Approfondimenti

La via USA nel labirinto Medio Oriente

Riproponiamo l'articolo di Anna Cossiga, vicedirettrice dell'U.O Analisi della Med-Or Italian Foundation, pubblicato da "Il Mattino" il 13 ottobre 2025

Finalmente. È la prima parola che a molti sarà venuta in mente alla notizia dell’accordo che metterà fine a due anni di guerra sanguinosa a Gaza e all’incubo degli ostaggi, rimasti nelle mani di Hamas per 735 giorni. A due anni dagli attentati drammatici del 7 ottobre, forse si intravede un po’ di luce in fondo al tunnel.

Il governo israeliano ha votato l’accordo e il cessate il fuoco ha avuto inizio alle 12, ora israeliana. Si festeggia a Gaza e si festeggia in quella che è stata rinominata Hostage Square, a Tel Aviv. E si ringrazia Donald Trump. Quali che siano i sentimenti nei confronti del presidente statunitense, nessuno, questa volta, può negargli la vittoria. Sono in molti ad osservare che si tratta di un primo passo su una via molto accidentata, e non si può dare loto torto; ma quel passo qualcuno doveva farlo. Era in gioco la vita di troppe persone. E non solo quella dei civili di Gaza, uccisi a decine di migliaia, stremati dalle operazioni militari e dalla mancanza di qualunque bene necessario, a cominciare dal cibo. Anche quella degli ostaggi, di cui solo una ventina sono rimasti in vita e che, come le immagini fatte circolare dallo stesso Hamas hanno mostrato, sono in spaventose condizioni. Hamas non ha la mano leggera quando si tratta di maltrattamenti e torture. La fine dei combattimenti nella Striscia ci sembra dunque, in primis, un atto di profonda umanità, certamente unito a grandi interessi politici ed economici, ma non per questo meno importante.

Ma se Trump è stato l’ideatore del piano in 20 punti che forse condurrà a una pace duratura in Medio Oriente, un ruolo fondamentale è stato svolto anche dai suoi collaboratori, l’inviato speciale Steve Witkoff, che già numerose volte aveva tentato di far ragionare il premier Netanyahu e i rappresentanti di Hamas: e Jared Kushner, consulente e genero del presidente statunitense che, al di là probabili interessi immobiliari ed economici, conosce bene la regione ed è stato uno dei fautori degli Accordi di Abramo, nel 2020. Un ruolo ancora maggiore nei negoziati diretti con il gruppo terrorista palestinese hanno avuto due paesi arabi, il Qatar e l’Egitto, coinvolti nei negoziati sin dall’inizio, e la Turchia, paese non arabo ma musulmano, forte sostenitore della causa palestinese e, negli ultimi anni, non certo in buoni rapporti con Israele.

Ma, ponendo una domanda forse brusca, che cosa guadagnano questi paesi dalla mediazione?

Dobbiamo ammettere, infatti, che niente si dà per niente, nelle relazioni internazionali. Probabilmente, la prima cosa è l’amicizia, l’appoggio e la protezione degli Stati Uniti. Che nonostante tutto continuano a essere un attore centrale nel Medio Oriente e al momento insostituibile. Dire che il Medio Oriente non sia mai stata una regione pacifica è dire poco, ma gli ultimi anni sono stati particolarmente tormentati. La preoccupazione più diffusa è quella delle possibili mosse dell’Iran e soprattutto del potenziamento del suo programma nucleare. L’intervento statunitense nel bombardamento condotto da Israele lo scorso giugno contro le strutture nucleari di Teheran, deve essere sembrato positivo dal Qatar e dai Paesi del Golfo, qualunque siano i rapporti ufficiali; ma anche per Ankara, che si è detta pronta a “contribuire positivamente e con responsabilità”. Il Qatar, in particolare, che ha acquisito una lunga esperienza di mediatore nella regione, è un alleato fortissimo di Washington che, oltre ad avere nel paese la più grande base militare del Medio Oriente, ha promesso, dopo l’attacco di Israele, di difenderlo ad ogni costo. La Turchia che, come detto, non ha buoni rapporti con Israele, è però coinvolta in Siria, dove Israele continua ad intervenire militarmente mentre, allo stesso tempo, cerca di trovare un accordo con Al-Sharaa. Una mano da parte degli USA non sarebbe sgradita a nessuna delle due parti. Quanto all’Egitto, i cui rapporti con Gerusalemme sono ai minimi storici, teme l’arrivo degli sfollati palestinesi alla fine della guerra e, anche nel suo caso, una mano da Washington sarebbe risolutiva.

Il Medio Oriente è un labirinto, molto spesso pericoloso e, da sempre, gli Stati Uniti intervengono per indicare la via. A volte con successo, a volte no. Nel caso della guerra di Gaza, Washington ha dovuto barcamenarsi tra un gruppo terrorista e un alleato un po’ riottoso, Israele, con l’aiuto di paesi amici ma, talvolta, riottosi anche tra loro. L’obiettivo è stato raggiunto e milioni di persone hanno tirato un sospiro di sollievo, dopo due anni da incubo. Davanti a loro, hanno un altro labirinto ma, insieme possono riuscire a trovare l’uscita verso un Medio Oriente pacificato.

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