L’Angola e le relazioni tra Europa e Africa
Il processo di diversificazione economica e gli investimenti nel comparto logistico-infrastrutturale hanno il potenziale per rendere Luanda uno snodo commerciale fondamentale dei rapporti Europa-Africa.
Tra i paesi più rilevanti dell’Africa Subsahariana dal punto di vista energetico e commerciale, l’Angola ha il potenziale per diventare un partner strategico di primo piano dell’Italia e dell’Europa in una pluralità di settori e ambiti.
Le relazioni diplomatiche tra Roma e Luanda risalgono al 1976, quando l’Italia divenne il primo paese dell’Europa occidentale a riconoscere l’indipendenza della Repubblica Popolare dell’Angola, dopo la lotta di liberazione dal Portogallo iniziata nel 1961 e conclusa nel novembre 1975. Da quel momento il paese divenne teatro di una lunga guerra civile. Al Movimento Popolare di Liberazione dell'Angola (MPLA), salito al governo del paese e sostenuto dall’Unione Sovietica, si contrapposero gli altri movimenti che avevano lottato per l’indipendenza, tra cui l’Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola (UNITA), sostenuta da Stati Uniti e Sudafrica. Il conflitto è proseguito fino al 2002, quando l’Angola è diventata una repubblica presidenziale. Da allora, Luanda ha goduto di una relativa stabilità politica, con il MPLA che, pur soggetto a una perdita di consenso a vantaggio dello storico rivale UNITA (51% dei voti nel 2022 rispetto all’81% del 2008), rimane ancora oggi alla guida del paese. L’attuale presidente, João Lourenço, eletto per la prima volta nel 2017 e riconfermato per un secondo mandato nel 2022, ha sostituito José Eduardo dos Santos, in carica dal 1975. Tra le priorità della presidenza Lourenço figurano, insieme ad un generale rilancio dell’economia, il miglioramento delle condizioni socioeconomiche della popolazione e la lotta alla corruzione – legata soprattutto al settore energetico, il più rilevante dell’economia nazionale.
L’Angola, infatti, è il terzo paese per produzione e il quarto per maggiori riserve di petrolio in Africa dopo Libia, Nigeria e Algeria, oltre a possedere anche diversi giacimenti di gas naturale. Il comparto oil & gas rappresenta il 96% dell’export del paese e il 34% del PIL. Sebbene gli idrocarburi abbiano da sempre costituito il principale asset strategico per l’economia nazionale, l’Angola ha incontrato significative difficoltà a convertire tale ricchezza naturale in benessere economico diffuso. Anche dopo la fine della compagine di governo di stampo marxista, che negli anni ‘70 ha impresso un forte interventismo statale al sistema economico angolano, il paese non è infatti riuscito a diventare un’economia di mercato competitiva. Attualmente Luanda possiede uno dei venti peggiori business enviroment del pianeta, posizionandosi 177esimo su 190 paesi nella classifica di competitività stilata annualmente dalla Banca Mondiale. La mancata creazione di un tangibile mercato interno, le ripetute crisi finanziarie regionali ed internazionali, con i conseguenti tagli dei prezzi da parte dell’OPEC (di cui è diventata membro nel 2007, per poi recedere nel 2024) e infine la penuria di infrastrutture strategiche e competenze tecniche locali hanno contribuito a condizionare negativamente le prospettive di crescita dell’Angola. Basti pensare, ad esempio, che il paese importa circa l’80% dei prodotti petroliferi raffinati, pur avendo – come visto – una delle più ampie produzioni di greggio a livello mondiale.
La sproporzione tra l’abbondanza di materie prime e i mancati introiti economici sono particolarmente evidenti nella provincia di Cabinda. Questa exclave, separata dai confini settentrionali dell’Angola da 60 chilometri di territorio della Repubblica Democratica del Congo, possiede alcuni dei più grandi giacimenti di petrolio al mondo (soprattutto offshore). Nonostante la regione fornisca circa i due terzi delle riserve petrolifere nazionali, la sua popolazione vive in condizioni di povertà estrema. Anche a causa di tali disparità, Cabinda è stata teatro, fin dal 1975, di un conflitto a bassa intensità tra i movimenti separatisti (in particolare il Fronte di Liberazione dell’Enclave di Cabinda, FLEC) e il governo di Luanda, che però è sempre riuscito a mantenere saldo il controllo sul territorio.
Sin dal 2017, nel tentativo di dare un nuovo slancio al paese, il governo ha avviato una serie di riforme volte a diversificare i settori trainanti dell’economia. Il principale obiettivo risulta essere la riduzione della pervasività del settore oil&gas, attraverso politiche che attraggano investimenti stranieri funzionali al trasferimento in loco di tecnologie, capitali e know how in una moltitudine di settori, che comprendono l’agroalimentare e l’agribusiness, dove il paese possiede un notevole potenziale inespresso; il settore minerario, con particolare riferimento ai diamanti e ai minerali critici di cui il paese è ricco; il settore delle energie rinnovabili e infine a quello delle infrastrutture e della logistica. Rilevante è, a tal riguardo, la costruzione del Corridoio di Lobito, un progetto finanziato soprattutto da Stati Uniti e Unione Europea, che connetterebbe l’Angola alla Repubblica Democratica del Congo ed allo Zambia, attraverso una rete di collegamenti stradali e ferroviari di circa 1300 km, finalizzati a velocizzare il transito delle merci. Si tratterebbe di un sistema infrastrutturale in grado di migliorare la connettività di buona parte dei paesi dell’Africa meridionale, garantendo un’efficace alternativa ai porti della costa orientale del continente – dove, tra l’altro, la Cina sta portando avanti un progetto competitor denominato Tazara line. Il Corridoio, se realizzato, consentirebbe alle aree portuali localizzate nei distretti di Lobito e nella stessa Luanda di accrescere la loro rilevanza logistica, soprattutto rispetto ai traffici provenienti e diretti verso il Nord America e l’Europa.
Proprio l’Unione Europea sta dimostrando una crescente attenzione per l’Angola. Il paese africano risulta tra i principali beneficiari del Global Gateway – progetto con cui Bruxelles intende favorire lo sviluppo infrastrutturale dei developing countries, con un ammontare di 150 miliardi di euro destinati al solo continente africano. Il parziale finanziamento del Corridoio di Lobito ne è un esempio significativo, cui si aggiungono investimenti in numerosi progetti di cooperazione che spaziano dalla promozione delle rinnovabili al rafforzamento del settore agricolo.
Per quel che concerne l’Italia, sin dall’indipendenza l’Angola è diventata un partner commerciale di rilievo, soprattutto nel comparto energetico. Nel 2023, ad esempio, l’interscambio tra i due paesi ha raggiunto quota 1.2 miliardi di euro. Oltre al settore oil &gas, prioritario anche per via della forte presenza delle aziende italiane nel paese, il nuovo corso economico intrapreso da Luanda può favorire una diversificazione e un rafforzamento dei legami economici bilaterali, estendibili ad una pluralità di ambiti. Anche rispetto al Piano Mattei per l’Africa, costituiscono esempi in tal senso le rinnovabili, l’agroalimentare e soprattutto il comparto logistico-infrastrutturale – settore in cui Roma, come annunciato in occasione del G7 2024, finanzierà il sopramenzionato progetto del Corridoio di Lobito con una cifra complessiva di 320 milioni di euro.
Anche alla luce della recente crisi nel Mar Rosso e delle relative difficoltà di approvvigionamento via nave dai mercati del Medio Oriente, uno sviluppo infrastrutturale nella costa occidentale dell’Africa consentirebbe una valida alternativa commerciale in grado di ridurre l’eccessiva dipendenza dalla rotta passante per il Canale di Suez, con una tratta marittima atlantica che non presenta particolari insidie di ordine securitario ed è più breve di quella che transita per il Capo di Buona Speranza. Dunque, se l’Angola riuscirà a diversificare il suo comparto economico e a migliorare quello logistico, potrà ricoprire un ruolo di primo piano non solo nell’Africa australe ma anche diventare uno snodo commerciale strategico per gli scambi con l’Italia e l’Europa.