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La Libia al centro del rinnovato interesse degli Stati Uniti per il Mediterraneo

Stabilizzazione politico-economica, contrasto del Wagner Group e supporto agli alleati quali punti cardine dell’attività di Washington in Libia e nel Vicino Oriente. Il punto di Daniele Ruvinetti

Hussein Eddeb / Shutterstock.com

È abbastanza evidente che gli Stati Uniti abbiano rinnovato l’interesse nei confronti delle sensibilità mediterranee, in particolare sul complicato asse Nord Africa-Levante – complice la necessità di contenere le attività di attori rivali e di assistere quelle degli alleati. Lo dimostrano le recenti mosse diplomatiche dell’amministrazione Biden e, sotto questi aspetti, si allineano anche le posizioni espresse dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, a proposito della necessità di assistere l’Europa per stabilizzare la regione – e tra l’altro alleggerire il carico migratorio.

Ultima delle attività statunitensi è la visita dell’assistente segretario di Stato per il Vicino Oriente, Barbara Leaf, prima in Libia e poi in Tunisia, Egitto e Libano. Se a Tunisi il tema è cercare di evitare il naufragio economico-finanziario del Paese di Kais Saied, assicurandogli linee di credito (come quelle dell’FMI a cui sta lavorando anche l’Italia) a patto di continuare a tenere aperto il dialogo ed evitare derive eccessivamente autoritarie, sul suolo libico le complessità sono maggiori.

L’obiettivo dichiarato da Leaf, secondo comunicazione ufficiale, era “incontrare alti funzionari libici per sottolineare il sostegno degli Stati Uniti agli sforzi, facilitati dalle Nazioni Unite, per promuovere il consenso che porti alle elezioni nel 2023”. E per questo l’alta funzionaria dell’amministrazione statunitense ha avuto incontri a Est quanto a Ovest, cercando di abbracciare il quadro articolato delle complessità interne al Paese.

Senza dimenticare, per altro, le questioni che pesano dall’esterno. Se infatti il tema della divisione tra due blocchi – con rispettive entità governative a bassa capacità statuale – è un elemento di destabilizzazione intra-libica, non va sottovalutato che nel Paese sono presenti anche interessi di attori esterni. Ed è plausibile pensare che di questo si sia parlato anche negli incontri che Leaf ha avuto al Cairo, seguendo uno schema già visto compiere dal direttore della CIA, William Burns.

Gli Stati Uniti hanno, adesso, un particolare interesse a contenere la presenza della società di sicurezza militare russa Wagner Group, che è acquartierata in alcune postazioni nell’area centro-orientale libica (base aerea di Al Khadim, vicino alla città di Al Marj, nella città di Sirte e nella regione centrale di Al Jufrah). I contractor russi avevano fornito assistenza al tentativo di assalto contro il governo onusiano di Tripoli lanciato ormai tre anni fa dai ribelli di Bengasi guidati da Khalifa Haftar – che non a caso ha avuto un incontro con Leaf.

Gli uomini della Wagner sono rimasti in Libia nonostante il conflitto si sia fermato e hanno approfondito le loro attività di influenza e penetrazione. Sono agenti di “destabilizzazione”, come ha recentemente detto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, facendo eco alle preoccupazioni del collega Guido Crosetto, che ha denunciato il ruolo che il gruppo svolge all’interno dei traffici migratori.

Se, come potrebbe essere, Haftar accettasse di sganciare i collegamenti con i russi, sarebbe un grande successo del forcing diplomatico statunitense, con un chiaro vantaggio per l’Italia e per le possibilità di stabilizzare il Paese attraverso un processo di normalizzazione passante per la costruzione di un esecutivo di scopo – unitario – e successivamente per una riforma costituzionale fino alle elezioni presidenziali e parlamentari. Anche perché le recenti informazioni a proposito della scomparsa, e successivo ritrovamento, di barre di uranio, con il potenziale coinvolgimento della Wagner, la dicono lunga sul valore delle preoccupazioni.

In questo quadro, è assolutamente positivo che il Consiglio dell’Unione europea abbia deciso di prorogare ulteriormente il mandato della missione militare navale europea nel Mediterraneo centrale, EUNAVFOR MED IRINI, fino al 31 marzo 2025. L’operazione è cruciale per controllare i traffici di armamenti che arrivano in Libia: se vengono ridotti questi, viene ridotta per buona parte la possibilità che qualche attore interno valuti l’opzione militare per risolvere le divisioni.

Sembra quasi superfluo ricordare a questo punto l’interesse italiano per tale processo di stabilizzazione. Un elemento ulteriore – oltre al valore che la Libia ha per la capacità dell’Italia di proiettare la propria politica estera sul Mediterraneo – si lega anche ai recenti dati diffusi dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), che ha registrato un netto aumento delle partenze dalla Cirenaica, la regione orientale della Libia in cui si trovano Haftar e le forze della Wagner. Le ragioni sono complesse, legate al calo delle possibilità occupazionali, per esempio per il fermo della pesca, ma non va sottovalutata anche la denuncia di Crosetto.

Come spesso è accaduto già in passato, sul dossier libico tornarono a riverberarsi i termini del confronto geopolitico globale. Russia, Cina e in parte anche l’Egitto, sono più distaccate rispetto all’iniziativa delle Nazioni Unite per stabilizzare il Paese. Differentemente, Leaf ha discusso anche con Haftar dell’importanza di “sostenere l’iniziativa del rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite, Abdoulaye Bathily, volta a coinvolgere tutte le istituzioni e gli attori politici libici nella definizione di un percorso chiaro per le elezioni entro la fine dell’anno”.

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