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Il Qatar come forza diplomatica globale: i tentativi negoziali per i conflitti a Gaza e in Ucraina

Grazie al rafforzamento della partnership con gli Stati Uniti e alla politica estera multivettoriale, il ruolo di Doha risulta sempre più centrale nelle relazioni internazionali contemporanee. L’analisi di Giorgio Cella

Durante i conflitti di media-lunga durata, come si sta dimostrando essere quello in Ucraina, è una dinamica storica ricorrente quella per cui vari attori - più o meno legati a uno dei due Paesi belligeranti - si propongano come mediatori, sia per curare possibili interessi nazionali, sia soprattutto per brillare nel panorama globale e per accrescere la propria influenza e centralità in politica internazionale. Durante questi due anni e mezzo di guerra in Ucraina, abbiamo osservato vari attori statali, delle più diverse tipologie e latitudini, alternarsi sotto i riflettori dei media internazionali nel tentativo di intestarsi un ruolo decisivo verso una ricomposizione diplomatica del più grande conflitto (ad oggi) del Ventunesimo secolo: dalla Turchia alla Francia, dal Vaticano all’Arabia Saudita, dall’India al Qatar. In diversi periodi del conflitto, questi Stati hanno provato a portare a qualche sorta di distensione, chi in modo più incisivo, chi con più successo e visibilità, ma ciascuno ha costruito una piccola parte dell’architettura diplomatica che potrebbe in futuro sfociare in qualche tipo di negoziazione o, in primo luogo, quantomeno a una tregua. Il Vaticano, con la sua millenaria storia di gestione del potere e delle crisi internazionali, con la sua più antica diplomazia al mondo, con la sua determinazione a continuare sulla via del dialogo nonostante l’accentuarsi della violenza bellica, è stato in questo sforzo - aldilà dei risultati immediati - sicuramente un faro per le altre potenze che si sono poi alternate ai tavoli del negoziato.

Tra queste, il Qatar merita una riflessione specifica e occupa sicuramente un ruolo particolare, per una serie di ragioni. In primis, ci troviamo davanti al più piccolo - se si esclude l’eccezionalità vaticana - tra gli Stati che hanno assunto un ruolo negoziale di rilievo nel conflitto russo-ucraino. Nonostante l’esiguità territoriale e un irrilevante peso demografico (1,8 milioni di abitanti), l’emirato della dinastia degli Al Thani - oltre al suo più noto ruolo di potenza energetica globale - ha fatto proprio dell’attivismo diplomatico un suo punto di forza, trasformando il regno in un centro nevralgico della diplomazia globale.

Prima di addentrarci nello specifico del ruolo di Doha nelle crisi internazionali attuali, una riflessione a monte si impone all’attenzione e all’analisi dell’analista, quanto a quella dello storico. Il fiorire di nuove potenze e capitali diplomatiche di realtà geografiche fino a qualche decennio fa impensabili, specie da una prospettiva eurocentrica, è indicatore del mutamento di taluni equilibri diplomatici globali, considerando come oltre al Qatar, anche Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno avuto successi diplomatici con riferimento alla guerra in Ucraina, facilitando e permettendo vari scambi di prigionieri (una delle poche dimensioni che hanno tenuto vivo un barlume di dialogo tra le due nazioni belligeranti). Tale spostamento dell’attivismo diplomatico dal mondo euro-occidentale verso Oriente, trova una ragione anche nel fatto che, per quanto concerne questi due conflitti, l’Unione Europea (eccezion fatta per la Francia nella sua volontà di protagonismo e di velleità leaderistica europea) non ha potuto indossare le vesti dell’arbitro neutrale in quanto indirettamente coinvolta, in particolare nel conflitto russo-ucraino. Un’altra ragione di carattere esogeno che ha contribuito all’emersione di capitali diplomatiche fuori dal panorama europeo - oltre all’influenza globale conferitagli dal ruolo di esportatore mondiale di gas e petrolio per Stati come il Qatar e l’Arabia Saudita - è stato il peso che ha gradualmente acquisito il gruppo dei BRICS e la connessa tendenza a diversificare eventi e dinamiche di relazioni internazionali fuori dalla realtà euro-atlantica.

Fatte tali premesse, è il caso di analizzare cosa ha reso Doha un importante snodo delle relazioni diplomatiche globali del Ventunesimo secolo. Sono molte le situazioni di crisi geopolitiche e interstatali, nelle più svariate latitudini, dove negli ultimi anni il Qatar ha giocato un ruolo importante: dal rilascio di cittadini americani in Iran o in Venezuela a quello per i bambini ucraini in mano russa, dagli accordi tra l’amministrazione Trump e i talebani per il ritiro americano dall’Afghanistan sino a quelli tra Eritrea e Djibouti e a quelli nel Darfur. Mentre i tentativi negoziali per una tregua a Gaza sono ancora in evoluzione in questi giorni, quelli per portare a una soluzione negoziale tra Kiev e Mosca sono (quantomeno per ora) saltati per via dell’offensiva ucraina nella regione russa di Kursk, come rivelato dal Washington Post. Questa volontà manifesta di Doha nel voler emergere come grande mediatore su scala globale, oltre che l’implicito desiderio di espandere la propria influenza e il proprio prestigio nel mondo, deriva da un’esigenza di carattere domestico-regionale: ottenere un’aura di deterrenza, di aumentata sicurezza e più semplicemente anche di indipendenza e sovranità nel contesto del Golfo, sia rispetto al grande vicino saudita sia agli Emirati Arabi Uniti, competitor regionale del Qatar. Sembrano infatti lontane nel tempo le tensioni che portarono all’isolamento del Qatar organizzato al tempo (dal 2017 al 2021) da Arabia Saudita, Bahrein, Egitto ed Emirati Arabi Uniti per via della vicinanza di Doha a determinati movimenti islamisti della Fratellanza Musulmana e, soprattutto, a Teheran. Un ricordo che appare ancor più lontano se si guarda anche alla recente visita della delegazione europea a Doha (e a Riyad) da parte del presidente del consiglio europeo Charles Michel e del rappresentante speciale dell’UE per il Golfo Luigi di Maio, in vista del primo vertice tra EU e Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) che si terrà a ottobre a Bruxelles.

Per ottenere tale status di mediatore globale, tra i fondamentali, il Qatar ha stabilito una relazione particolare con gli Stati Uniti, ospitando sul suo territorio sin dal 2001 la più grande base aerea degli Stati Uniti in Medioriente, ad Al Udeid, nella zona desertica a sud-ovest della capitale, dove stanziano circa 10000 soldati americani. La base è stata ed è un importante centro per le operazioni militari di Washington in Medioriente. Il rapporto speciale con Washington si è recentemente manifestato anche sul piano simbolico, quando il direttore della CIA William J. Burns ha premiato con la medaglia “George Tenet” il capo dei servizi di intelligence di Doha, Abdullah bin Mohammed al-Khulaifi, per aver mantenuto la sicurezza nella regione e per aver anche saputo preservare gli interessi statunitensi nell’area del Golfo.

Altre due caratteristiche della diplomazia che Doha ha implementato negli anni sono una convinta neutralità e la volontà di parlare con tutti, compresi gruppi di potere politico-militari controversi come i Talebani o Hamas. Un ulteriore passo in avanti in termini di proiezione diplomatica estera, come anticipato, è il nuovo ruolo che Doha ha ottenuto anche per quanto concerne il conflitto in Ucraina, sconfinando quindi dal perimetro mediorientale-islamico. Nonostante l’offensiva nell’oblast di Kursk, il tentativo del Qatar potrebbe tornare utile in un futuro prossimo, quando dovrà vedersela con altre capitali della diplomazia globale che si sono altrettanto spese diplomaticamente in questi due anni e mezzo di guerra: parliamo della Turchia, dell’Arabia Saudita, della Svizzera, della Cina e dell’India, anch’esse assai desiderose di incassare un prestigioso ruolo in un negoziato finale o, financo, di poter ospitare una eventuale conferenza della pace.

Per quanto concerne il conflitto ucraino invece, è plausibile ritenere che una risoluzione di qualche tipo - nel caso vi si arrivasse - potrà sorgere da uno sforzo corale e multinazionale. Alla luce di tale complessità, qualsiasi negoziatore, nel tentativo di riuscire a creare le basi per una grande conferenza di pace finale, potrà tenere a mente l’interpretazione di cosa sia la diplomazia nel pensiero elaborato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per il quale “… (essa) è l’arte dell’intelligenza attraverso la quale esplorare soluzioni innovative, capaci di rappresentare un equilibrio fra posizioni anche assai distanti ed incolmabili”. Una definizione e un implicito orientamento negoziale che potrebbe costituire una guida concettuale per provare a sbrogliare l’incandescente quanto intricata matassa del conflitto in Ucraina.

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