Il ritorno del jihad in Nigeria
Bola Tinubu prosegue con la terapia d’urto per risollevare l’economia mentre i gruppi jihadisti tornano a terrorizzare il nord-est.

La nuova offensiva terroristica che ha colpito la Nigeria dall’inizio dell’anno mostra elementi di continuità con quelle del passato ma va inserita nel contesto di alcune mutazioni che stanno investendo il paese. Da una parte, l’economia nigeriana sta gradualmente uscendo dallo stato di crisi in cui era piombata negli ultimi cinque anni, sancendo l’efficacia (parziale) delle riforme volute dal presidente Tinubu. Tuttavia, la nuova amministrazione non è riuscita - nonostante i proclami- a produrre quel cambio di passo nella lotta al terrorismo che aveva promesso. Per tracciare un quadro sull’insurrezione in Nigeria queste due tendenze vanno analizzate in maniera approfondita.
La cura Tinubu
Insediatosi in un contesto macroeconomico fortemente deteriorato, il presidente nigeriano Bola Tinubu ha adottato una linea di politica economica improntata a un deciso pragmatismo riformista, caratterizzata dalla rapidità e dalla grande portata delle misure introdotte, spesso a prescindere da considerazioni di consenso interno.
Nei primi cento giorni di mandato, Tinubu ha revocato i sussidi sui carburanti — una misura popolare ma fiscalmente insostenibile — che gravavano sul bilancio statale per circa 10 miliardi di dollari l’anno. La rimozione dei sussidi ha comportato un immediato aumento dei prezzi, ma ha segnato anche un primo passo verso la razionalizzazione della spesa pubblica. Contestualmente, l’esecutivo ha proceduto all’unificazione del tasso di cambio ufficiale con quello del mercato parallelo, consentendo la libera fluttuazione della naira. Sebbene ciò abbia determinato una significativa svalutazione della valuta nazionale, la misura ha migliorato la trasparenza del sistema finanziario, favorendo una riallocazione più efficiente delle risorse.
In ambito fiscale, il governo ha varato una serie di provvedimenti volti a stimolare la competitività economica: riduzione delle aliquote sull’imposta societaria, introduzione di esenzioni per i redditi minimi e razionalizzazione degli incentivi fiscali in settori strategici. Queste riforme hanno animato il dibattito parlamentare, in particolare per quanto riguarda l’equità redistributiva nel breve termine.
Un intervento particolarmente incisivo si è registrato nel comparto energetico, tradizionalmente afflitto da inefficienze infrastrutturali, carenze manutentive e un assetto regolatorio disfunzionale. In tale contesto, l’amministrazione Tinubu ha promosso una politica di liberalizzazione e apertura agli investimenti nel segmento upstream, affiancando riforme fiscali a una rinnovata collaborazione pubblico-privato.
Un elemento chiave di questa riconfigurazione è stato il ruolo del gruppo Dangote. Due mesi dopo l’elezione di Tinubu, è stata inaugurata a Lagos la più grande raffineria di petrolio del mondo, un’infrastruttura strategica sviluppata da Aliko Dangote, l’uomo più ricco d’Africa. L’impianto mira a risolvere uno dei principali paradossi dell’economia nigeriana: la dipendenza strutturale dalle importazioni di carburante, nonostante l’ampia disponibilità di risorse petrolifere gregge. La scarsità di capacità di raffinazione interna ha generato distorsioni critiche, culminate, a ridosso delle elezioni presidenziali del 2023, in una crisi dell’approvvigionamento.
Nonostante alcune difficoltà iniziali legate alle autorizzazioni normative e ai vincoli imposti dalle autorità nigeriane per la concorrenza e la tutela dei consumatori, a due anni dall’entrata in funzione della raffineria i risultati sono tangibili: nel 2024, per la prima volta dall’indipendenza, la Nigeria è divenuta esportatrice netta di petrolio raffinato, segnando una netta inversione di tendenza nella bilancia commerciale energetica.
Secondo le proiezioni aggiornate del Fondo Monetario Internazionale, il PIL nigeriano dovrebbe crescere del 3% nel 2025, in lieve calo rispetto alla previsione del 3,2% formulata nell’ottobre 2024. Si tratta comunque di un dato in linea con la media continentale (3,8%), e interpretato dagli analisti come il risultato di fattori esogeni — in primis il basso prezzo del petrolio sui mercati internazionali — piuttosto che di criticità strutturali. Per il 2026, il tasso di crescita stimato si attesta al 2,6%.
L’inflazione rimane elevata (27% nel 2025), anche a causa degli effetti collaterali delle riforme strutturali in atto. Tuttavia, prevale la percezione che le misure adottate abbiano consentito una prima, significativa inversione di tendenza rispetto al declino economico degli anni precedenti, contribuendo a ristabilire un minimo di credibilità fiscale e attrattività agli occhi degli investitori internazionali.
A livello politico, il consenso interno verso Tinubu resta solido. A fine maggio, l’All Progressives Congress (APC), il partito di governo, ha informalmente confermato la candidatura del presidente per le elezioni del 2027. Il contesto politico appare favorevole alla riconferma, anche in virtù della crisi di rappresentanza delle opposizioni, le quali, nonostante un tentativo di convergenza sotto l’insegna dell’African Democratic Congress, continuano a essere attraversate da tensioni interne e leadership divise.
In un contesto in cui le ambizioni del presidente sembrano non avere ostacoli di fronte, uno dei nemici più vecchi della Nigeria democratica è tornato a ridimensionare i proclami e a mettere sottopressione l’amministrazione di Tinubu: il jihadismo
ISWAP e Boko Haram di nuovo all’attacco
Dall’inizio del 2025, l’intensificarsi delle operazioni da parte dei due principali gruppi jihadisti attivi nel nord-est della Nigeria — la Provincia dell’Africa Occidentale dello Stato Islamico (ISWAP) e Jamā'at Ahl as-Sunnah lid-Da'wah wa'l-Jihād (JAS, già nota come Boko Haram) — segnala l’inizio di una nuova fase dell’insurrezione islamista nel Paese. Nel solo mese di maggio sono stati registrati 45 attacchi riconducibili ai due gruppi, il numero mensile più elevato degli ultimi cinque anni. Nonostante entrambi siano attivi da oltre un decennio, l’attuale campagna offensiva si distingue dalle precedenti per tre elementi centrali: la ristrutturazione strategica nell’azione dei singoli gruppi, l’adozione di nuove tecnologie operative e il mutato contesto geopolitico regionale.
Rispetto al primo elemento, la nuova ondata di attacchi dimostra come ISWAP abbia abbandonato il tentativo di espandere la propria influenza verso le regioni centrali della Nigeria. Il gruppo sembra ora puntare a rafforzare il controllo territoriale nelle aree del nord-est, in particolare negli Stati di Borno e Yobe, dove dispone di santuari consolidati da cui attacca snodi strategici per la logistica delle forze armate nigeriane. Questo riposizionamento geografico ha consentito un’intensificazione delle operazioni contro obiettivi militari, in linea con la dottrina operativa implementata dal capo dell’organizzazione Abu Musab al-Barnawi, che mira a delegittimare lo Stato colpendo esclusivamente infrastrutture di sicurezza. È in questo contesto che si collocano gli attacchi contro le cosiddette “super basi” costruite dalle Forze Armate nigeriane a partire dal 2019, per concentrare capacità difensive nei punti nevralgici della regione. Gli attacchi a queste installazioni rivelano un’evoluzione tattica rilevante: ISWAP ha fatto ricorso a droni commerciali modificati per ricognizione e attacco, nonché a dispositivi per la visione notturna sottratti ai militari durante le incursioni e così ampiando la finestra temporale delle operazioni e aumentando così l’efficacia e l’impatto destabilizzante delle offensive.
Parallelamente, Jamā'at Ahl as-Sunnah (Boko Haram) mantiene una presenza radicata nella foresta di Sambisa, nello Stato di Borno, che continua a rappresentare un hub logistico e operativo per le sue attività. L’11 maggio, i miliziani del gruppo hanno assaltato la superbase di New Marte, situata lungo un corridoio logistico strategico che collega la foresta di Sambisa con altre zone del Borno settentrionale. Secondo fonti locali, l’operazione ha fruttato ai jihadisti un cospicuo bottino di munizioni e almeno 45 veicoli militari, elemento che conferma la continuità della capacità logistica del gruppo nonostante le perdite subite negli anni passati.
Inoltre, l’offensiva del jihadismo nigeriano è figlia di un quadro securitario interno deteriorato anche a causa del fenomeno delle “bande armate” (bandits), formazioni criminali altamente mobili, numerose e ben armate, che operano prevalentemente negli Stati nord-occidentali. Sebbene la natura delle relazioni tra jihadisti e banditi resti opaca, è evidente come entrambi beneficino della destabilizzazione prolungata del nord del Paese, creando una sinergia di fatto che complica la risposta statale.
La nuova ondata di attacchi da parte di ISWAP e JAS avviene in un contesto geopolitico mutato che favorisce la transnazionalizzazione delle operazioni. Questo è particolarmente visibile nella regione del Lago Ciad. Qui ISWAP e Boko Haram hanno colpito il Battaglione di Intervento Rapido del Camerun, unità d’élite dell’esercito di Yaoundé, supportata dagli Stati Uniti, a partire dal 2024. Analoghi episodi si sono verificati ai danni delle forze armate ciadiane, in particolare con un attacco a Bakaram, isola al confine tra Nigeria e Ciad. Il quadro dell’insurrezione nel Lago Ciad è ulteriormente complicato dall’ascesa del Lakurawa, una nuova cellula dello Stato Islamico che funge da cerniera operativa tra le province del gruppo nel Sahel e i combattenti nigeriani. Attivi lungo la porosa frontiera tra Niger e Nigeria, i miliziani del Lakurawa si distinguono per la loro capacità di movimento transfrontaliero, sfruttando la fragilità degli apparati di controllo. Già nel 2018 alcuni esponenti del gruppo avevano tentato, senza successo, di infiltrare lo Stato di Sokoto, ma la progressiva espansione dello Stato Islamico nel Sahel pare aver rafforzato le loro ambizioni territoriali.
La recente mutazione del quadro politico regionale ha avuto un impatto diretto sull’efficacia delle misure di contenimento. Il colpo di Stato in Niger e l’ascesa al potere del generale Abdourahamane Tchiani hanno comportato la sospensione della cooperazione militare nel quadro della Multinational Joint Task Force (MNJTF), organismo che aveva rappresentato uno degli strumenti più efficaci nella risposta congiunta al terrorismo nell’area del Lago Ciad. In parallelo, il governo del Ciad ha espresso insoddisfazione per l’attuale livello di collaborazione con Abuja, minacciando a sua volta l’abbandono dell’MNJTF sebbene tali tensioni appaiano momentaneamente rientrate.
La combinazione di un’offensiva tatticamente evoluta, una nuova articolazione transnazionale e il deterioramento della cooperazione regionale sta compromettendo i fragili progressi ottenuti negli anni precedenti nella lotta contro l’insorgenza jihadista in Nigeria e nel Lago Ciad. La sensazione è quella di un progressivo disallineamento tra le capacità dei gruppi armati e la risposta statale e multilaterale, con un effetto potenzialmente destabilizzante non solo per la Nigeria, ma per l’intera fascia sub-sahariana occidentale.
Le incognite sul futuro
L’insediamento di Bola Tinubu ad Aso Rock è avvenuto all’insegna di una duplice urgenza strategica: risanare un’economia in grave sofferenza e ristabilire la centralità geopolitica della Nigeria nel contesto regionale dell’Africa occidentale. A oggi, tale missione può considerarsi compiuta solo parzialmente. I progressi ottenuti sul piano macroeconomico sono stati accompagnati da un sensibile incremento del costo della vita e, soprattutto, da un deterioramento delle condizioni di sicurezza interna.
La recrudescenza dell’insurrezione jihadista, in particolare nel nord-est e nel bacino del Lago Ciad, ha vanificato parte della narrativa governativa sulla stabilizzazione del Paese. In risposta, le forze armate nigeriane hanno subito una serie di riorganizzazioni ai vertici — una dinamica ricorrente nella storia recente del Paese — culminata con l’annuncio da parte del Capo di Stato Maggiore della Difesa, Christopher Musa, dell’intenzione di erigere barriere lungo il confine con il Lago Ciad, ispirandosi a modelli di contenimento adottati in altri contesti africani. Al momento la proposta è al vaglio delle autorità. Tuttavia, se da un lato la risposta militare si è intensificata, dall’altro continua a mancare una strategia articolata per affrontare le cause strutturali dell’insorgenza. Il Nord della Nigeria, epicentro della crisi, è l’area a più alta crescita demografica ma anche la più povera del Paese. L’interconnessione tra esclusione economica, assenza di servizi statali e fragilità istituzionale alimenta una dinamica di collasso progressivo del contratto sociale che culmina nella militanza jihadista.
Nel bacino del Lago Ciad, l’espansione dell’insurrezione ha già compromesso le economie locali: attività tradizionali come la pesca e il piccolo commercio sono ormai paralizzate, e in numerosi casi, gruppi di civili si schierano con i jihadisti unicamente per garantirsi forme minime di sopravvivenza economica. In tale scenario, la scelta dell’amministrazione Tinubu di intensificare i raid aerei contro gli insorti ha prodotto effetti controversi. Se da un lato ha confermato l’intenzione del governo di ripristinare la deterrenza, dall’altro ha acuito le tensioni con le comunità locali a causa delle vittime civili, riducendo ulteriormente il capitale politico e sociale dello Stato nelle aree colpite. In questo contesto, va sottolineato come la corruzione che caratterizza alcune branche delle forze di sicurezza nigeriane erode ulteriormente la credibilità delle istituzioni statali.
L’agenda securitaria di Tinubu si articola dunque in tre assi principali, da attuare simultaneamente: l’avvio di un processo di state-building nelle aree periferiche, la ricostruzione di un’architettura regionale efficace di cooperazione antiterrorismo, e infine, la conduzione di una campagna militare in grado di ottenere risultati tangibili sul terreno. Tre obiettivi ambiziosi che richiedono risorse, coerenza strategica e un rinnovato impegno politico. Resta da comprendere se esista una "cura Tinubu" anche per la crisi securitaria. I prossimi mesi saranno indicativi in tal senso.