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La crisi sistemica del Libano

La compresenza di crisi economica e crisi sanitaria sta aggravando le complicate condizioni nelle quali il Paese dei Cedri versa da tempo. Le ripercussioni sulla popolazione rischiano di far deflagrare una situazione già incandescente. L’analisi di Daniele Ruvinetti

Per comprendere la dimensione della crisi che sta colpendo il Libano, basterebbe riportare un dato uscito da uno studio condotto dalla società di analisi libanese International Information nei primi dieci mesi del 2021: i furti nelle abitazioni sono aumentati del 266 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019. Di più: gli omicidi sono cresciuti del 101 per cento, i furti di auto del 212 per cento.

Un effetto devastante della crisi che spiega come il paese si trovi ormai in una condizione di generale smarrimento: le enormi sofferenze economiche si abbattono inevitabilmente sul tessuto sociale. I cittadini libanesi non vedono un futuro possibile, hanno perso (da tempo) la fiducia nei politici e, in parte, nelle istituzioni; il contesto relativo alla sicurezza interna, già instabile, rischia di deflagrare.

La crisi economica è iniziata di fatto nell'autunno del 2019; poi a marzo dell'anno successivo è stato annunciato il default; adesso, a dicembre 2021, le Nazioni Unite stimano che il 75 per cento della popolazione libanese vive sotto la soglia di povertà. La lirah – la moneta locale – ha perso circa il novanta per cento del suo valore negli ultimi due anni: nel 2019 un dollaro veniva scambiato per 1.500 lire libanesi, oggi per circa 20 mila. L'inflazione è arrivata a toccare livelli spaventosi: il tasso è il più alto al mondo – al 138 per cento secondo i dati di ottobre della Lebanon Central Administration of Statistics. I prezzi di prodotti e servizi di prima necessità sono saliti in modo incontrollato: la situazione critica di quest'estate, quando il paese è praticamente rimasto senza benzina e combustibili vari, e dunque senza elettricità, nonché a corto di medicine e acqua, è, ad oggi, solto parzialmente migliorata. I prezzi del cibo sono aumentati in media del 550 per cento: una bottiglia d’acqua da mezzo litro è passata da 500 lire libanesi a 3 mila. Le autorità in estate avevano iniziato a ridurre i sussidi, dato che la maggior parte degli articoli sono ormai valutati al tasso di cambio del mercato nero, ma la banca centrale è a corto di contanti e si è finito col tagliare persino i sussidi per i medicinali – decisione cui è seguita la netta condanna da parte del Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla povertà e i diritti umani, Olivier De Schutter. Un tempo sbocco per investimenti esteri e hub finanziario regionale, ora il Libano è uno stato in enorme difficoltà che risente di una struttura istituzionale di tipo confessionale troppo pesante, di una politica che spesso ha puntato solo al mantenimento dei propri interessi ancorati ai centri di potere e di realtà complesse come Hezbollah – uno stato nello stato che allunga i propri obiettivi ben oltre la legittima rappresentanza politica.

Quando nell’ottobre 2019 il paese si trovò a dover fronteggiare, per settimane, una serie di proteste anti-governative, sembrava il preludio di una nuova epoca: vi era l’impressione che le élite fossero capaci di comprendere le esigenze comuni alle eterogenee collettività libanesi. E invece quelle manifestazioni hanno preceduto il periodo più buio della storia del Paese dei Cedri: l'esplosione al porto di Beirut, il 4 agosto 2020, non ha soltanto distrutto un terzo della città, ucciso 220 persone, prodotto più di 6 mila feriti, costretto 300 mila abitanti ad abbandonare le loro case. Di più: quella vicenda ha mostrato al mondo le contraddizioni, le spaccature, le frizioni, le sofferenze del paese.

E nonostante gli appelli internazionali e l'impegno attivo di paesi come l'Italia e la Francia, le condizioni del Libano non sono migliorate. Anzi, come ha recentemente spiegato il Ministro della Salute, la crisi sta producendo un effetto maggiorato sul quadro sanitario legato alla pandemia. La variante Omicron trova un paese impreparato, ha spiegato il ministro in una recente intervista all'emiratino The National, perché non solo mancano attrezzature sanitarie e una campagna di vaccinazione adeguata, ma molti medici e infermieri (la classe più istruita) hanno preferito lasciare il paese.

Quale scenario adesso? Il Libano e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) non hanno ancora trovato un’intesa per lanciare il tanto atteso piano di salvataggio. Il Vice Primo Ministro Saade Shami, incaricato di seguire i negoziati tra il governo e l'istituzione con sede a Washington, ha recentemente detto che "ci saranno ritardi", ulteriori, nella tabella di marcia per raggiungere un accordo tra le parti. Il FMI sta aspettando da mesi che le istituzioni politiche e finanziarie libanesi convengano sulle cifre relative alle perdite del paese dall'autunno 2019 a oggi.

D'altronde, le organizzazioni finanziarie internazionali e le cancellerie occidentali fanno dell'inizio delle "riforme strutturali" una condizione per qualsiasi tipo di sostegno estero al Libano. Tuttavia, queste non possono iniziare senza un chiaro consenso interno, inter-libanese, sui dati relativi al fallimento del sistema bancario nazionale.

Sulla crisi pesano anche dinamiche di carattere regionale. Da un lato, le componenti sciite – su tutte Hezbollah – sono collegate a doppio filo con Teheran; dall'altro, quelle sunnite subiscono l'influenza dei Paesi del Golfo. In mezzo il tentativo dell'Unione europea e degli Stati Uniti, con l'Onu e le varie organizzazioni umanitarie internazionali che cercano la distensione e il superamento delle faglie confessionali in nome di un pragmatismo basato sull’ascolto e la comprensione della voce e delle esigenze della popolazione.

In un'intervista esclusiva con Al Jazeera, il presidente libanese Michel Aoun ha detto che il suo paese sta cercando di riconciliarsi con l'Arabia Saudita e che ha tagliato i legami diplomatici con Beirut il mese scorso, dopo che il Ministro dell'Informazione aveva fatto commenti sgraditi a Riad sulla guerra in Yemen. Anche gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait e il Bahrein hanno richiamato i loro inviati da Beirut ed espulso i loro ambasciatori libanesi. Una mediazione è in corso sotto la guida del Qatar. Per il Libano le relazioni con il Golfo sono fondamentali, in quanto fonti di investimento e opportunità di proiezione internazionale. Contemporaneamente, il leader ideologico di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha invece dichiarato che sarebbe meglio distruggere tutti i ponti con Riad. Immagine eloquente delle distanze e delle spaccature.

Il Libano è un paese cruciale per il Mediterraneo allargato. La sponda del Levante, con la Siria ancora alle prese con gli strascichi della decennale guerra civile, è fortemente instabile, e si affaccia su un quadrante complicatissimo come quello del Mediterraneo orientale. Inoltre, il conflitto ancora aperto tra Israele e Hezbollah – nel quale l'Italia guida con il generale Stefano Del Col la missione di peacekeeping Onu – è un ulteriore elemento di destabilizzazione in uno scenario, come visto, già turbolento. Scenario che potrebbe anche rappresentare un test per valutare la capacità dell'Ue e degli Usa di stabilizzare un contesto avvelenato dalla crisi economica e sociale, politica e istituzionale.

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