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I rapporti economici tra Cina e Turchia e il “pivot to Asia” di Ankara

La recente visita del ministro degli esteri turco in Cina conferma la crescente importanza del continente asiatico per la diplomazia turca, dettata anche da ragioni economiche

L’interesse della Turchia verso la Cina e, in generale verso il continente asiatico, rientra nell’ampia strategia di politica estera di Ankara: la “Asia Anew Initiative”. Ideata nel 2019, punta a sfruttare la posizione geografica vantaggiosa del paese per rafforzare i legami storici con gli stati del continente asiatico; cooperazione regionale, sub-regionale e statale sul piano diplomatico e commerciale guidano la strategia turca. La recente visita del ministro degli esteri turco, Hakan Fidan, in Cina si inserisce in tale quadro. Inizialmente, Fidan ha incontrato a Pechino il suo omologo, Wang Yi, e numerosi alti funzionari cinesi, con cui ha sottolineato l’importanza delle buone relazioni tra i due paesi.

Il ministro turco si è recato anche nello Xinjiang, regione autonoma della Cina settentrionale dove si concentra la minoranza uigura. Nell’area vivono oltre 12 milioni di musulmani di etnia turcofona, soggetti ad un’intensa campagna di assimilazione da parte del governo di Pechino, mentre oltre 50.000 sarebbero fuggiti in Turchia. Secondo Celil Karluk, professore di relazioni internazionali alla Haci Bayram Veli University di Ankara, la visita del ministro in quella regione indica che la quesitone uigura è ancora importante per le autorità turche. Tuttavia, non sembrerebbe che la condizione della popolazione turcofona possa intaccare le relazioni bilaterali, ancor più se si considera che una delle priorità della visita di Fidan sono stati i rapporti economico-commerciali tra Ankara e Pechino.

La bilancia commerciale come punto di forza

Al centro della visita di Fidan in Cina, come detto, la dimensione economica dei rapporti bilaterali. Pechino rappresenta il primo partner commerciale di Ankara in Asia e l’interscambio commerciale tra i due paesi ammontava a oltre 47 miliardi di dollari nel solo 2023. Vale la pena soffermarsi sul marcato squilibrio che caratterizza la bilancia commerciale tra i due paesi: lo scorso anno, infatti, la Turchia ha importato beni per 44 miliardi dalla Cina, in particolare materiale elettronico e tecnologico, macchinari e veicoli. Secondo quanto affermato da Fidan, lo squilibrio rappresenta una delle maggiori criticità dei rapporti commerciali e va quindi riequilibrato. Comunque, la possibilità di bilanciare l’interscambio incrementando l’export dalla Turchia alla Cina, come affermato dal ministro turco, non sembra una strada percorribile: infatti, Pechino rappresenta uno dei maggiori produttori di acciaio al mondo, una delle principali commodity dell’industria turca; inoltre, negli ultimi mesi i problemi di “overcapacity” cinese, ossia di sovracapacità produttiva del sistema industriale a fronte di una domanda interna che stenta a sostenerlo, si sono aggravati. Di conseguenza, puntare sulla possibilità di importazioni da parte di Pechino non sembrerebbe la strategia da intraprendere.

Come si evince anche dalle dichiarazioni del ministro degli esteri turco, Ankara guarda ad altre possibili soluzioni per far fronte allo squilibrio del saldo commerciale: “Lo squilibrio della bilancia commerciale è uno dei maggiori problemi strutturali nei rapporti bilaterali e può essere affrontato attraverso gli investimenti esteri diretti e progetti congiunti, come la Belt and Road Initiative (BRI)” sono state le parole del ministro a margine di un incontro con i rappresentanti della comunità imprenditoriale turca in Cina. Tuttavia, se osserviamo i dati sugli investimenti cinesi in Turchia rilasciati dall’American Enterprises Institute, notiamo che ammontano a soli 160 milioni di dollari nel 2022; non vi è traccia di investimenti né progetti di finanziamento da parte di Pechino in Turchia nell’intero 2023. La carenza di attività finanziarie è dovuta soprattutto allo stato dell’economia cinese, fiaccata dalle severe e prolungate politiche anti-Covid e dalla conseguente anemia della domanda interna. È quindi difficile immaginare che investimenti diretti esteri e cooperazione economico-commerciale possano riequilibrare la bilancia commerciale tra i due paesi. Riguardo le possibilità di collaborazione economico-commerciale legate alla BRI, dal 2013, anno in cui è stata lanciata la grande strategia di sviluppo cinese, Ankara ha ricevuto 4 miliardi di dollari in investimenti da parte di Pechino. Somma esigua, se consideriamo il ruolo potenzialmente centrale della Turchia nel quadro della BRI e l’ammontare totale degli investimenti dell’ambizioso progetto che, ad oggi, si attesta intorno a 1 trilione di dollari.

Inoltre, è importante ricordare che una bilancia dei pagamenti in passivo non è necessariamente un carattere negativo di un sistema economico. Al contrario, un trade deficit elevato consente a un paese, in tal caso la Turchia, di consumare più di quanto non produca, incrementando le attività economiche e migliorando gli standard di vita della popolazione. In particolare, secondo il World Economic Forum, “i disavanzi commerciali non sono per forza una caratteristica negativa e non costituiscono una misura della bontà delle politiche commerciali di un paese. Non esiste una correlazione diretta tra lo stato della bilancia commerciale e l’economia di uno stato”. Se, ad esempio, un accordo di libero scambio permettesse a un paese di importare beni a basso costo da uno stato partner, soddisfacendo così la sua domanda, questa politica costituirà un beneficio per il paese che importa, anche se il valore delle importazioni superasse quello delle esportazioni.

Insomma, i rapporti tra la Turchia e la Cina sembrano destinati a rafforzarsi, anche alla luce della graduale ripresa dell’economia turca e delle aree geografiche di maggiore interesse dell’attuale ministro degli esteri turco. Al momento, la bilancia commerciale è destinata a restare in negativo per Ankara; esito, questo, che non sembrerebbe destinato a creare eccessivi dispiaceri in Turchia. Infine, la questione uigura, seppure negli anni abbia catturato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale, non pare possa avere effetti significativi sulle relazioni tra i due paesi.

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