Le chiese dei Grandi Laghi
Soft power cristiano e diplomazia religiosa: l’inedita alleanza catto-protestante nella crisi dei Grandi Laghi

Cattolici e protestanti eccezionalmente uniti nella regione dei Grandi Laghi.
Che sia stata la virtù teologale della caritas? Oppure, altrettanto probabilmente, il concetto africano di ubuntu, che in lingua Bantu indica la compassione, l’umanità verso gli altri, l’occidentale moral sense, letteralmente: “io sono perché ci siamo”? Vuoi per l’una o per l’altra suggestione, è oggi nella Repubblica Democratica del Congo che prende forma un’unione altrove difficilissima. Quella tra la Conferenza episcopale nazionale (Cenco) e la Chiesa del Cristo (Ecc, oltre 60 denominazioni protestanti). In sintesi: tra cattolici e protestanti. Uniti per porre un argine, o una fine, al conflitto congolese.
In punta di geopolitica, lo scenario è pressoché riconducibile alle città di Goma e Bukavu. Occupate dal movimento “M23” – sostenuto dal Ruanda – e non più protette dalle autorità locali. Né dall’esercito in fuga. Ma infestate, appunto, dai ribelli i quali gettano nel terrore la popolazione.
Essi portano quindi i vertici delle chiese a parlare di “morti, sangue, stupri”. A parlare perciò con i ribelli stessi del M23, come ha raccontato monsignor Donatien Nshole, segretario della Cenco. A incontrare poi i presidenti del Ruanda, del Kenya, dell’Uganda, del Congo (a Brazzaville) e dell’Angola. A puntare alla riconciliazione prima interna e poi regionale. Con l’obiettivo ultimo, e a lungo termine, di trattenere ricchezze, minerali e terre rare in loco.
Il patto
Il “Patto sociale per la pace e la convivenza nella Repubblica Democratica del Congo e nei Grandi Laghi” è stato lanciato all’inizio del 2025, “anno della pace e della buona convivenza”, nonché anno del Giubileo della Speranza.
Il portavoce dell’Ecc Eric Nsenga, all’indomani d’un incontro con i vescovi e con il presidente della RdC Félix Tshisekedi, parlava così della necessità, dopo tanti “morti, stupri, sfollamenti e distruzioni”, di riuscire a discutere con tutte le parti in causa. Ivi inclusi il leader dell’opposizione Martin Fayulu e, soprattutto, la milizia M23, da sempre nemica di Kinshasa e perciò esclusa da ogni trattativa. “Non possiamo dire ‘Vogliamo la pace’ – dichiarava a tal proposito Nsenga – ma essere scettici verso qualsiasi meccanismo che possa portare alla pace”.
Si scriveva così un capitolo di raccordo – pur nell’originale sodalizio con i cattolici – di quello che nella porzione del continente è un fenomeno, invero, assai diffuso. E cioè la sovrapposizione delle chiese ai governi locali (fatto conclamato, ad esempio, rispetto al welfare sanitario che in Africa è gestito per oltre il 70 per cento dal Vaticano – dati Oms – attraverso la Santa Sede che accoglie le richieste degli stati).
La Chiesa, le chiese, il soft power
Inedita è dunque l’unione. Pressoché normale è la pressione dell’istituzione religiosa in sé sull’equilibrio politico nel continente più cristiano al mondo. Pronto ad accogliere entro il 2060 il 40 per cento dei cristiani al livello mondiale (Pew Research). Dove il protestantesimo, comunque, si diffonde capillarmente – dopo l’exploit avvenuto tra il 1970 e il 2000 – al punto da rappresentare il 30 per cento dei fedeli.
La Chiesa cattolica – che dal canto suo affonda radici profonde, risalenti all’inizio della modernità – prosegue in RdC la sua missione. Il suo mandato non scritto che già negli anni Cinquanta dello scorso secolo – con il consolidamento del clero locale – portò alla fondazione della prima università del paese: la Lovanium University, aperta dai gesuiti. Testimonianza del ruolo sociale sul territorio che, ancora nei Novanta, si concretizzò con la presidenza del monsignore Laurent Monsengwo Pasinya – arcivescono di Kisangani – alla “Conferenza Nazionale Sovrana per la Transizione a un Sistema Democratico”.
Degli oltre 100 milioni di abitanti, oggi, più della metà in RdC si dichiara di fede cristiana; 48 sono le diocesi, 44 i vescovi. Il 20 per cento – dato verosimilmente destinato a crescere – è invece di fede protestante. Secondo una tendenza che, almeno altrove, vede le due confessioni in un rapporto di proporzionalità inversa.
Sicché l’intesa catto-protestante congolese è a oggi uno dei pochissimi casi di collaborazione tra le due confessioni. Due culti che nel continente africano guardano sovente in direzioni opposte. Al punto che dove arretra uno, spesso, avanza l’altro. Esattamente come accade in Etiopia e in Nigeria, per esempio, con il cattolicesimo insidiato da un crescente numero di evangelici che, ad Abuja, corrispondono al 60 per cento della popolazione.
Ed è dunque in tale contesto – e nel contesto di un continente “bonificato” dall’azione di soft power di Bergoglio – che occorre inquadrare l’originalità dell’intesa interconfessionale. Un’unione politica, più che religiosa, di lunga gittata. Che fiorisce sul comune terreno cristiano non meno che sotto il segno dell’Ubuntu. Ossia della compassione che non si riduce all’etica, come spiega il filosofo sudafricano Mogobe Ramose (African Philosophy through Ubuntu, 2022). Bensì confluisce nell’ontologia, nella conoscenza, nella politica e, non ultimo, nella sensibilità cristiana.