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Il terremoto a Taiwan e i rischi per le supply chains globali

Il recente terremoto che ha colpito Taiwan ha confermato quanto la fragilità delle linee di approvvigionamento globali possa essere un rischio per l’economia e la sicurezza

Lo scorso 2 aprile Taiwan è stata colpita da un violento terremoto di magnitudo 7.4, che ha causato circa 1100 feriti e 13 morti oltre ad aver arrecato numerosi danni agli edifici. Le rigorose misure antisismiche hanno comunque permesso di ridurre notevolmente i danni alle strutture e alle persone, considerata l’entità del sisma (per fare un paragone circa 30 volte più potente di quello che nel 2009 colpì l’Aquila, dove i morti furono 309). L’isola non è nuova a terremoti di questa entità, come del resto l’area del Pacifico in cui si trova, interessata dallo scontro tra la placca tettonica euroasiatica e quella delle Filippine. Sono stati infatti numerosi, anche in tempi recenti, i terremoti che hanno colpito Taiwan con una magnitudo superiore a 7 punti. Addirittura, nel 1920, fu colpita da un terremoto catastrofico che superò gli 8 punti. Come il Giappone, anche Taiwan conosce questo genere di minacce naturali. Le scosse, oltre ad aver arrecato ingenti danni agli edifici dell’isola, hanno colpito anche il settore delle industrie produttrici di semiconduttori, le quali hanno di conseguenza dovuto interrompere le attività in via temporanea.

Proprio il settore hi-tech, ha reso Taiwan nel corso degli ultimi anni, uno dei paesi produttori più rilevanti sul piano internazionale. Infatti, le autorità hanno prontamente voluto chiarire che i normali livelli di produzione dovrebbero essere ristabiliti a breve, ma proprio un evento grave come quello del 2 aprile permette di evidenziare quanto siano rilevanti e attuali i rischi derivanti dall’impatto di disastri simili o di eventi imprevisti per molti settori strategici per l’economia mondiale, come appunto quello dei semiconduttori. Questi pericoli gravano sulle supply chains critiche, la cui fragilità è stata ulteriormente evidenziata anche in questa occasione.

Per comprendere meglio, nello specifico del settore hi-tech, Taiwan soddisfa il 26 % della domanda di semiconduttori mondiali. Le restanti quote di mercato sono suddivise tra Corea del Sud (21), Giappone (19), Cina (15), Stati Uniti (12) ed Europa (9). Il dato aumenta fino al 92 % se si considerano solo i microchip di ultima generazione, di cui il 65 % viene venduto negli Stati Uniti.

I dati forniti dal Ministero dell’Economia taiwanese confermano però lo stretto legame di mutua dipendenza rispetto all’economia della Repubblica Popolare cinese (PRC). Washington e Pechino, infatti, rappresentano cumulativamente circa il 43% delle importazioni ed esportazioni totali dell’isola.

Nel breve periodo, l’interruzione della produzione di semiconduttori e microchip dovuta al terremoto non sembrerebbe così grave da produrre ripercussioni significative sulle economie dei principali acquirenti e nei relativi settori collegati, come quello della difesa, della telefonia, degli apparati elettronici e della salute. Ma data la rilevanza di questo genere di produzioni, nel quadro della rivoluzione digitale e delle nuove tecnologie, una crisi di lunga durata nella loro produzione potrebbe causare un danno molto serio alla stabilità e alla sicurezza delle catene di valore globali. Esposte in maniera notevole, date le caratteristiche strutturali dell’economia globale, al rischio di rallentamenti e interruzioni. Infatti, la criticità e la fragilità del sistema, rispetto al periodo antecedente il 2020, è emersa in maniera sempre più evidente a partire dallo scoppio della pandemia da Covid-19. Questo è stato l’avvenimento che ha causato i danni più significativi, pregiudicando notevolmente la stabilità del sistema, tanto che l’indice che monitora la pressione sulle catene di valore – la Global Supply Chain Pressure Index (GSCPI) – è cresciuto in maniera esponenziale a seguito delle prime misure di contenimento decise nell’inverno del 2020.

Oltre alla crisi esplosa con la pandemia, che ha avuto un impatto per certi versi storico sul sistema economico globale, altri eventi inattesi, e nuovi conflitti, hanno ulteriormente complicato il quadro. Nel 2021 il blocco della nave container Ever Given nel canale di Suez aveva infatti dimostrato come un incidente nato anche per cause naturali potesse compromettere una delle principali arterie logistiche del pianeta, in cui annualmente transita il 12% del commercio mondiale e il 30% delle navi container. Un anno più tardi, con l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, si è poi assistito all’interruzione delle forniture dei beni di prima necessità come il grano, con serie ricadute per la sicurezza alimentare dei paesi importatori, privi di soluzioni alternative nell’immediato o di strategie e risorse per diversificare le proprie forniture nazionali. A questi grandi eventi di portata globale si sono poi aggiunti, via via nel corso degli anni, disastri naturali e calamità come terremoti o inondazioni, che hanno colpito singoli paesi o regioni. Con il fattore derivante dagli eventi atmosferici disastrosi diventati sempre più frequenti negli ultimi tempi, che pendono come una spada di Damocle sulla sicurezza delle infrastrutture e della logistica in molte parti del globo. Recentemente l’aumento delle tensioni nell’Africa orientale, l’acuirsi del fenomeno della pirateria nel Golfo di Aden e, soprattutto, gli attentati terroristici nel Mar Rosso da parte del gruppo yemenita degli Houthi hanno causato ampie perdite economiche alle società di shipping e, a cascata, a tutti gli stakeholder interessati dal transito delle merci attraverso lo stretto di Bab-el-Mandeb.

Le ricadute economiche, dirette e indirette, di questi avvenimenti sono state molto significative, con una spirale inflattiva che ha colpito tanto l’Occidente quanto le economie emergenti e i paesi del Global South. Nell’attuale contesto internazionale, dove sia le minacce antropiche che quelle naturali possono arrecare un serio danno alle catene di valore, appare ancora più importante attenzionare le supply chains di natura critica – ovvero quelle che riguardano il commercio di beni dall’alta valenza strategica, tali per cui un’interruzione o un rallentamento potrebbero provocare delle conseguenze negative sulla sicurezza nazionale dei paesi, come nel caso dei semiconduttori provenienti da Taiwan.

Sebbene il teatro indo-pacifico sia al momento privo di conflitti in corso o di fenomeni terroristici in grado di arrecare danni o minacce ai traffici marittimi, le relazioni tra Taipei e Pechino continuano a rappresentare un elemento di potenziale instabilità per l’intera regione. Negli ultimi anni si è assistito ad una crescita delle incursioni della Repubblica Popolare cinese nella zona di identificazione aerea e marittima di Taiwan. In una recente audizione presso il Congresso degli Stati Uniti, il comandante del Comando Indo-Pacifico, John Aquilino, ha ad esempio dichiarato che entro il 2027 Pechino potrebbe raggiungere le capacità militari necessarie per invadere l’isola. Sebbene la PRC abbia più volte affermato di voler “unificare la provincia di Taiwan” in modo pacifico, la regione sta inequivocabilmente assistendo ad un proliferare di iniziative politiche, diplomatiche e militari che mirano a rafforzare la proiezione strategica degli Stati Uniti e dei loro alleati nella regione, anche in funzione di contenimento delle azioni di influenza cinese. Come ad esempio iniziative quali l’AUKUS, il QUAD e gli accordi bilaterali sottoscritti dai paesi del Sud-Est Asiatico, preoccupati dal peso crescente e dalle attività della Cina nella regione.

Non pochi analisti hanno rappresentato la possibilità che le crescenti tensioni nell’area e la competizione che vede schierati Stati Uniti ed alleati da una parte, Cina, Russia e Corea del Nord dall’altra, possano addirittura condurre verso una possibile escalation militare di cui probabilmente un’eventuale crisi con epicentro Taiwan potrebbe rappresentare il casus belli più rilevante.

Date le crescenti relazioni commerciali e l’importanza che le produzioni provenienti da alcuni di questi paesi hanno nel quadro delle nuove tecnologie e in molti settori economici del Vecchio Continente, è chiaro che anche per l’Europa l’Indo-Pacifico rappresenta un’area dall’elevata valenza strategica. In particolare, proprio le catene di valore provenienti dall’Asia – e in particolare da Taiwan – presentano alcune vulnerabilità che possono arrecare un danno alla sicurezza del settore hi-tech europeo e in generale al sistema produttivo in molti ambiti anche più tradizionali (si pensi per esempio all’automotive). Per fare in modo che tali criticità possano essere superate, una strada potrebbe essere quella della diversificazione delle forniture o la creazione di catene di valore e rotte commerciali alternative, in modo da ridurre l’eccessiva dipendenza da un singolo paese oppure da una singola via marittima o terrestre. Le tensioni crescenti, i nuovi conflitti e i pericoli derivanti da gruppi terroristici e criminali rappresentano ormai per molte rotte tradizionali una seria minaccia. Ma proprio nell’attuale scenario internazionale, dove l’alta tecnologia è sempre di più il cuore delle attività civili e militari, e il settore dei semiconduttori costituisce uno dei principali asset da monitorare con attenzione, garantire la sicurezza delle catene di approvvigionamento critiche in questi, come in tutti i settori industriali interessati, è ormai una necessità per tutte le economie europee. Un evidente esempio di come geopolitica, sicurezza ed economia si intrecciano tra loro in maniera sempre più stretta e di come, le diverse forme di interdipendenza dell’economia globale, consolidatesi nel periodo di massima espansione della globalizzazione, siano oggi spesso messe a rischio proprio dal verificarsi di fatti eccezionali e spesso imprevedibili. Con potenziali gravi ricadute, anche nella vita quotidiana delle persone, a grandi distanze dai teatri in cui conflitti o eventi disastrosi si sono verificati.

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