Approfondimenti

Gli Stati del Caucaso e la necessità di nuove scelte

Il conflitto russo-ucraino si è riverberato sul quadro politico-economico di Armenia, Georgia e Azerbaigian, impattando direttamente sul loro delicato intreccio di relazioni e sui rapporti con UE, NATO, Russia, Turchia e Iran. Il punto di Antonio Stango

Kachor Valentyna / Shutterstock.com

Il conflitto russo-ucraino ha accelerato processi politici ed economici in tutti e tre gli Stati del Caucaso meridionale, avendo un impatto diretto sul delicato intreccio di relazioni fra loro e con l’UE, la NATO e i vicini Federazione Russa, Turchia e Iran. Mentre l’Azerbaigian e il Mar Caspio rivestono per l’Europa un ruolo chiave per la riduzione della dipendenza energetica dalla Russia, il generale riequilibrio in atto incide anche sulla ricerca di una soluzione pacifica del trentennale conflitto tra Armenia e Azerbaigian nel Karabakh, con un maggiore coinvolgimento di Bruxelles e segni di un deciso cambiamento nei rapporti turco-armeni.

Nessuno dei tre Stati caucasici ha sostenuto la posizione del Cremlino rispetto all’attuale attacco all’Ucraina, sebbene, al momento delle Risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU del 2 e del 24 marzo contro l’invasione, il loro atteggiamento sia stato diversificato: la Georgia ha votato a favore, l’Armenia si è astenuta, l’Azerbaigian non ha partecipato al voto. È uno degli indicatori della reciproca distanza iniziale su alcuni punti e insieme delle possibilità di una parziale convergenza nelle nuove dinamiche della regione.

I rapporti con l’UE e la questione energetica

Nel quadro della Politica Europea di Vicinato, l’UE ha lanciato fin dal 2009 il Partenariato Orientale (PO) con l’obiettivo di rafforzare le relazioni politiche e l'integrazione economica sia con i tre Stati del Caucaso meridionale che con tre dell'Europa orientale: Bielorussia, Moldova e Ucraina. Di questi ultimi, mentre il Consiglio europeo il 23 giugno scorso ha deciso di concedere lo status di candidati all’adesione all’UE all'Ucraina e alla Moldova, la Bielorussia ha sospeso la propria partecipazione al PO nel giugno 2021. Fra gli Stati del Caucaso, la sola Georgia aspira ad entrare nell’UE, mentre l’Armenia e l’Azerbaigian hanno aderito a diversi accordi di partenariato.

Di fondamentale importanza per l’intera UE è in questa fase la garanzia di adeguate forniture di gas da parte dell’Azerbaigian. Il Memorandum d’Intesa sul partenariato strategico nel campo dell'energia firmato il 18 luglio a Baku dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, accompagnata dal commissario per l'Energia Kadri Simson, e dal presidente azero Ilham Aliyev prevede l'ampliamento del progetto Southern Gas Corridor, operativo dal novembre 2020 e che già fornisce circa 8 miliardi di metri cubi di gas all'anno, per portarne la capacità almeno a 20 miliardi di metri cubi entro il 2027; accenna inoltre allo sviluppo della cooperazione nel campo delle energie rinnovabili e all’impegno delle Parti per la riduzione delle emissioni di metano. L’Italia da parte sua si era già mossa individualmente su questo con la missione del ministro degli Esteri in aprile, concordando un aumento del 35% delle forniture di gas e prevedendo un maggiore sfruttamento e poi un raddoppio in tre anni del gasdotto transadriatico (Trans-Adriatic Pipeline – TAP), che attraversa Georgia, Turchia, Grecia e Albania per entrare in Europa dalla Puglia.

L'Azerbaigian ha un accordo di partenariato e cooperazione con l’UE dal 1999. Nel 2017 sono stati avviati negoziati per un accordo rafforzato, che – come confermato dalla presidente von der Leyen il 18 luglio – includerà cooperazione per la diversificazione economica (essendo l’UE il principale investitore nel Paese nei settori non legati a gas e petrolio), il commercio e lo sviluppo della società civile, con attenzione a diritti umani e Stato di diritto. L’UE in Azerbaigian contribuisce alla lotta alla corruzione, all’assistenza legale gratuita per persone vulnerabili, alle azioni per le pari opportunità di genere e a piani di efficienza energetica, digitalizzazione della pubblica amministrazione e miglioramento del sistema sanitario, soprattutto in relazione alla pandemia. Sono in fase di avviamento progetti per il potenziamento del porto di Baku, per sostenere la competitività di 25.000 startup e PMI, per l’accesso al credito di aziende del settore alimentare e per la sostenibilità ambientale delle aree urbane. Un dialogo ad alto livello UE-Azerbaigian è stato istituito nel 2019 sui trasporti, che costituiscono una delle aree chiave della cooperazione.

L'accordo di associazione con l’UE della Georgia, che comprende un’Area di Libero Scambio Globale e Approfondita (Deep and Comprehensive Free Trade Area – DCFTA), è entrato in vigore nel luglio 2016. Mentre il Paese ha compiuto da allora diversi passi per adeguare la propria legislazione alle norme dell'UE, ostacoli all’adesione sono stati più volte evidenziati soprattutto nell'impunità per la corruzione di alto livello, nella mancanza di indipendenza e trasparenza della magistratura, nelle restrizioni alla libertà dei media e nelle irregolarità riscontrate nelle elezioni presidenziali e parlamentari.

Per quanto riguarda il requisito della condivisione delle misure di politica estera e sicurezza comune, appare non lineare in questa fase l’atteggiamento del governo georgiano rispetto al conflitto russo-ucraino. La Georgia ha dichiarato di rispettare le sanzioni decise dall’UE, ma nello stesso tempo di non volere imporne di proprie; il primo ministro Irakli Garibashvili, del partito “Sogno Georgiano” più volte criticato dalla Commissione Europea per comportamenti antidemocratici, ha affermato che tali sanzioni sarebbero contrarie agli interessi economici del Paese. La Georgia, peraltro, nei limiti di una certa ambiguità delle proprie relazioni internazionali e sfruttando i margini di manovra residui del proprio sistema bancario, continua ad attrarre flussi monetari di origine russa. D’altro lato, l'UE è il suo principale partner commerciale, le fornisce annualmente oltre 100 milioni di euro di sostegno tecnico e finanziario e mantiene, in linea con il diritto internazionale, la politica di non riconoscimento delle regioni separatiste di Abkhazia e Ossezia Meridionale – autoproclamatesi ‘Stati indipendenti’ con il sostegno di Mosca dopo il breve conflitto russo-georgiano dell’agosto 2008 e, oltre che dalla Federazione Russa, riconosciute come tali solo da Nicaragua, Venezuela, Nauru e Siria.

Nonostante la molteplicità di questioni in sospeso, la Georgia ha presentato domanda di adesione all'UE il 3 marzo, anche tenendo conto di una crescente volontà popolare in questo senso: secondo un sondaggio del Caucasus Research Resource Center del dicembre 2020, è favorevole più dell’80% della popolazione. Il 20 giugno, dopo che la Commissione Europea aveva raccomandato al Consiglio di rimandare l’accettazione della candidatura della Georgia, a Tbilisi si è svolta una “Marcia per l’Europa” di oltre 120.000 persone, indetta da movimenti democratici e da tutti i partiti di opposizione in nome dei valori dell’UE e indicando la necessità di distaccarsi dall’influenza di Mosca.

Nelle conclusioni del vertice del 23 e 24 giugno, dopo il riconoscimento delle “prospettive europee” di Ucraina, Moldova e Georgia e l’affermazione “Il futuro di questi Paesi e dei loro cittadini è nell’Unione Europea”, il Consiglio Europeo si è dichiarato “pronto a concedere alla Georgia lo status di Paese candidato una volta che saranno state affrontate le priorità specificate nel parere della Commissione sulla domanda di adesione”. Tali priorità includono, tra l’altro, l’istituzione di un organismo anticorruzione indipendente, l’adozione di una normativa per la “de-oligarchizzazione” e una maggiore diversificazione della rappresentanza politica. Il Consiglio potrà tornare a pronunciarsi in merito nella riunione di fine dicembre.

Nel settembre 2013 l’allora presidente dell’Armenia Serzh Sarkisian, subito dopo una visita a Mosca e un incontro con Putin, annunciò improvvisamente che il suo Paese avrebbe aderito all’Unione Doganale con Federazione Russa, Bielorussia e Kazakistan e quindi alla costituzione dell’Unione Economica Euro-Asiatica, bloccando il processo di negoziazione di un Accordo di Associazione con l’UE: esattamente quello che tre mesi dopo, ma in una situazione molto diversa, avrebbe fatto il presidente dell’Ucraina Yanukovich. Tuttavia, nel novembre 2017 l'Armenia ha firmato con l'UE un Accordo di Partenariato Globale e Rafforzato (Comprehensive and Enhanced Partnership Agreement – CEPA), entrato in vigore il 1° marzo 2021, per sostenere riforme nel campo della democrazia, dei diritti umani e dello Stato di diritto (in particolare per la creazione di un sistema giudiziario indipendente ed efficiente), creare opportunità di impiego e commerciali e favorire le condizioni per uno sviluppo sostenibile e inclusivo. Deciso a perseguire tali riforme è il governo di Nikol Pashinyan, già leader dell’opposizione, eletto primo ministro dal Parlamento nel maggio 2018 in seguito a una serie di pacifiche proteste di piazza (definite “rivoluzione di velluto”) contro il governo filorusso del Partito Repubblicano e confermato con ampie vittorie nelle elezioni parlamentari anticipate di quel dicembre e poi del giugno 2021.

Oltre ad essere il secondo partner commerciale del Paese dopo la Federazione Russa, l'UE fornisce all'Armenia un considerevole sostegno economico, con circa 65 milioni di euro all’anno per progetti di riforma, aiuti specifici per fronteggiare la pandemia di Covid e un pacchetto di sovvenzioni, prestiti e garanzie del valore di 1,6 miliardi per il quinquennio 2022-2026.

I rapporti con la NATO

Tutti e tre gli Stati del Caucaso sono entrati a far parte fin dal 1992 – un anno dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica – del Consiglio di Cooperazione del Nord Atlantico (sostituito nel 1997 dal Consiglio di Partenariato Euro-Atlantico) e hanno aderito nel 1994 al programma Partnership for Peace, cui hanno fatto seguito diversi accordi di cooperazione specifici. I tre Stati aderiscono fra l’altro al programma Science for Peace and Security per la difesa contro gli agenti chimici, biologici, radiologici e nucleari, per la sicurezza informatica, per l'antiterrorismo e per la sicurezza ambientale ed energetica; al Centro di Coordinamento Euro-Atlantico per la Risposta ai Disastri (EADRCC) per migliorare le capacità di gestione delle crisi e l'interoperabilità, sia nei rispettivi territori che nel contribuire a soccorsi internazionali; e al programma Building Integrity (BI) per la correttezza amministrativa e la riduzione dei rischi di corruzione. Tuttavia, la sola Georgia aspira ad entrare a pieno titolo nella NATO – obiettivo sul quale ha ottenuto un consenso di massima dal vertice degli Stati membri nell’aprile 2008.

Nel 2004, al vertice NATO di Istanbul, fu decisa l’istituzione di un Rappresentante speciale del Segretario generale per il Caucaso e l'Asia centrale, che ha un Ufficio di collegamento per il Caucaso a Tbilisi.

La Georgia ha fornito consistenti truppe alla Kosovo Force (KFOR) dal 1999 al 2008, alla Forza Internazionale di Assistenza alla Sicurezza (ISAF) a guida NATO in Afghanistan dal 2004 al 2014 e alla successiva Resolute Support Mission (RSM) di addestramento delle forze afghane dal 2015 fino alla sua conclusione nel 2021. Unico Stato del Caucaso affacciato sul Mar Nero, la Georgia ha partecipato inoltre dal 2010 all’operazione di sorveglianza marittima antiterrorismo Active Endeavour, e dalla sua conclusione nel 2016 contribuisce alla operazione di sicurezza marittima Sea Guardian che l’ha sostituita, con una molteplicità di scopi: controllo della situazione sul Mediterraneo, tutela della libertà di navigazione, interdizione marittima, lotta contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa, protezione delle infrastrutture, lotta al terrorismo in mare e sviluppo delle capacità marittime dei Paesi partner.

Diversi pacchetti di misure per rafforzare le capacità di difesa della Georgia e la sua preparazione all'adesione alla NATO sono stati lanciati a partire dal vertice dell’organizzazione del 2014. Una revisione approfondita dei risultati è stata svolta nel 2020, portando a un aggiornamento del programma di attività di sostegno e ad un piano di esercitazioni congiunte NATO-Georgia: l'ultima si è svolta nel marzo 2022, la prossima è prevista per marzo 2025. Il rafforzamento della capacità di gestione e supervisione democratica dei settori della difesa e della sicurezza è oggetto di un programma della NATO per lo sviluppo professionale del personale civile, lanciato nel 2009; mentre progetti di singoli membri e partner dell’Alleanza hanno contribuito allo smaltimento di armi e munizioni obsolete e alla bonifica di mine inesplose.

Particolare rilevanza per la NATO ha la crisi fra il Paese e la Federazione Russa circa le regioni separatiste Abkhazia e Ossezia Meridionale. La NATO e i suoi Stati membri – così come l’UE – sostengono l'integrità territoriale e la sovranità della Georgia all'interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti e incoraggiano la Georgia a continuare la ricerca di una soluzione della questione con mezzi pacifici.

L'Armenia dal dicembre 2005 segue un Piano d'Azione di Partenariato Individuale (IPAP) che traccia linee di cooperazione per difesa, sicurezza, standard democratici, Stato di diritto e lotta alla corruzione. Nel 2008 ha aderito al Programma di Potenziamento dell'Educazione alla Difesa (Defence Education Enhancement Program – DEEP) per la riforma dei suoi istituti di istruzione militare, lo sviluppo di corsi di formazione specializzati e la creazione a Yerevan di un centro universitario nazionale di ricerche sulla difesa; beneficia inoltre di un fondo fiduciario della NATO per lo smantellamento e lo smaltimento di veicoli militari dismessi e la bonifica dei residui di guerra esplosivi (Explosive Remnants of War – ERW). Ha partecipato alle missioni in Afghanistan ISAF e RSM e dal 2004 contribuisce con piccoli contingenti alla KFOR. Tuttavia, l’Armenia è parte dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, a guida russa, insieme con Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan.

L’Azerbaigian ha fornito personale militare alla KFOR dal 1999 al 2008 e all’ISAF dal 2002 al 2014. Nel maggio 2005 ha concordato con la NATO un Piano d'Azione di Partenariato Individuale; da allora ha fruito di assistenza per migliorare l'interoperabilità di proprie unità selezionate con quelle degli alleati adottando alcuni standard NATO. Nel 2008 ha iniziato, come l’Armenia, il Programma di Potenziamento dell'Educazione alla Difesa, accogliendo metodologie di insegnamento e programmi di studio della NATO in istituti di formazione militare. Nel 2014 il Ministero della Sicurezza Nazionale si è avvalso della collaborazione con la NATO per istituire a Baku un Centro Internazionale di Addestramento Antiterrorismo. A causa degli eventi bellici nel Karabakh, riveste poi particolare importanza per l’Azerbaigian come per l’Armenia la bonifica degli ordigni inesplosi, per la quale l’Agenzia nazionale competente si avvale di un fondo fiduciario della NATO.

La NATO non ha un ruolo diretto nei negoziati per una soluzione del conflitto tra Azerbaigian e Armenia, che fin dal 1992, per decisione della Conferenza (dal 1994, Organizzazione) per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, dovrebbero essere condotti nell'ambito del “Gruppo di Minsk” co-presieduto da Francia, Federazione Russa e Stati Uniti. Tuttavia, auspicando una ‘normalizzazione’ dei rapporti fra i due Paesi che sono entrambi suoi partner, la NATO ha sempre confermato la propria posizione di sostegno all’integrità territoriale dell’Azerbaigian nei confini riconosciuti dal diritto internazionale. L’Armenia ha peraltro lamentato ufficialmente presso il quartier generale della NATO il sostegno militare all’Azerbaigian da parte della Turchia, Stato membro dell’alleanza.

Il punto sulla questione del Karabakh

Nella sostanziale mancanza di risultati del Gruppo di Minsk, le sei settimane di guerra concluse con il cessate il fuoco del 9 novembre 2020 – firmato dai presidenti di Armenia, Azerbaigian e Federazione Russa con il consenso informale delle non riconosciute autorità separatiste della “repubblica dell’Artsakh” – hanno consentito all'Azerbaigian di riprendere il controllo di sette distretti adiacenti al Nagorno-Karabakh che erano stati occupati da forze armene dal 1994 e di parte del Nagorno-Karabakh propriamente detto, cioè l’area montuosa della regione. L’accordo ha incluso lo schieramento di un contingente di mantenimento della pace di circa 2.000 militari russi. Da allora ci sono stati alcuni incidenti di frontiera con vittime e reciproche accuse di violazioni dell’accordo, la cui validità è stata tuttavia sempre confermata.

L'attuale governo armeno sembra intenzionato a giungere a una normalizzazione dei rapporti con l'Azerbaigian, nonostante la persistente contrarietà di partiti di opposizione e in particolare di personalità politiche originarie del Nagorno-Karabakh. Nel 2021 si sono svolti due colloqui trilaterali tra il presidente azero Aliyev, il primo ministro armeno Pashinyan e il presidente russo Putin – in gennaio a Mosca e in novembre a Sochi. Dopo l’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina, il 6 aprile e il 22 maggio di quest’anno Pashinyan e Aliyev si sono invece incontrati a Bruxelles con la sola mediazione del presidente del Consiglio Europeo Michel, avviando così un processo bilaterale diretto per una soluzione duratura del conflitto e delle questioni umanitarie, che potrebbe condurre a un trattato di pace. È stata quindi istituita una commissione bilaterale per la demarcazione dei confini, mentre i due governi si impegneranno anche per lo sblocco dei collegamenti fra i due Paesi.

Il passaggio dal formato trilaterale a quello bilaterale, riducendo di fatto il ruolo di mediazione della Federazione Russa, è stato accolto con fastidio a Mosca, dove la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova il 22 aprile ha criticato in una dichiarazione i "vergognosi tentativi di Bruxelles di appropriarsi del soggetto del ben noto accordo russo-azerbaigiano-armeno”. D’altra parte, l’attività dell’UE in questo campo sembra essere considerata sia dal governo armeno che da quello azero un utile contrappeso alla presenza russa.

Gli aiuti finanziari dell’UE sono rilevanti non solo per l’Armenia, il cui PIL nel 2021 è stato di soli circa 14 miliardi di dollari, ma anche per l’Azerbaigian, il cui PIL nello stesso anno è stato di oltre 54 miliardi di dollari e potrà ora crescere con l’aumento delle sue esportazioni di gas (nonostante una riduzione della produzione di petrolio), ma che dovrà investire molto per la ricostruzione e la riorganizzazione dei distretti tornati sotto il suo controllo. Entrambi i Paesi si trovano inoltre a fronteggiare la questione umanitaria degli sfollati, del loro ritorno a località che avevano dovuto abbandonare o della loro integrazione in un nuovo contesto. In questo quadro, il soft power di Bruxelles può essere considerato nel Caucaso meridionale più utile e con meno controindicazioni dell’hard power di Mosca, esercitato con la massima intensità in Ucraina.

A contribuire al riequilibrio nella regione rispetto all’influenza finora preponderante di Mosca è inoltre la crescita del ruolo della Turchia: non soltanto per il suo deciso sostegno all’Azerbaigian, ma anche con un cambiamento che potrebbe assumere portata storica nel suo atteggiamento nei confronti dell’Armenia – con la quale non ha mai stabilito relazioni diplomatiche per il proprio rifiuto di accettare la definizione di ‘genocidio’ per le deportazioni e lo sterminio degli armeni dell’impero ottomano negli anni 1915-1917. Nel dicembre 2021 (dopo un primo tentativo mai ratificato nel 2009) i due Stati hanno nominato degli inviati speciali per la normalizzazione delle relazioni, con l’assenso dell’Azerbaigian. Proprio il fatto che l’Azerbaigian ha potuto riconquistare, anche grazie all’impiego di droni e di assistenza militare turchi, la maggior parte del territorio del Karabakh, la cui occupazione da parte armena non era mai stata riconosciuta dalla Turchia, ha infatti eliminato uno dei maggiori ostacoli all’avvicinamento tra Ankara e Yerevan. I due ministri degli Esteri si sono poi incontrati ad Antalya nel marzo di quest’anno parlando di un processo di “normalizzazione senza precondizioni” (con ciò significando, in particolare, che non si considererà la questione del riconoscimento del genocidio); e il 1° luglio a Vienna gli inviati speciali hanno concordato l’apertura del loro confine comune, chiuso dal 1993, per i cittadini di Paesi terzi e l’inizio in tempi brevi di voli cargo diretti tra i due Paesi.

Il ruolo dell’Iran sull’asse Nord-Sud attraverso il Caucaso

Negli ultimi mesi l’Iran ha mostrato un più diretto coinvolgimento nella regione, mantenendo la tradizionale vicinanza all’Armenia ma insieme cercando pragmaticamente accordi con l’Azerbaigian (nonostante forti tensioni durante il conflitto del Nagorno-Karabakh) e operando d’intesa con la Federazione Russa per consolidare la rotta commerciale e strategica Nord-Sud, che da Mosca attraversa il Caucaso per giungere a Teheran. Nel dicembre 2021, del resto, si era svolta a Mosca anche una riunione a livello di viceministri degli Esteri per la possibile istituzione di una piattaforma “3+3” di cooperazione fra i tre Stati del Caucaso e le tre potenze regionali, includendo l’Iran insieme con Russia e Turchia; ma l’iniziativa sembra essersi spenta per il rifiuto della Georgia di parteciparvi data l’occupazione russa di Abkhazia e Ossezia Meridionale e per la preoccupazione, avanzata dall’Armenia, che questo possa ridurre l’efficacia delle piattaforme negoziali con l’Azerbaigian già in atto. Con la Georgia l’Iran ha peraltro uno scambio commerciale in crescita, mentre di particolare rilevanza per entrambi gli Stati è lo sbocco in Georgia della rotta di transito dal Golfo Persico al Mar Nero.

In marzo l’Iran ha firmato con l'Azerbaigian un accordo per la realizzazione in territorio iraniano di un tratto autostradale e di una linea ferroviaria fra i distretti del Karabakh reintegrati nell’Azerbaigian e l'exclave azera di Nakhichvan, oltre ad alcuni ponti sul fiume Aras (che scorre lungo i confini fra Turchia, Armenia, Azerbaigian e Iran). Tali collegamenti rappresentano un’alternativa al progetto del cosiddetto "corridoio di Zangezur", che porterebbe dal Karabakh al Nakhichvan attraverso la regione di Syunik dell'Armenia meridionale – cosa che né l’Armenia né l’Iran accetterebbero facilmente, temendo che possa comportare mosse espansionistiche azere. Peraltro, secondo una clausola dell’accordo di cessate il fuoco del novembre 2020, la supervisione dei collegamenti di trasporto fra Armenia e Azerbaigian è affidata al servizio di frontiera della Federazione Russa.

L'Iran prevede inoltre di completare entro il 2023 (dopo anni di ritardi per problemi di bilancio) l’ultimo tratto nel proprio territorio della ferrovia che da Qazvin raggiunge il confine dell’Azerbaigian ad Astara e da lì prosegue verso la Russia – parte del ramo occidentale dell’International North-South Transport Corridor (INSTC), di 7.200 chilometri, che si snoda dalla Finlandia all’India con un importante nodo marittimo a Bandar Abbas, sul Golfo Persico.

La necessità di un certo riavvicinamento all’Azerbaigian non preclude per l’Iran il proseguimento di strette relazioni con l’Armenia. In diversi incontri a Yerevan in marzo, in aprile e in maggio fra i ministri dei due Paesi competenti per industria, commercio, energia, trasporti, infrastrutture, economia e finanze sono stati discussi una serie di accordi di cooperazione per la realizzazione di nuovi collegamenti stradali e ferroviari e un aumento del commercio bilaterale. Nel campo energetico, l’Iran in base a un accordo del 2004 esporta gas verso le centrali elettriche armene, che a loro volta esportano elettricità in Iran; il 16 maggio a Yerevan il ministro iraniano del Petrolio ha preannunciato un accordo per fornire all’Armenia un quantitativo maggiore di gas importandolo anche dal Turkmenistan attraverso la rete di trasporto iraniana. Un accordo analogo è già operativo da gennaio fra Iran, Turkmenistan e Azerbaigian.

L’influenza della Cina e degli Emirati Arabi

Mentre gli Stati del Caucaso sono in varia misura coinvolti in partenariati bilaterali o multilaterali sia con Paesi e alleanze occidentali che con le potenze regionali, negli ultimi anni sono cresciuti notevolmente gli interessi e gli investimenti da parte di attori geograficamente lontani, ma con grande capacità finanziaria. Se società degli Emirati Arabi Uniti hanno investito alcuni miliardi di dollari soprattutto nello sviluppo turistico in Georgia, nella produzione di energia rinnovabile in Armenia e in Azerbaigian e nello sviluppo di una zona economica extra-doganale presso il porto di Baku, con l’Azerbaigian la cooperazione emiratina sembra destinata ad estendersi anche nel settore della difesa, come accennato in diversi incontri fra i ministri competenti. In questo è già molto avanzata la presenza della Cina, che ha venduto all’Azerbaigian sistemi missilistici prodotti in Turchia e in Bielorussia su licenza cinese.

L’interesse strategico della Cina si sviluppa tuttavia particolarmente nel settore delle comunicazioni, intese sia come infrastrutture di trasporto terreste e marittimo nell’ambito del Corridoio Centrale della Belt and Road Initiative (con investimenti, tra l’altro, nel potenziamento del porto di Baku e della ferrovia Baku-Tbilisi-Kars) che come transito di telecomunicazioni attraverso la “Via della Seta digitale”. Huawei ha lanciato fin dal 2016 un programma di formazione in Cina di ingegneri elettronici dell’Azerbaigian e la Cina sta cercando di imporre nel Caucaso la propria tecnologia 5G, in competizione con gli Stati Uniti e sollevando preoccupazioni da parte della NATO per i relativi aspetti di sicurezza informatica.

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