Approfondimenti

Taiwan e la contesa per il Mar Cinese meridionale

Un nodo strategico tra rivalità regionali e ambizioni globali: la centralità di Taiwan nello scacchiere indo-pacifico e le tensioni crescenti attorno al Mar Cinese Meridionale tra sovranità contesa, sicurezza marittima e proiezione di potenza. Di seguito l’approfondimento di Federico Deiana, pubblicato nel nostro Report Annuale 2025.

Da diversi anni la regione del Mar Cinese meridionale è tornata al centro delle relazioni internazionali contemporanee. Nonostante una diffusa stabilità politica, una prolungata crescita economica e soprattutto l’assenza di gravi confitti attivi, si tratta di una macroarea caratterizzata da una latente tensione di ordine securitario.

Centro nevralgico della competizione globale tra Repubblica Popolare cinese e Stati Uniti, il teatro è infatti contraddistinto da numerose “faglie” di instabilità. Dal controllo dei chokepoints fondamentali, come Malacca, la Sonda e Lombok, passando per le dispute territoriali e marittime, per arrivare all’affaire Taiwan. Dossier pluridecennali, che negli ultimi tempi sono stati influenzati anche dalla crescita sul piano economico e politico di attori come Singapore, il Vietnam o l’Indonesia, dal maggiore interesse per la regione di player come la Federazione Russa e alcuni paesi europei, e dal rafforzamento del legame con le dinamiche e gli attori dell’Oceano Indiano e di quello Pacifico, in primis Nuova Delhi, Tokyo e Canberra.

Si tratta, inoltre, di un gigantesco mercato in espansione, cruciale per il commercio mondiale e, tuttavia, avviato in parallelo verso una riproposizione della famosa “Trappola di Tucidide”: vige qui un classico esempio di dilemma della sicurezza, nel quale i diversi attori coinvolti, anche a fronte di floride relazioni economiche, sentono crescere il peso della minaccia di una guerra e rispondono incrementando le proprie capacità militari[1]. Il risultato è un complesso sistema di alleanze e partenariati, creato con lo scopo di bilanciare il peso delle due grandi potenze in questione, Washington e Pechino, senza però riproporre uno schema di divisione in blocchi, ma ricercando una politica di multi-allineamento che faccia emergere anche le singole voci – con le dovute differenze a seconda dei contesti nazionali[2].

Taiwan: cresce la tensione intorno all’isola

Tra le linee di faglia del panorama internazionale, Taiwan occupa per certo una posizione di primaria importanza. Dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, il conflitto civile cinese proseguì fino al 1949 – anno in cui le forze comuniste guidate da Mao Zedong riuscirono a ottenere il controllo su quasi tutto il territorio continentale, dando vita alla Repubblica Popolare Cinese (PRC) con capitale Pechino. I nazionalisti del Kuomintang, guidati da Chiang Kai-shek, si ritirarono invece nell’isola di Formosa, nella quale la Repubblica di Cina (ROC), istituita nel 1912, poté continuare ad esistere con Taipei capitale de facto del paese[3]. Negli anni immediatamente successivi, la stragrande maggioranza dei paesi riconobbe la ROC come legittima titolare della sovranità sull’intera Cina, con annessa membership alle Nazioni Unite e seggio permanente al Consiglio di Sicurezza. Dagli anni 70’ vi fu, però, una progressiva virata diplomatica verso la PRC. L’Italia riconobbe Pechino come legittima titolare della sovranità cinese nel 1970. Nel 1971 Taipei perse il seggio all’ONU e, dopo la storica apertura di Kissinger e Nixon, nel 1979 anche gli Stati Uniti di Carter smisero di riconoscere l’autorità della ROC. Da allora una certa ambiguità sul dossier Taiwan permea la comunità internazionale, tanto che, pur restando ancorati al principio “Una Sola Cina” che premia Pechino, diversi paesi – tra cui l’Italia e gli stessi Stati Uniti – intrattengono relazioni bilaterali con Taiwan, pur in assenza di una formale normalizzazione[4]. Nel 1979 fu promulgato da Washington il Taiwan Relations Act (TRA), una legge federale che disciplina le relazioni bilaterali con Taipei. In particolare, il TRA impegna gli USA a mantenere stabili relazioni economiche e culturali con l’isola e a garantire “sufficienti capacità di autodifesa”[5]. Pechino, al contrario, continua a reclamare la propria sovranità su Taiwan. Come fatto con le città di Macao e Hong Kong, la PRC – stando ai proclami ufficiali – intende estendere il proprio controllo sull’isola entro il 2049.

Dagli anni 70’ in poi le relazioni di Pechino con Washington si sono evolute notevolmente[6]. La Repubblica Popolare ha visto crescere il suo peso sul versante economico e commerciale. L’ingresso nel WTO nel 2001 e la crisi finanziaria globale del 2008, in particolare, hanno proiettato Pechino verso la primazia globale, suscitando le preoccupazioni americane che questo potere economico, unito ad una numerosissima componente demografica (1,4 miliardi di persone), possa un giorno trasformarsi in hard power politico e militare. La dottrina strategica statunitense del Pivot to Asia, lanciata nel 2011, rappresenta in tal senso una manifestazione plastica della prioritaria importanza data alla politica di contenimento della PRC rispetto ad altre questioni storicamente centrali nell’agenda estera di Washington, come la stabilità di Africa e Medio Oriente o la lotta al terrorismo[7].

Da allora ad oggi, il conteinment americano della PRC si è sviluppato su cinque direttrici principali: il miglioramento delle capacità militari, con un focus prioritario sulla dottrina del multi-dominio; l’utilizzo di strumenti di guerra economica come i dazi per ridurre la crescita cinese; la creazione di un complesso sistema di alleanze e partnership, bilaterali e minilaterali, nella regione; il contrasto all’influenza di Pechino in altri teatri del pianeta mediante una maggiore “strutturazione” dei legami tra i paesi like-minded; e infine, il rafforzamento di Taiwan. Pur non compiendo mai il passo del riconoscimento formale e restando ancorata al principio diplomatico della “One China Policy”, Washington ha, infatti, considerevolmente aumentato il livello di engagement con Taipei negli ultimi anni. In parallelo, Pechino ha incrementato la pressione sull’isola, adottando un approccio sempre più assertivo.

Il 2024, in tal senso, è stato probabilmente l’anno più complesso del XXI secolo. Nella Repubblica di Cina le elezioni presidenziali di gennaio hanno sancito la vittoria del candidato del partito Democratico Progressista (DPP), Lai Ching-te – vicepresidente sotto l’uscente Tsai Ing-wen – con oltre il 40% delle preferenze. Gli altri due candidati principali sono stati Hou Yu-ih del Kuomintang (KMT) con il 33.5% e Ko Wen-je del partito Popolare di Taiwan (TPP) con il 26.5 %. Nelle concomitanti elezioni parlamentari per il Legislative Yuan nessun partito ha, invece, raggiunto la necessaria maggioranza di 57 seggi su 113: il KMT ne ha ottenuto 52, il DPP 51 e il TPP 8. A questi vanno, poi, aggiunti altri due candidati indipendenti[8].

La tornata elettorale sembra aver garantito al paese una continuità politica con la precedente amministrazione DPP. Attualmente, si tratta del partito più lontano dall’idea di una potenziale riunificazione con Pechino, a differenza del Kuomintang che, a partire dai primi anni 2000, ha assunto posizioni più concilianti con la PRC. Non a caso, la vittoria di Lai Ching-te ha avuto come conseguenza l’aumento significativo delle minacce e dei comportamenti aggressivi da parte della Repubblica Popolare contro l’isola, tra cui figurano l’inasprimento delle pene per chi sostiene l’indipendenza di Taiwan (dal 21 giugno è prevista anche la pena di morte), più frequenti campagne di disinformazione, l’invio di palloni spia sopra le città e i siti strategici, oltre 2 milioni di attacchi cyber contro i network governativi (dato raddoppiato rispetto al 2023), il sabotaggio di alcuni cavi sottomarini nello stretto e, soprattutto, numerose intrusioni nello spazio di identificazione aerea (ADIZ)[9] e nelle acque di Taipei, comprese le zone proibite intorno agli arcipelaghi Kinmen e Matsu[10].

A tal riguardo i momenti di maggiore tensione durante l’anno si sono verificati il 23-24 maggio, in concomitanza con l’assunzione della carica da parte del neoeletto presidente, il 14 ottobre, in seguito al discorso di Lai Ching-te per la festa nazionale di Taiwan del 10 ottobre (il Double Ten Day) e soprattutto tra il 9 e l’11 dicembre. Nelle prime due occasioni Pechino ha organizzato delle esercitazioni militari, rispettivamente chiamate Joint Sword 2024 A e B, durante le quali l’isola di Formosa è stata interamente circondata via mare e via aria[11]. A dicembre, invece, in occasione del tour diplomatico che Lai Ching-Te ha svolto a Guam, nelle Hawaii, a Palau, a Tuvalu e nelle isole Marshall, la PRC ha dato vita alla più grande esercitazione marittima dai tempi della crisi dello stretto di Taiwan nel 1996. A differenza delle Joint Swords, a dicembre non vi è stata alcuna comunicazione ufficiale, è stata simulata l’intercettazione di navi e aerei ostili ed è stato creato un blocco navale per restringere l’accesso dal Pacifico alla prima catena di isole[12].

Nel corso dell’anno, il presidente Lai Ching-Te ha risposto alle crescenti minacce attraverso il potenziamento delle capacità difensive di Taiwan. Oltre a elevare il periodo di leva obbligatoria da 4 mesi a 1 anno, sono state organizzate diverse esercitazioni, riguardanti anche la popolazione civile, le imprese e le infrastrutture. Tra gli obiettivi principali vi è stato quello di migliorare la prontezza e la resilienza dell’isola in caso di emergenza, sia essa di natura antropica o naturale[13]. Proprio ad aprile, ad esempio, Formosa è stata colpita da un violento terremoto di magnitudo 7.4 – molto comune nell’isola –, che ha causato oltre 10 morti e 900 feriti e che ha rischiato di arrecare gravi danni anche al settore chiave dei semiconduttori, rispetto al quale Taiwan, da sola, è responsabile del 60% circa della produzione su scala mondiale. Sul fronte politico e militare, è stato ulteriormente rafforzato il legame con gli alleati e soprattutto con gli Stati Uniti, sia rispetto a esercitazioni militari congiunte, attività di addestramento e info-sharing, sia per quanto concerne la vendita di armamenti, che con Washington ha raggiunto la quota complessiva nel 2024 di 3.6 miliardi di dollari[14].

Mar Cinese meridionale: tra dispute territoriali ed equilibrismo internazionale

L’anno non è stato più tranquillo per quel che concerne gli altri attori del Mar Cinese meridionale. Sull’area gravano, infatti, diverse rivendicazioni territoriali e marittime, che hanno portato Pechino ad adottare un atteggiamento sempre più assertivo con i paesi della regione.

Attraverso la dottrina che prende il nome di Linea dei Nove Tratti o Nine-Dash-Line (diventati dieci nel 2023 in modo da includere Taiwan e le isole Spratly), la Repubblica Popolare cinese ha infatti proclamato la propria sovranità sul 90% del South China Sea. Contrariamente a quanto stabilito dalla Convenzione di Montego Bay sul diritto del Mare (ratificata dalla PRC nel 1996), tale dottrina adotta metodi di calcolo delle zone marittime ampiamente estensivi, tramite, ad esempio, l’utilizzo di linee di base rette, l’inclusione di zone sommerse o la rivendicazione di presunti “diritti storici”. La formulazione di Pechino renderebbe l’area sottoposta alla sua sovranità ben più ampia delle 12 miglia nautiche di Mare Territoriale, le 24 di Zona Contigua e le 200 della Zona Economica Esclusiva previste dalle norme del diritto del mare, andando ad includere aree di competenza di Taiwan, Vietnam, Malesia, Brunei e delle Filippine[15].

Nonostante il Tribunale Permanente di Arbitrato abbia sancito nel 2016 l’illegalità di tali pretese – in particolare quelle ai danni di Manila –, Pechino ha rigettato in toto la sentenza emessa dall’organo giurisdizionale internazionale. Dopo aver riformulato le proprie rivendicazioni marittime, pur senza modificarne la sostanziale illegittimità[16], la PRC ha quindi intensificato attività nell’area quali la costruzione di isole artificiali, la creazione di avamposti militari e l’utilizzo di pratiche intimidatorie contro le imbarcazioni e gli aerei passanti per i territori contesi, che comprendono l’uso di cannoni ad acqua da parte della Guardia Costiera contro le navi mercantili e i pescherecci, manovre pericolose, esercitazioni dalle grandi dimensioni, sconfinamenti aerei, e attività di ricognizione e spionaggio.

Di fronte a tale comportamento e preoccupati anche dal crescente potere militare della Repubblica Popolare, i player del South China Sea negli ultimi anni si sono avvicinati – politicamente e sotto il profilo securitario – a Washington, pur rimanendo legati da una profondissima relazione di interdipendenza economica con Pechino[17]. Tra i paesi in questione si rilevano, comunque, numerose differenze di approccio, emerse anche durante il 2024[18].

Le Filippine sono senza dubbio il paese più esposto alle minacce di ordine securitario, in particolare per quanto riguarda l’aperta contesa con la PRC per l’arcipelago delle Spratly e, in particolare, per gli atolli Second Thomas, Scarborough, Sabina e il Mischief Reef. Durante l’anno si sono registrati un numero crescente di episodi di tensione e incidenti, spesso successivi ad affermazioni di Manila contro Pechino o a esercitazioni militari con gli Stati Uniti. Da notare, ad esempio, come a fine settembre la PRC abbia effettuato nel Pacifico il lancio di un missile balistico intercontinentale DF-31AG – il primo dal 1980 – che ha sorvolato la ADIZ delle Filippine, per poi atterrare vicino alla Polinesia francese. Dall’elezione del presidente Ferdinand Marcos Jr nel 2022, non a caso, le relazioni bilaterali con Washington si sono rafforzate notevolmente, soprattutto in ambito securitario. Oltre ad essere stato ampliato il trattato di mutua difesa esistente dal 1951 con ulteriori ambiti di cooperazione militare e l’estensione del numero di basi utilizzabili dagli USA da 5 a 9, vi sono state numerose esercitazioni congiunte. Significativo citare in tal senso la Balikatan 24 – la più grande per numeri – e la Salaknib 24 di aprile, durante la quale, per la prima volta, è stato schierato a Luzon un sistema missilistico a medio raggio (MRC) della 1° Task Force Multi-Dominio americana[19]. Lo stesso mese vi è stato anche il primo summit tra il capo di stato filippino, l’omologo americano Biden e il premier giapponese Fumio Kishida, con il quale i tre leader hanno voluto ribadire la propria condanna verso l’atteggiamento aggressivo di Pechino e la volontà di approfondire i reciproci legami economici e securitari esistenti[20].

Il Vietnam, invece, ha portato avanti una politica più cauta. Negli ultimi anni Hanoi, pur restando ancorata al principio strategico dei “quattro no” – relativi a eventuali alleanze militari, basi straniere sul suolo vietnamita, accordi volti a contrastare un paese terzo e uso della forza – si è progressivamente avvicinata a Washington, con cui è stato elevato lo status delle relazioni bilaterali al rango di partenariato strategico nel 2023. La morte del segretario generale del Partito comunista, Nguyễn Phú Trọng, il 19 luglio 2024 e l’assunzione di tale carica – la più importante del paese – da parte del presidente Tô Lâm, non sembrano aver cambiato il percorso intrapreso in tal senso. Ad esempio, il ministro della Difesa, Phan Văn Giang – in un incontro tenutosi nel settembre 2024 al Pentagono con il Segretario americano Lloyd Austin – ha sottolineato la volontà di migliorare ulteriormente la cooperazione nel settore Difesa tra Hanoi e Washington. Tra i diversi ambiti spiccano, in particolare, quello della sicurezza marittima, del disaster relief e del commercio di armamenti. Da notare, infatti, come il paese abbia da tempo iniziato una politica di diversificazione delle forniture militari per ridurre l’eccessiva dipendenza (circa 80%) di armi e munizioni di derivazione russa. Secondo i dettami della sua bamboo diplomacy, durante il 2024, Hanoi ha anche rafforzato le relazioni con Pechino. Nonostante rimangano aperte le dispute sia sulle isole Spratly sia sulle Paracelso, con frequenti prevaricazioni da parte della PRC, a ottobre è stato siglato un accordo tra i due paesi per migliorare ulteriormente gli interscambi economici, che attualmente si assestano su una cifra di circa 200 miliardi di dollari annui[21].

In modo analogo, l’Indonesia appare più interessata ad emergere come attore in ascesa del Global South, che non a schierarsi con una delle due superpotenze. Anche in seguito all’elezione del nuovo presidente Prabowo Subianto, avvenuta a marzo 2024, Giacarta sembra infatti intenzionata a proseguire secondo la sua storica politica di bilanciamento, che prende il nome di “Active and Free Foreign Policy[22]. Ad esempio, dopo aver assunto l’incarico, la prima visita ufficiale all’estero ha visto il neoeletto capo di Stato compiere un tour che ha riguardato prima la Repubblica Popolare cinese e subito dopo gli Stati Uniti, per poi volare in Perù – sede dell’APEC forum 2024 –, Brasile, Regno Unito ed Emirati Arabi Uniti. Nonostante le sporadiche incursioni della PRC nelle acque intorno alle isole Natuna, nel corso dell’anno sono riprese, dopo oltre un decennio di inattività, le esercitazioni militari con Pechino. Al tempo stesso, la Garuda Shield del 2024 – esercitazione congiunta con gli Stati Uniti inaugurata nel 2007 –, è stata caratterizzata da una maggiore complessità rispetto agli anni precedenti e ha registrato una più ampia partecipazione da parte degli altri paesi like-minded della regione[23]. Il più importante successo diplomatico del paese è stato, però, l’ingresso nel gruppo dei BRICS, divenuto ufficiale il 1° gennaio 2025[24].

Per quanto concerne gli altri paesi della regione, il 2024 ha sostanzialmente confermato la collocazione politica dei diversi attori. La Thailandia e Singapore rappresentano i due principali partner di Washington[25]. Come Manila, anche Bangkok è un major-non NATO Ally dal 2003 e firmatario di un trattato di alleanza sin dagli anni 60’, esteso e rinnovato nel 2022. In modo analogo, Singapore ha in vigore con Washington diversi accordi che prevedono l’utilizzo di alcune facilities della città-stato da parte delle Forze Armate americane, periodiche esercitazioni congiunte, cooperazione sul versante tecnologico-industriale e un cospicuo volume di vendite di armamenti, comprendenti anche il caccia multiruolo stealth F-35. Tutto ciò non ha comunque impedito a Thailandia e Singapore di intrattenere stabili relazioni con Pechino, con la quale vengono regolarmente condotte esercitazioni militari. Una politica di equilibrismo internazionale, questa, che non dovrebbe subire variazioni con i nuovi premier di Bangkok e Singapore, rispettivamente Paetongtarn Shinawatra e Lawrence Wong, entrati in carica a metà del 2024.

Un discorso simile riguarda la Malesia e il Brunei. Entrambi i paesi sono, infatti, parte della contesa per le isole Spratly e vantano diversi accordi di cooperazione con gli Stati Uniti, con cui regolarmente organizzano esercitazioni militari. Al tempo stesso persistono solidi legami con Pechino, soprattutto di natura economica. Pur avendo avviato un dialogo con gli USA negli ultimi anni, il Laos e la Cambogia sono, invece, molto più vicini alle posizioni della PRC. Con Phnom Penh, in particolare, vi sarebbe anche un accordo per l’utilizzo della base navale di Ream da parte della marina militare di Pechino.

L’ombra della guerra: quali implicazioni per la sicurezza internazionale?

Nel complesso, la regione appare, dunque, in grande fermento. A Taipei il rischio di un conflitto con Pechino viene percepito come sempre più probabile, mentre nel resto del Mar Cinese meridionale i player regionali cercano di rimanere agganciati all’economia della PRC, pur volendo migliorare la propria sicurezza con più stretti legami con Washington.

In tal senso, l’elezione di Donald Trump come 47° presidente degli Stati Uniti rappresenta, al tempo stesso, una conferma dell’importanza della regione per l’intero pianeta e un’incognita per il futuro. Sebbene il contenimento della Repubblica Popolare fosse un punto comune di repubblicani e democratici – emerso più volte durante la campagna elettorale[26] –, le prime scelte del tycoon lasciano ipotizzare un approccio molto duro verso la PRC. A differenza del passato sembra emergere, ad esempio, l’intenzione di dare più peso alla componente economico-commerciale come strumento di politica estera, come confermano i dazi imposti subito dopo l’insediamento.

In parallelo, dovrebbe continuare il rafforzamento della proiezione americana sul piano politico e militare. Negli ultimi dieci anni, strumenti come il QUAD, l’AUKUS e il Trilateral Pact di Camp David (con Tokyo e Seul) hanno permesso agli Stati Uniti di allargare la loro rete di alleanze, riuscendo, al tempo stesso, a integrare maggiormente le due macroregioni ai confini occidentale e orientale del Mar Cinese meridionale – l’Oceano Indiano e quello Pacifico[27]. Paesi come l’India, l’Australia, il Giappone, la Corea del Sud, la Papua Nuova Guinea e perfino gli stati insulari di Palau, Micronesia e le Isole Marshall sono ora parte di un ampio schema securitario, più o meno formalizzato, che vede nella Repubblica Popolare la principale minaccia dell’area[28][29]. Al tempo stesso, anche l’Unione Europea e i paesi del G7 si sono progressivamente allineati a posizioni più rigide nei confronti di Pechino, ad esempio includendo nel loro operato il concetto cardine di de-risking. La stessa NATO ha iniziato recentemente a considerare la PRC una minaccia sistemica alla sicurezza dell’Alleanza. Con l’emergere di una sempre più profonda convergenza tra Pechino e Mosca – e tra Mosca e Pyongyang – è infatti diventato più nitido il legame tra le dinamiche dell’Indo-Pacifico e quelle dei teatri più vicini all’Europa, in primis il Mediterraneo allargato.

Sebbene non vi siano gli elementi per poter parlare di uno stabile allargamento all’Indo-Pacifico dell’operato e del ruolo della NATO, data la sua natura prettamente Atlantica, e dell’UE, data la distanza geografica, è però possibile che il legame con il teatro in questione sia destinato a crescere negli anni a venire. Fino a che punto si spingerà questo impegno dipenderà dal futuro di Taiwan e da come evolveranno le numerose faglie di instabilità che contraddistinguono la regione.

Per saperne di più, consulta il nostro Report Annuale


[1] Graham Allison, Destinati alla guerra. Possono l'America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?, Fazi Editore, 2018.

[2] Sebastian Strangio, In the dragon's shadow: Southeast Asia in the Chinese century, Yale University Press, 2020.

[3] La storica capitale della ROC è Nanchino. L’attuale Costituzione non specifica una capitale de jure.

[4] William R. Keylor, Un mondo di nazioni, Guerini Scientifica, 2014

[5] Taiwan Relations Act, US Congress, https://www.congress.gov/96/statute/STATUTE-93/STATUTE-93-Pg14.pdf

[6] Henry Kissinger, Cina, Mondadori, 2018

[7] Hillary Clinton, America’s Pacific Century Speech, 10 Novembre 2011, US Department of State, https://2009-2017.state.gov/secretary/20092013clinton/rm/2011/11/176999.htm

[8] Brian Hart et al, Taiwan’s 2024 Elections: Results and Implications, CSIS, 19 Gennaio 2024, https://www.csis.org/analysis/taiwans-2024-elections-results-and-implications

[9] Nel 2024 è stato registrato il numero di intrusioni aree più alto di sempre (3.073), con il picco avvenuto nel mese di luglio (439).

[10] US Department of Defense, Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China, 2024, https://media.defense.gov/2024/Dec/18/2003615520/-1/-1/0/MILITARY-AND-SECURITY-DEVELOPMENTS-INVOLVING-THE-PEOPLES-REPUBLIC-OF-CHINA-2024.PDF

[11] CSIS China Power, Analyzing China’s Escalation After Taiwan President William Lai’s National Day Speech, https://chinapower.csis.org/china-taiwan-joint-sword-2024b-coast-guard/

[12] Institute for the Study of War, China–Taiwan Weekly Updates, https://www.understandingwar.org/backgrounder/china%E2%80%93taiwan-weekly-updates

[13] Drew Thompson, Whole-of-society resilience: A new deterrence concept in Taipei, 6 Dicembre 2024, Brookings, https://www.brookings.edu/articles/whole-of-society-resilience-a-new-deterrence-concept-in-taipei/

[14] Defense Security Cooperation Agency, Major Arms Sales, January-December 2024, https://www.dsca.mil/press-media/major-arms-sales

[15] Miles Kenny, Territorial disputes in the South China Sea, Britannica, https://www.britannica.com/topic/territorial-disputes-in-the-South-China-Sea

[16] US Department of State, Limits in the Seas N. 50: People’s Republic of China – Maritime Claims in the South China Sea, 2022, https://www.state.gov/wp-content/uploads/2022/01/LIS150-SCS.pdf

[17] IISS, Asia-Pacific Regional Security Assessment 2024, https://www.iiss.org/globalassets/media-library---content--migration/files/publications---free-files/aprsa-2024/asia-pacific-regional-security-assessment-2024_sp.pdf

[18] Andrew Yew, Cultivating America’s alliances and partners in the Indo-Pacific, 16 Settembre 2024, Brookings, https://www.brookings.edu/articles/cultivating-americas-alliances-and-partners-in-the-indo-pacific/

[19] US Army Pacific, US Army’s Mid-Range Capability makes its first deployment in the Philippines for Salaknib 24, 15 Aprile 2024, https://www.usarpac.army.mil/Our-Story/Our-News/Article-Display/Article/3740807/us-armys-mid-range-capability-makes-its-first-deployment-in-the-philippines-for/

[20] Erin L. Murphy e Gregory B. Poling, A ‘New Trilateral Chapter’ for the United States, Japan, and the Philippines, CSIS, 15 aprile 2024, https://www.csis.org/analysis/new-trilateral-chapter-united-states-japan-and-philippines

[21] Lauren Mai et al, An Indispensable Upgrade: The U.S.-Vietnam Comprehensive Strategic Partnership, CSIS, 19 Agosto 2024, https://www.csis.org/analysis/indispensable-upgrade-us-vietnam-comprehensive-strategic-partnership

[22] Ben Bland, The President Who Never Picked a Side, Foreign Affairs, 17 Ottobre 2024, https://www.foreignaffairs.com/indonesia/president-who-never-picked-side

[23] Isaac Copeland, Super Garuda Shield 2024: Highlighting multinational partnerships, joint interoperability, US Army, 6 Settembre 2024, https://www.army.mil/article/279453/super_garuda_shield_2024_highlighting_multinational_partnerships_joint_interoperability

[24] Lauren Mai, The Latest on Southeast Asia: Indonesia joins BRICS, CSIS, 16 Gennaio 2025, https://www.csis.org/blogs/latest-southeast-asia/latest-southeast-asia-indonesia-joins-brics

[25] Congressional Research Service, Thailand: Background and U.S. Relations, 26 Agosto 2024, https://crsreports.congress.gov/product/pdf/IF/IF10253; Congressional Research Service, U.S.-Singapore Relations, 20 Maggio 2024, https://sgp.fas.org/crs/row/IF10228.pdf

[26] Derek Grossman, The State—and Fate—of America's Indo-Pacific Alliances, RAND, 1 Novembre 2024, https://www.rand.org/pubs/commentary/2024/11/the-state-and-fate-of-americas-indo-pacific-alliances.html

[27] Shihoko Goto et al, Hitting the Reset Button in the Indo-Pacific, Wilson Center, 7 Gennaio 2025, https://www.wilsoncenter.org/publication/hitting-reset-button-indo-pacific

[28] Palau, Micronesia e le Isole Marshall sono parte del Compacts of Free Association (COFA), un accordo di natura politica e militare con gli Stati Uniti risalente agli anni ‘80, recentemente rinnovato per un altro ventennio. V. Charles Edel e Kathryn Paik, The Compacts of Free Association, Congress, and Strategic Competition for the Pacific, CSIS, 31 Gennaio 2024, https://www.csis.org/analysis/compacts-free-association-congress-and-strategic-competition-pacific

[29] Non a caso, accanto alla dottrina strategica della prima e della seconda catena di isole (tra il Mar Cinese Meridionale e il primo tratto del Pacifico), ultimamente hanno acquisito notevole importanza i concetti di terza catena di isole (dalle Aleutine all’Oceania, passando per le Hawaii) e soprattutto di quarta e quinta catena, localizzate nell’Oceano Indiano e centrate rispettivamente intorno all’isola di Diego Garcia e alle coste dell’Africa orientale. V. Frederick “Andy” Cichon, Learn from the Fall of the Philippines: Prepare the Third Island Chain, US Naval Institute, Dicembre 2024, https://www.usni.org/magazines/proceedings/2024/december/learn-fall-philippines-prepare-third-island-chain ; Kyrylo Cyril Kutcher, China in the Indo-Pacific: Alfred Mahan and the Island Chains, Australian Institute of International Affairs, 16 Agosto 2024, https://www.internationalaffairs.org.au/australianoutlook/china-in-the-indo-pacific-alfred-mahan-and-the-island-chains/

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