L’Italia a Gaza: Piani, propositi e veti
Prospettive della tregua a Gaza: il possibile contributo italiano alla ricostruzione e le necessità più urgenti della popolazione. Il punto di Ginevra Leganza
Potenziamento della polizia di stabilità, tonnellate di aiuti umanitari, interventi in campo medico, prefabbricati e costruzione di nuovi atenei. Sin dal maggio 2024 il Consiglio dei ministri, in Italia, ha dichiarato lo stato di emergenza per Gaza. A poche settimane dall’accordo di Sharm el-Sheikh, la condizione giuridica emergenziale è diventata un potenziale acceleratore. Un catalizzatore sui possibili interventi del paese nella Striscia pacificata. Un’impresa muscolare – in fase ancora embrionale – che trarrà vantaggio dall’ordinanza in deroga.
Nelle ultime settimane, il primo punto attorno al quale i tavoli di lavoro si sono interrogati ha riguardato la cosiddetta polizia di stabilità. Ovvero la presenza di militari italiani – a garanzia della pace tra i due popoli – e contestualmente l’invio di nuovi contingenti di Carabinieri (circa duecento uomini) per addestrare le forze palestinesi sul modello di Gerico. Prospettiva attualmente ostacolata, invero, dalla richiesta di Tel Aviv che pretende l’addestramento palestinese avvenga in Giordania. E cioè al di là del confine. Per sventare ab origine l’orizzonte di uno stato palestinese.
Se il piano securitario è dunque intricato dalle manifeste dichiarazioni dei vertici italiani auspicanti “uno stato palestinese, vero, democratico, non confessionale”, e dall’impedimento israeliano, altro è il discorso sull’aiuto umanitario e sulla sanità. Per quel che riguarda i Carabinieri, infatti, se non è circospetto il governo italiano è perlomeno in attesa di regole di ingaggio chiare. Ma diversa, si diceva, è la questione-sanità.
Il capo del dipartimento della protezione civile, Fabio Ciciliano, ha parlato a tal proposito dell’installazione di un grande ospedale da campo. Già a disposizione e relativamente semplice da trasportare e implementare. A patto che ci siano le condizioni di sicurezza per il personale e il materiale da trasferire. Sul versante medico un punto cruciale, ma non immediatamente intuibile, è poi quello delle cure psichiatriche. Le quali, insieme alle cure dei mutilati, costituiscono uno dei problemi più difficili. In una recente intervista al quotidiano Il Foglio, Ciciliano ha poi confermato la messa a disposizione dell’Inail dei suoi due centri per le protesi, a Budrio e Lamezia Terme. Questo affinché il personale italiano possa preparare i palestinesi alla realizzazione, in loco, con il legno e le stampanti in 3D. Dai tavoli nazionali, tuttavia, è emerso un veto israeliano. Le protesi di ultima generazione, dotate di microchip, sono infatti esposte al dual use e dunque riciclabili da Hamas.
In tale contesto, va da sé poi che uno dei punti più urgenti, messi a fuoco nel documento Italia-Onu, riguardi la ricostruzione. A partire dalla sua prima fase. 436mila sono le abitazioni distrutte, 53 milioni i detriti. Dopo le macerie, la previsione italiana è di mettere a terra 14mila insediamenti abitabili, fino a un massimo di sei persone, sulla base di accordi con aziende italiane che lavorano in campo emergenziale. In tal senso, un’idea potrà essere quella di inviare i prefabbricati di Pozzuoli nella Striscia, già impiegati per il terremoto dei Campi Flegrei. In seno alla ricostruzione emergenziale, un’altra possibilità fa ancora capolino. E cioè quella di esportare moduli scolastici. La convergenza dell’Italia con l’Onu promette, in sessanta giorni, l’offerta di case modulari simili a quelle messe a disposizione a L’Aquila e Amatrice – funzionali, per quanto possibile, a un ritorno alla normalità e dunque alla ripresa degli studi per 40mila giovani palestinesi.
Alle operazioni in loco, naturalmente, si innestano i programmi di accoglienza in Italia. Dalla sanità all’università. Tantoché lo scorso mercoledì la Farnesina ha reso noto l’arrivo di 49 ragazzi – tramite i corridoi universitari – beneficiari di borse di studio. 49 tra studenti e ricercatori, atterrati a Ciampino e a Linate, che si aggiungono agli altri, per un totale di 88 universitari gazawi accolti oggi in Italia.
A Gaza, comunque, la guerra è finita. Ma la fame resta. Acqua potabile e cibo sono in cima alla lista delle emergenze. In questo caso, tra le idee sul tavolo ci sono la fornitura di tre forni campali per la panificazione e l’aviotrasporto di sette potabilizzatori della protezione civile italiana che consentono di rifornire fino a 5mila litri d’acqua ogni ora. Gli aiuti umanitari sono, da un certo punto di vista, un filo rosso. Un segno di continuità nonché il fronte forse, in assoluto, più urgente. Dall’inizio del conflitto nel 2023, del resto, l’Italia ha agito insieme all’Onu con la missione Food for Gaza per rifornire la Striscia di aiuti alimentari. Un impegno che, dopo l’accordo di pace, non accenna a essere disatteso. Sia pure in un quadro complesso e non ancora determinato.