contro le popolazioni locali del Katanga.
Un’altra incognita è il ritorno politico dell’ex presidente Joseph Kabila, che potrebbe allearsi con l’M23 e altre figure storiche per sfidare Tshisekedi. La famiglia di Kabila è originaria del Katanga e, nonostante vecchie frizioni con le élite locali, la sua riconciliazione con l’ex governatore Moïse Katumbi potrebbe rafforzarne l’influenza. Se lo scontro tra governo e M23 dovesse continuare, non è escluso che il gruppo ribelle cerchi l’appoggio delle forze separatiste katanghesi contro Kinshasa.
Un’escalation in Katanga rappresenterebbe una minaccia molto seria per il Corridoio di Lobito, dal momento che essa dissuaderebbe gli investitori dall’operare in quel tratto della ferrovia. Da sempre ostile al progetto Lobito, Kigali potrebbe addirittura vedere in questa instabilità un’opportunità per accrescere il proprio peso nelle esportazioni e nelle catene minerarie della regione — un ruolo che informalmente detiene già e che l’“Accordo di Washington” le conferisce in maniera più ufficiale.
Le conclusioni
L’accordo tra RDC e Rwanda non basterà a portare stabilità nell’Est del Congo. Troppi elementi chiave — l’M23, i Wazalendo, la spartizione delle risorse, la presenza di decine di gruppi armati — sono ancora sul tavolo. La fragilità del Katanga mette a rischio anche l’intera regione dei Grandi Laghi e minaccia direttamente il futuro del Corridoio di Lobito.
Per evitare un nuovo fallimento, sarà essenziale che gli Stati Uniti restino coinvolti, anche se i grandi investimenti annunciati nei minerali non dovessero raggiungere le aspettative. Anche l’Unione Europea e i governi europei hanno tutto l’interesse a sostenere la stabilizzazione della regione e del Corridoio di Lobito. Hanno ora l’occasione — e la responsabilità — di contribuire alla stabilizzazione della tregua e di spingere affinché Washington non si volti dall’altra parte e mantenga la propria pressione sugli attori coinvolti nel conflitto.