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Gli Usa e il sud-est asiatico

La strategia americana nell’Indo-Pacifico fa i conti con le politiche dei paesi del Sud-est asiatico. Il punto di vista di Guido Bolaffi

Jesse33 / Shutterstock.com

Perché Washington, nonostante il significativo allineamento di molti paesi dell'Indo-Pacifico alla sua politica anticinese, continua a nutrire nei loro confronti dubbi e sospetti? Domanda tanto più legittima visto che, come sostiene Alain Frachon nell’articolo de Le Monde En Asie aussi, une demande d'Amérique, La guerre russe dans les plaines de l'Ukraine fait des vagues dans le Pacifique [...] Les pays de l’Indo-Pacifique ont la même réaction que les Européens et se rapprochent des Etats-Unis”.

Salvo che nel rapprochement à l’Amérique di questi paesi ci sono comportamenti non in linea, se non addirittura contraddittori, con la rigida esclusività che da sempre gli USA impongono alle nazioni straniere per fare parte, a pieno titolo, del loro sistema di alleanze.

Una rigidità che però funziona poco e male nel Sud/Sudest dell’Asia. Per capire il perché, è di grande utilità leggere il pezzo di Foreign Policy Southeast Asia Getting Squeezed by America’s Embrace firmato da Blake Herzinger.

Nel quale si fa presente che: “Seeking to install the United States as the partner of choice has been a regular future of Washington’s foreign policy in the Indo-Pacific across multiple administrations [...] Partner of choice describes a long-term economic or security relationship with the implication of exclusivity [...] Washington’s fixation on this implicitly exclusive style of partnership is counterproductive and representative of a flawed approach to the region. Many in Washington assume that Indo-Pacific states and multilateral institutions share their view of China as a hostile state. But it's a mistake to assume that Southeast Asia sees the United States as inherently virtuous and China as fundamentally bad [...] Southeast Asia is a region defined by its pragmatism”.

La politica estera made in U.S. è oggi dunque chiamata a fare i conti con questa difficile novità. Visto che nella cruciale area dell’Indo-Pacifico non sono pochi i governi di paesi che pur condividendo la politica di contenimento della Cina propugnata e messa in atto dagli Stati Uniti non per questo si sentono di dover rispettare, in tutto e per tutto, i comportamenti previsti dal loro rigido codice delle alleanze.

Come testimonia emblematicamente la politica estera dell’’India, che in parallelo al suo chiaro e progressivo allineamento geopolitico con l’America (caso ultimo l’incontro del 31 gennaio a Washington del suo Consigliere per la Sicurezza Ajit Doval con l’omonimo statunitense Jack Sullivan sulla Initiative for Critical and Emerging Technologies) continua, in barba alle sanzioni imposte da Washington contro Mosca, ad importare petrolio russo a man bassa.

Al riguardo, e per doverosa chiarezza, è bene segnalare che questo comportamento dell’India non è di oggi. Né tanto meno deriva, come invece alcuni sostengono, “dall’opportunismo cerchiobottista” della sua posizione astensionista sull’Ucraina. Ma che è vecchio di anni.

Infatti, su Foreign Affairs del lontano 2019, Robert D. Blackwill e Ashley J. Tellis nell’articolo The India Dividend sostenevano che “The logic of the US-Indian partnership remains misunderstood by many, especially in the United States. India has become a strong supporter of the U.S.-led international order, despite showing no interest in an alliance with Washington [...] Simply put, the success of U.S. efforts in India should be measured not by what India does for United States but by what India does for itself”.

I problemi, però, non finiscono qui. Il rompicapo dell’Indo-Pacifico presenta infatti per gli USA un’ulteriore e non piccola complicazione. Visto che molte nazioni dell’area, memori degli anni in cui sono state obbligate a sopravvivere barcamenandosi tra il disinteresse di Washington e l’interesse “interessato” di Pechino, quello che oggi più temono è di doversi schierare armi e bagagli o con l’uno o con l’altro. E di restare, come si dice, con il cerino in mano.

Basta leggere al riguardo quanto scrive Blake Herzinger a conclusione del suo articolo: “The narrative surrounding the idea that Southeast Asian partners might be forced to choose between the United States and China continue to swirl, but in reality, they will choose their own side [...] No country wants to be so dependent on either that in the unlikely event of a U.S.-China détente they find themselves vulnerable to coercion by one half of the once-imagined G-2. Nobody wants to be squashed under the passionate embrace of Beijing and Washington, however implausible the union of those two pachyderms might seem”.

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