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I pesanti effetti economici della Pandemia

La Pandemia da Covid-19 ha alterato in negativo il fragile equilibrio economico di molti paesi in via di sviluppo. Tra le regioni colpite anche quella dell’Asia Meridionale. L’analisi di Guido Bolaffi

Come tutte le grandi epidemie della storia anche quella del Covid-19 ha colpito alcuni più di altri, ma a differenza di quelle del passato non ha risparmiato nessun angolo del Pianeta. Infatti, spiegano Colin Kahal e Thomas Wright nelle pagine del recentissimo, monumentale libro AfterShocks: pandemic politics and the end of the old international order: “The novel coronavirus hit the world while humanity was more interconnected than ever […] and the Coronavirus pandemic ushered in a global crisis with seismic effects that will have a long geopolitical tail. The story of what began in 2020 reversed decades of poverty alleviation across the globe and developing countries that had enjoyed considerable economic success over the past two decades were hit hard as debt mounted and tens of millions fell back into poverty and were pushed to the brink of starvation”.

Il punto è qui, visto che la pandemia ha pericolosamente ferito gli equilibri geopolitici contemporanei, piombando come l’Angelo della Morte su quelle aree della Terra che, grazie allo sviluppo interno degli anni pre-Covid, speravano di avere ormai il passato alle spalle. Tanto è vero che, scrive il Fondo Monetario Internazionale nel suo ultimo World Economic Outlook: “The dangerous divergence in economic prospects accross countries remains a major concern. Aggregate output for the advanced economy group is expected to regain its pre-pandemic path in 2022 and exceed it by 0,9 per cent in 2024. By contrast, aggregate output for the emerging market and developing economy group (excluding China) is expected to remain 5,5 per cent below the pre-pandemic forecast in 2024, resulting in a larger setback to improvements in their living standards”.

Parole che certificano lo stop, chissà per quanto tempo, del positivo, ventennale trend, che tra la fine del Novecento e la prima decade del Duemila aveva consentito ad una nutrita schiera di paesi di colmare, in misura relativamente significativa, per la prima volta dopo la Grande Rivoluzione Capitalistica dell’800, l’abissale divario economico-produttivo e reddituale con quelli industrializzati. Riducendo la percentuale dei super poveri della Terra (con un reddito annuo pro capite di 2 dollari) dal 44% del 1981 al 9,9% del 2015, scesi in termini assoluti da 6,5 miliardi a 750 milioni e di elevare, al contempo, la loro aspettativa di vita da 49,1 a 63,3 anni.

Una negativa inversione di tendenza che, nel caso delle nazioni in via di sviluppo, è stata aggravata da quello che potremmo definire un collateral damage pandemico, che ha pesantemente ridotto il flusso delle rimesse dall’estero degli immigrati: “the World Bank expects a decline of remittances, underscoring the economic distress stemming from the Covid 19 pandemic and the ensuing lockdown aimed at curbing the disease, by 22% . The sharpest decline in recent history largely du to a fall in wages and employment of migrant workers abroad”.

Diagnosi confermata dall’ultima Health, Employment, Migration and Social Affairs Newsletter dell’OCSE: “Since the start of the pandemic, foreign-born workers have been disproportionally affected by job losses. The gap in the employment rate between foreign and native-born has widened across OECD countries to reach 2-percentage points on average, while the difference in the unemployment rate is now more than 3-percentage points”.

Un handicap, secondo Sustainable Development dello scorso Marzo, particolarmente grave “for South Asia (Afghanistan, Bangladesh, Bhutan, India, Nepal, Maldives, Pakistan, Sri Lanka), the region that receives the most remittances in the world as a share of gross domestic product (GDP). In volume terms a little more than one-fifth of global remittances were destined to south Asian countries between 2015 and 2019 – with India, the largest recipient in the word, receiving close to USD 360 USD bn. over the period”. Ma i problemi non finiscono qui.

Incrociando i dati del su citato rapporto del FMI con quelli del World Employment Social Outlook 2021 dell’ILO viene infatti alla luce che la Pandemia ha lasciato in eredità anche questo regalo: “that recovery in unemployment is lagging the recovery in output (or GDP)”. Una divaricazione tra ripresa economica ed occupazione di inquietante serietà, soprattutto per l’economia di quei paesi che “have ended worplace closures relatively early to prevent more severe employment losses […] are seeing negative effects in other dimensions, notably in the quality of employment […] The COVID‑19 pandemic risks widening further the divide in labour market outcomes for the most vulnerable groups who face numerous employment obstacles”.

In India, ad esempio, spiega un approfondito reportage pubblicato il 20 ottobre da Indian Express: “growth rate hasn’t been tweaked for worse […] but at the same time employment is not seeing a similar bounce-back”. E’ infatti altamente plausibile che gli 11 milioni di occupati “spariti” nel 2021 rispetto a quelli del 2019 siano stati inghiottiti “in the informal or unorganised sectors such as construction, trade, agricolture, repair, accomodation and food services”, un universo tanto enorme quanto oscuro che sforna il 50% ed oltre del Gross Value Added del Paese.

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