La crisi climatica del sud-est asiatico
Nel mese di novembre i paesi del Sud-est asiatico sono stati investiti da una serie di eventi climatici catastrofici che hanno causato numerose vittime e ingenti danni. L'analisi di Alessandro Riccioni e Manfredi Martalo'
Nel mese di novembre una serie di piogge torrenziali monsoniche e cicloni tropicali ha colpito il sud-est asiatico (in particolare diverse aree di Indonesia, Sri Lanka, Thailandia, Malesia, Filippine e Vietnam) causando inondazioni, esondazioni e frane che hanno devastato le aree interessate. Secondo le stime attuali, questi eventi hanno determinato complessivamente più di 1.600 morti, 800 dispersi e circa tre milioni di sfollati, configurandosi come uno dei disastri naturali più gravi della storia recente[1]
I danni materiali e infrastrutturali risultano estremamente ingenti e diffusi, aggravando le già significative vulnerabilità socioeconomiche della regione. Oltre all’immediata perdita di vite umane, le tempeste hanno costretto centinaia di migliaia di persone ad abbandonare le proprie abitazioni, mentre infrastrutture critiche come strade, ponti e reti di comunicazione sono state seriamente compromesse, ostacolando l’accesso agli aiuti e isolando numerose comunità, spesso già in condizioni di particolare fragilità.
Più nel dettaglio, l’Indonesia, risulta essere il paese maggiormente interessato con più di 1,4 milioni di persone colpite. Ampie aree sono state devastate dalle alluvioni del 22 e del 25 novembre, che hanno causato almeno 830 morti e 500 dispersi, oltre a quasi 880.000 sfollati. In particolare, la parte settentrionale dell’isola di Sumatra ha registrato più di 500 morti e numerosi dispersi[2] La deforestazione su larga scala sembrerebbe aver aggravato l’impatto delle precipitazioni, favorendo frane che hanno trascinato detriti nelle aree residenziali. In totale, si stimano inoltre quasi 3.000 abitazioni danneggiate, di cui 827 completamente andate distrutte.
Per quel che concerne lo Sri Lanka, il 28 novembre il ciclone Ditwah ha causato la peggior alluvione degli ultimi vent’anni con più di 1,3 milioni di persone colpite, di cui 360 vittime confermate e migliaia di dispersi. Il ciclone ha danneggiato infrastrutture critiche, rendendo irraggiungibili intere località a causa del collasso della rete elettrica, stradale e ferroviaria.
In Thailandia, le piogge monsoniche hanno colpito diverse province causando almeno 185 morti e 367 dispesi. Soprattutto nel sud del paese, le alluvioni hanno provocato 170 morti e oltre 100 feriti. Le perdite commerciali giornaliere sono stimate intorno ai 47 milioni di dollari.
Anche in Malesia si registrano 14.040 sfollati, appartenenti a circa 4.518 nuclei familiari, distribuiti in otto stati della Federazione. Eventi estremi stanno tuttavia colpendo l’intera regione asiatica: la tempesta che ha interessato il Golfo del Bengala ha causato almeno 176 morti nel sud della Thailandia e due nel nord della Malesia; in Vietnam, le alluvioni di metà novembre hanno provocato almeno 90 vittime; Laos e Cambogia hanno registrato livelli di precipitazioni superiori ai massimi storici; mentre le Filippine sono state investite da due tifoni consecutivi che hanno provocato oltre 250 morti.
Questi fenomeni si inseriscono in un quadro di crescente intensificazione degli eventi climatici estremi nella regione. Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’aumento delle temperature osservato in Asia sin dall’inizio del XX secolo ha incrementato significativamente la probabilità di alluvioni nelle regioni monsoniche dell’Asia meridionale, sudorientale ed orientale. Secondo gli studi, per ogni aumento di 1°C della temperatura dell’aria, l’atmosfera può trattenere circa il 7% in più di umidità, favorendo precipitazioni più intense e concentrate. Le Nazioni Unite hanno inoltre rilevato come, nel 2024, i livelli di anidride carbonica abbiano registrato l’incremento più elevato mai misurato, alimentando un effetto cosiddetto “turbo-change” sul sistema climatico globale intensificando, così, la frequenza e la gravità dei fenomeni estremi[3].
Si tratta di fenomeni che richiederebbero interventi di adattamento e mitigazione decisi ed efficaci che però non sempre, in alcuni paesi, risultano attuati. Queste tematiche sono state, tra le altre cose, discusse anche in occasione della Conferenza delle Parti della United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC) (o COP 30), che quest’anno si è tenuta a Belem (in Brasile) – paradossalmente quasi in concomitanza con gli eventi atmosferici descritti. Tra le decisioni adottate, poi raccolte principalmente nella “Mutirão Decision” (documento conclusivo della conferenza), vi sono state, infatti, oltre a quelle relative al Global Implementation Accelerator e alla Belém Mission to 1.5 – per supportare i paesi nell’attuazione dei loro contributi determinati a livello nazionale (NDC) e dei piani nazionali di adattamento (NAP) –, quelle relative alle misure di adattamento climatico per i paesi in via di sviluppo. In questo senso si colloca la decisione relativa alla triplicazione dei finanziamenti per l’adattamento climatico in favore dei paesi in via di sviluppo, con un contributo che dovrebbe raggiungere 300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035[4]. Al tempo stesso, però, i contrasti tra i paesi partecipanti hanno ostacolato il raggiungimento di ulteriori decisioni efficaci come dimostra l'assenza di riferimenti ai combustibili fossili come carbone, petrolio e gas necessaria per approvare all’unanimità il documento conclusivo[5].
In conclusione, le calamità che hanno colpito il sud-est asiatico negli ultimi giorni, rappresentano come detto, uno dei disastri più gravi di origine climatica della storia recente. L’impatto di questi fenomeni, però, non si esaurisce nelle gravissime perdite umane e materiali, ma incide sugli equilibri politici, economici e sociali dell’intera regione e oltre. A questo riguardo, uno dei fenomeni di maggiore importanza è rappresentato dalle cosiddette migrazioni climatiche. La regione del sud-est asiatico risulta essere tra le più esposte vedendo oltre metà della popolazione dell’area essere colpita da almeno un evento estremo negli ultimi quindici anni. Questo ha innescato movimenti migratori sia interni (soprattutto verso le città) che internazionali. Secondo i dati delle Nazioni Unite, attualmente quasi un quarto dei migranti internazionali nel mondo ha origine nella regione del sud-est asiatico dove i cambiamenti climatici stanno compromettendo in misura crescente l’agricoltura e l’economia informale. Nel 2024, infatti, l’area è stata interessata dalla migrazione di oltre 72 milioni di migranti internazionali, con un aumento di quasi il 13% rispetto al 2020[6].
[1] https://news.un.org/en/story/2...
[2] Ibidem
[3] https://edition.cnn.com/2025/1...
[4] https://unfccc.int/sites/defau...