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Il Mediterraneo assetato

Ondate di caldo sopra le medie e siccità stanno colpendo tutti i paesi sulle sponde del Mediterraneo. Una nuova emergenza che si aggiunge a quelle già esistenti, dalla crisi alimentare a quella energetica, e che ne potrebbe amplificare gli effetti. L’analisi di Emanuele Rossi

Se l’approvvigionamento di gas è un problema di carattere strategico, visti i tagli avviati dalla Russia, che si proietta già sul medio-breve periodo – quando questo autunno si dovranno fare i conti con le disponibilità effettive – per Paesi come l’Italia altrettanto interesse lo acquisisce il potenziale rischio di razionamento dell’acqua.

Non unicamente come effetto immediato, ma come potenziale di lungo termine, questa ed altre problematiche legate a clima e ambiente possono avere ripercussioni dirette negli affari internazionali. La siccità, per esempio, è un problema che riguarda tutta la regione del Mediterraneo allargato, ed è uno degli effetti socio-economici che le collettività della regione iniziano a subire davanti al macroscopico tema dei cambiamenti climatici.

In tutto il bacino le temperature sono al momento sopra alla media, ed arrivano dopo un inverno sostanzialmente secco e poco piovoso: un innesco perfetto. L’ultimo bollettino dell’Osservatorio siccità del Cnr, pubblicato il 10 giugno, spiega che oltre il 40% dei terreni irrigui italiani potrebbe essere interessato da siccità “severa” o “estrema” nel medio e lungo periodo (arco temporale che va dai sei mesi a un anno). Risultato: il 30% della popolazione italiana è esposta a tali condizioni.

Il servizio meteorologico e idrologico nazionale spagnolo (AEMET) ha dichiarato che nell’interno del Paese le temperature hanno superato i 40° C con assiduità superiore al solito. Le alte temperature e la siccità si sono combinate in un rischio di incendio estremo per gran parte della Spagna e parte del Portogallo. L’Istituto portoghese per il mare e l’atmosfera (IPMA) ha segnalato il maggio più caldo dal 1931 e la grave situazione di siccità sta interessando addirittura il 97% del territorio. Qualcosa di simile in Francia, con un maggio record per caldo e scarsità di precipitazioni. Conseguenza: incendi. Anche vaste aree dall’Europa centrale e sud-orientale, fino al Mar Nero nord-occidentale, stanno soffrendo la scarsità d’acqua.

Le agenzie meteorologiche internazionali e diversi organizzazioni umanitarie hanno lanciato poi un allarme congiunto: la minaccia della fame in Africa orientale e centro-occidentale incombe dopo quattro stagioni di piogge mancate. Una situazione su cui pesa anche l’effetto della crisi alimentare innescata dal conflitto ucraino. L’attuale estrema, diffusa e persistente siccità multi-stagionale che colpisce la Somalia, le terre aride e semiaride del Kenya e le aree pastorali orientali e meridionali dell’Etiopia non hanno precedenti e marcano i loro effetti su zone particolarmente fragili.

Gli anni dal 2015 al 2021 sono stati i più caldi, a livello globale, mai registrati. L’Amministrazione Nazionale Oceanica e Atmosferica degli Stati Uniti sottolinea come il clima fuori stagione di giugno, che ha fatto seguito a un maggio molto caldo, arrivi dopo i livelli già da record del 2018 e del 2021. Ancora una volta è nella ripetizione dell’eccezionalità il problema. Con l’aumento della temperatura media del pianeta, si prevede che gli eventi meteorologici estremi, come le ondate di calore e le inondazioni, diventeranno più gravi e più frequenti.

Se la situazione ha prodotto circostanze bizzarre, come la scoperta di una città tentacolare di 3.400 anni fa emersa nei pressi di Mosul, in Iraq, dopo che il livello dell’acqua del Tigri si è rapidamente abbassato a causa di un’estrema siccità; il surriscaldamento globale sta già facendo sentire i suoi effetti sulla vita quotidiana delle cittadinanze. Nei mesi di aprile e maggio, le tempeste di polvere hanno ricoperto svariate zone del Medio Oriente, peggiorando la qualità dell’aria e influenzando la vita giornaliera in Paesi come Iran, Iraq ed Emirati Arabi Uniti. Quest’anno proprio l’Iraq è stato colpito da un totale di nove tempeste di sabbia che hanno avuto ripercussioni su tutto, dagli esami finali delle scuole al traffico nei porti e negli aeroporti. Circa 35.000 persone sono dovute ricorrere alle cure ospedaliere per affezioni respiratorie (asma, allergie, batteri, virus) e, secondo il Ministero della Salute del Paese, almeno tre sono morte. A Dubai, le scuole hanno cancellato le attività all’aperto per una settimana.

Le tempeste di sabbia si verificano quando forti venti spazzano le aree aride, inviando pennacchi polverosi a centinaia o migliaia di chilometri di distanza. Uno studio dell’European Union’s Earth observation programme, Copernicus, spiega che la siccità e la desertificazione associate al riscaldamento globale possono aumentare la superficie arida del suolo, quella polverosa perché non coperta da vegetazione (l’assenza di vegetazione si lega alla scarsità di precipitazioni, e dunque alla siccità). Un articolo pubblicato su Nature in aprile ha rilevato che la quantità di episodi di trasporto di polvere nel Mediterraneo occidentale è aumentata in frequenza e intensità tra il 1948 e il 2020: il 2021 conferma la tendenza. La serie più recente di tempeste di sabbia è stata attribuita all’intensa siccità in Nord Africa, oltre che lungo i bacini del Tigri e dell’Eufrate.

Sono in corso già iniziative governative. La Saudi Green Initiative, per esempio, lanciata lo scorso marzo, mira a risanare 40 milioni di ettari di terreno nei prossimi decenni, con 24 iniziative per piantare 10 miliardi di alberi. Il piano di rimboschimento può migliorare la qualità dell’aria, ridurre le tempeste di sabbia, combattere la desertificazione e abbassare le temperature nelle aree adiacenti. Analogamente, la Middle East Green Initiative, l’alleanza e il patto regionale sul cambiamento climatico, ha obiettivi ambiziosi simili, puntando a piantare 50 miliardi di alberi (10 miliardi nel Regno) in tutto il Medio Oriente e a ripristinare 200 milioni di ettari di terreno degradato. Il rischio è concreto e articolato.

Quando lo scorso anno sono esplose le proteste popolari in Kuzhestan, regione dell’Iran abitata da una minoranza araba e di primario interesse per la sicurezza nazionale in quanto contiene molte delle riserve petrolifere del Paese, la causa mobilitante è stata proprio la carenza idrica prolungata per settimane. I cittadini – che soffrono da anni politiche settarie – denunciavano la mala gestione degli impianti idrici, la cui amministrazione è in mano alle affiliate di Khatam al-Anbiya, la società di costruzione del Sepâh (il corpo militare teocratico, noto anche come i Guardiani della rivoluzione, simbolo della linea più conservatrice e reazionaria della Repubblica islamica).

Una situazione che si è riprodotta anche nelle scorse settimane, segnando un’evidenza su come fenomeni di carattere climatico e ambientale possano produrre dirette ripercussioni sul contesto politico e innescando problematiche di tenuta sociale, oltre che economica. Chi protesta in Iran somma, infatti, la situazione (idrica) con le critiche al ruolo svolto dai Guardiani. Qualcosa di simile potrebbe riguardare fenomeni migratori (da aree aride diventate via via più invivibili). Ma altrettanto si potrebbero produrre situazioni conflittuali che ruotano attorno alla ricerca dell’acqua, risorsa fondamentale per la vita umana. Ossia, in questi giorni stiamo provando con mano come il cambiamento climatico e i suoi effetti non riguardino soltanto trattati e studi accademici, progetti semi-utopici o pensieri futuri. Bensì siano qualcosa che tocca già le quotidianità di milioni di individui e porti a influenzare dinamiche politiche.

L’importanza del cambiamento climatico in questo senso è individuata dal nuovo Strategic Concept che la NATO ha redatto dopo il vertice di Madrid. Secondo l’alleanza, è una “sfida fondamentale” con “un profondo impatto sulla sicurezza alleata”; “un moltiplicatore di crisi e di minacce”. “Può esacerbare i conflitti, la fragilità e la competizione geopolitica”. La NATO indica nelle conseguenze del Climate Change (siccità, disastri naturali) un fattore di sconvolgimento delle nostre società, che mina “la nostra sicurezza e mettendo a repentaglio le vite e i mezzi di sussistenza dei nostri cittadini”. Ma non solo: lo ritiene anche un elemento che “influisce anche sul modo in cui operano le nostre forze armate”. “Le nostre infrastrutture, i nostri beni e le nostre basi sono vulnerabili ai suoi effetti. Le nostre forze armate devono operare in condizioni climatiche più estreme e i nostri militari sono chiamati più spesso a prestare assistenza in caso di disastri”, scrivono gli alleati nello Strategic Concept.

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