Oltre la tregua: prospettive e opportunità del piano Trump per Gaza
Dagli Accordi di Abramo e la ricostruzione della Striscia alla connettività infrastrutturale. L’analisi di Giulia Maria Orsi

La fine delle ostilità a Gaza e il ritorno degli ostaggi hanno segnato la svolta più attesa e urgente, ma il futuro della Striscia resta pieno di incognite. Il cessate il fuoco è fragile, la governance ancora indefinita e la ricostruzione un rebus da decine di miliardi di dollari. In questo scenario sospeso si apre una nuova fase di confronto regionale, che potrebbe ridefinire equilibri diplomatici e commerciali in Medio Oriente e oltre i suoi confini.
Le prospettive del piano Trump per Gaza si intrecciano con il possibile rilancio degli Accordi di Abramo, ideati e negoziati da Jared Kushner, genero di Trump ed ex senior advisor del Presidente. Dalla loro firma nel 2020 i patti hanno reso concreto il già avviato processo di normalizzazione dei rapporti diplomatici e commerciali tra Israele, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrain, e successivamente il Marocco e il Sudan.
È facile comprendere le ragioni del brusco rallentamento nell’estensione di tali Accordi ad altri stati arabi negli ultimi due anni. Quando all’inizio di settembre il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich ha presentato una proposta di annessione formale di parte della Cisgiordania, anche gli attuali firmatari arabi, in particolare gli Emirati Arabi Uniti, hanno paventato l’ipotesi di una frattura insanabile con Israele, arrivando a parlare di una “linea rossa” che avrebbe portato alla rottura delle relazioni bilaterali. Questo subbuglio è arrivato proprio mentre gli Stati Uniti stavano esercitando forti pressioni su Abu Dhabi affinché promuovesse, con discrezione, nuovi colloqui per estendere gli Accordi anche alla Siria e altre monarchie del Golfo, prima fra tutte l’Arabia Saudita. Pochi giorni dopo, l’operazione israeliana contro gli uffici di Hamas a Doha del 9 settembre ha ulteriormente inasprito la situazione, facendo apparire il progetto americano di estensione degli accordi come un’utopia. Tuttavia, trentaquattro giorni dopo, il Presidente Trump è riuscito a rovesciare tale prospettiva, rilanciando il suo piano e aprendo la strada a possibili nuove relazioni tra Israele e altri paesi del Medio Oriente. In un’intervista rilasciata lo scorso venerdì, lo stesso Trump ha dichiarato di aver avuto conversazioni “molto positive” con diversi stati interessati ad aderire agli Accordi e ha previsto che, una volta ottenuta l’intesa con l’Arabia Saudita, “tutti gli altri aderiranno presto”.
Parallelamente, un altro snodo centrale riguarda la ricostruzione di Gaza, dove sono stati danneggiati o distrutti l’83% degli edifici. Secondo una stima della Banca Mondiale del febbraio scorso, saranno necessari 53 miliardi di dollari per la ricostruzione della Striscia; oggi, secondo le Nazioni Unite la cifra si aggira intorno ai 70 miliardi. I punti 10 e 11 del piano Trump sono proprio dedicati a tale questione, prevedendo la creazione di un “piano di sviluppo economico” per Gaza, con la convocazione di esperti “che hanno contribuito alla nascita di alcune delle fiorenti città moderne del Medio Oriente”. Il piano menziona inoltre l’istituzione di una zona economica speciale, riservata a coloro che vorranno partecipare al progetto. Si tratta di una delle questioni più complesse, ma da cui è possibile trarre due considerazioni. Primo, sebbene la ricostruzione di Gaza richieda investimenti ingenti, questa dovrebbe essere quantomeno facilitata da misure eccezionali, come la zona economica speciale, accompagnate da tariffe preferenziali, che presumibilmente garantiranno agli investitori rendimenti elevati nel lungo periodo. In secondo luogo, saranno decisive le risorse finanziarie dei paesi del Golfo, già attive nella ricostruzione postbellica della Siria – un ulteriore elemento che potrebbe favorire la normalizzazione con Israele.
La tregua a Gaza è fondamentale anche per rilanciare il Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC), sostenuto dall’amministrazione Trump. Il progetto mira a collegare India ed Europa attraverso una rotta che, passando per la Penisola Arabica e il porto israeliano di Haifa, giunge fino al Mediterraneo, quindi nel Vecchio Continente. Considerato l’alternativa statunitense alla Belt and Road Initiative di Pechino, l’IMEC punta a realizzare una rete diversificata di interconnessioni commerciali, energetiche, culturali e digitali, con ampie opportunità anche per il turismo. Firmato durante il vertice G20 di New Delhi nel settembre 2023, un mese prima degli attacchi terroristici del 7 ottobre, l’IMEC è rimasto in parte “congelato” a causa del deterioramento dello scenario geopolitico in Medio Oriente. Con l’accordo di Sharm el-Sheikh, i paesi firmatari dell’iniziativa, tra cui anche l’Italia, possono ora coltivare un cauto ottimismo, espresso anche dall’ambasciatore e inviato speciale italiano per l’IMEC, Francesco Talò, che ha recentemente sottolineato come la tregua raggiunta possa offrire nuove opportunità di rilancio della connettività indo-mediterranea.