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Il Mediterraneo specchio del futuro dell’Europa

La crescente importanza rivestita sul piano globale dalla regione del Mediterraneo allargato necessita di un diverso protagonismo dell’Europa. Il punto di vista di Riccardo Redaelli.

In un sistema internazionale in così profondo mutamento, caratterizzato da un evidente – per quanto instabile – trasferimento di potenza fra i diversi attori che storicamente hanno condizionato le relazioni internazionali degli ultimi due secoli, risulta palese come singoli stati, alleanze o sistemi regionali debbano ripensare al proprio posizionamento, al proprio ruolo geopolitico e alle proprie strategie finora adottate.

In aggiunta al progressivo passaggio dal breve momento unipolare post Guerra Fredda a un sistema internazionale asimmetrico e multipolare – tendenza che rappresenta un mutamento strutturale di lungo periodo –, l’ultimo decennio ha visto anche l’esplosione di una serie di fattori destabilizzanti che ci hanno spinto a ripensare modelli di sviluppo e di relazione che sembravano ormai scontati. Per l’Europa e il bacino Mediterraneo queste difficoltà globali (dalla pandemia, alla messa in discussione del concetto stesso di globalizzazione, e così via) sono state enfatizzate dallo scoppio di pericolose crisi regionali. Basti citare le rivolte nel mondo arabo del 2011-12 che hanno destabilizzato la sponda sud, la sfida lanciata dal “califfato jihadista” nel Siraq e la conseguente fase di terrorismo che ha colpito le capitali europee, le proxy wars (o quasi proxy wars) in Siria, Libia e Yemen; mentre per le frontiere orientali dell’Unione Europea vi è stato il ritorno di una sempre più accentuata contrapposizione con la Russia, culminata con la sanguinosa invasione dell’Ucraina ancora in corso.

Dinanzi a questa crescente instabilità nelle sue aree di prossimità, Bruxelles ha reagito con lentezza e deludente incapacità nell’affrontare questi problemi in modo unitario. Sono anzi emerse con ancora maggior forza le tradizionali rivalità dei suoi stati membri che hanno minato ogni possibilità di risposta comune e paralizzato l’azione dell’Europa quale soggetto geopolitico credibile, in particolare lungo la sponda sud dell’Europa (da sempre considerata secondaria da UE e da NATO rispetto al fronte est). Si è avuto così il paradosso di un ritiro europeo dal bacino mediterraneo, proprio allorché, inaspettatamente, il nuovo secolo ha ridato al Mediterraneo una sorta di nuova centralità all’interno delle dinamiche globali, dopo un prolungato periodo di percepita marginalità. Una centralità, tuttavia, che è il risultato delle crisi politiche e di sicurezza, dei conflitti e di dinamiche socio-economiche profondamente destabilizzanti. In altre parole, la crescita di importanza geopolitica del Mediterraneo è stata non ricercata dai principali attori interni al sistema regionale, bensì subita e vissuta “in negativo”, accentuando l’idea che da questo mare non venissero altro che sfide e minacce.

Una percezione profondamente falsata e figlia di una evidente miopia geoeconomica: al di là di tutte le sue crisi e di tutti i “pericoli” che possono traversare questo mare, vi è l’incontrovertibile fatto che il bacino rappresenta uno snodo insostituibile dei commerci globali, dato che da qui transita il 15% delle merci trasportate per via marittima (pari al 20% del valore degli scambi globali). Per quanto miope e parziale, questa percezione si è imposta nella maggior parte delle sedi europee e presso le loro opinioni pubbliche, che sono state indotte a focalizzarsi ossessivamente sul problema migratorio e su quello delle minacce alla sicurezza derivanti dal fenomeno jihadista. Aspetti certo preoccupanti e non secondari, ma che da un lato non rappresentano gli unici fattori di interazione con la sponda sud; dall’altro lato, proprio perché preoccupanti, avrebbero dovuto spronare il Vecchio Continente a fare di più e non di meno.

E invece, colpevolmente, l’Europa ha cercato di “ritrarsi” da questo mare, rinunciando a formulare una sua visione unitaria e coerente per la regione euro-mediterranea e a formulare delle strategie politiche e di sicurezza che affrontassero i problemi della sponda sud in modo non meramente reattivo. Dato che in geopolitica il vuoto non esiste, e complice anche una percepita volontà di disimpegno degli Stati Uniti, gli spazi geopolitici non presidiati dall’Occidente sono stati occupati in modo aggressivo e sfrontato da attori regionali (dalla Turchia, all’Egitto, all’Iran agli Emirati Arabi Uniti, alla stessa Russia per citarne alcuni). Ovvero, dagli interessi spesso confliggenti di singoli stati membri dell’Unione Europea. Tutto ciò ha portato a una marcata fragilità della matrice di sicurezza del regional security complex mediterraneo che ha rafforzato l’entropia geopolitica e la percezione che questo bacino fosse nuovamente “contendibile”, dopo la lunga stagione di egemonia di potere statunitense, con effetti destabilizzanti a cascata sulle sub-regioni gravitanti attorno allo spazio euro-mediterraneo.

Le vicende e gli errori di valutazione di questi anni devono oggi spingerci a riproporre con convinzione la necessità di una nuova iniziativa politica, socio-economica e culturale per questa regione, che offra una strategia dinanzi ai cambiamenti sistemici del XXI secolo. E in effetti, sia pure ancora troppo timidamente, sta emergendo in Europa la consapevolezza che la nostra passività degli ultimi anni deve lasciare spazio a un nuovo progetto per il Mediterraneo. Una nuova visione che non deve ripetere tuttavia gli errori dei passati progetti del cosiddetto Processo di Barcellona. Al contrario, occorre partire dalla consapevolezza che il bacino mediterraneo e le aree prospicenti non siano solo dei soggetti passivi nelle dinamiche geopolitiche odierne; bensì siano soggetti attivi che devono ambire a costruire una nuova architettura di human security del bacino allargato che possa essere condivisa dalle due sponde. Non già un formato di relazioni calato dall’alto (in questo caso dal Nord) verso i paesi del sud, ma un progetto che sia figlio di una riflessione condivisa per un bacino che sta sempre più divenendo un “mare globale”, del tutto inserito nelle dinamiche mondiali. E i cui attori locali sono portatori di interessi, percezioni di minaccia, valori e visioni che è fondamentale cercare di mettere a sistema con un approccio inclusivo. La sicurezza europea non può essere raggiunta solo guardando a est, ma richiede il nostro sforzo per affrontare anche gli squilibri, le tensioni, i conflitti e i mutamenti epocali del Global South.

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