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L’Asia Meridionale: un complesso mosaico politico

L’Asia Meridionale è una regione complessa, in cui oltre a India e Pakistan, si trovano anche paesi dalle differenti traiettorie di politica estera. Il caso del voto ONU di Afghanistan e Nepal nell’analisi di Guido Bolaffi

L’Asia meridionale è uno stupefacente e talvolta persino paradossale mosaico politico di nazioni. Composto da paesi di cui poco si parla in Italia ed ancor meno si sa. Di recente, ad esempio, curiosando l’archivio del database delle Nazioni Unite siamo venuti a conoscenza di un evento fino a quel momento da noi, e forse anche da non pochi altri, colpevolmente ignorato. Perché abbiamo scoperto che lo scorso marzo, sulla delicatissima mozione ONU di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina, all’opposto di tutte le altre nazioni del subcontinente asiatico Nepal, Bhutan, Maldive e Afghanistan avevano votato .

Una mossa, la loro, non solo sorprendente, perché “sganciata” da quella apertamente astensionista delle due superpotenze dell’area - India e Pakistan - nell’occasione tra loro una volta tanto alleate.

Ma singolare, perché fatta da governi di paesi diversissimi per collocazione geografica, religione, cultura e assetto politico. E che per il loro - Afghanistan e Nepal in primis - non sono certamente catalogabili tra quelli bollati da Mosca come filoamericani.

Sul di Kabul contro Mosca sono state avanzate, meglio azzardate due possibili spiegazioni.

A parere di alcuni, infatti, i talebani pur di rompere l’isolamento imposto al loro governo dalla comunità internazionale hanno scelto opportunisticamente di “turarsi il naso” e usare la platea dell’ONU per mandare un distensivo segnale di buona volontà.

Altri, più semplicemente, sostengono che nell’occasione l’odio degli eredi del Mullah Omar per i russi, a causa della loro sanguinosa invasione dell’Afghanistan negli anni ‘80, avrebbe avuto la meglio su quello per gli americani.

Ancor più complicate le ragioni del voto del Nepal. Infatti, il Primo Ministro Sher Bahadur Deuba, a distanza di sole poche settimane dal espresso sui banchi dell’Assemblea Generale ONU, rientrato in patria è tornato sui suoi passi. Come segnalato da Yubaraj Ghimire nell’articolo Nepal's election sans hope: “Amid criticism that Deuba’s government has taken a pro-US stance in the Russia-Ukraine conflict, Prime Minister has said Nepal would remain non-aligned in the context of global security, and will maintain a balanced relationship with its immediate neighbours”.

Un dietro-front sulla politica estera però solo all’apparenza singolare. Perché legato a chiare e ben corpose ragioni di politica interna. Sher Bahadur Deuba, infatti, pur di sconfiggere nelle ormai prossime elezioni generali la minacciosa concorrenza dello storico rivale ed ex Primo Ministro K.P. Sharma Oli - leader del Communist Party of Nepal-United Marxist Leninist - ha pensato bene di sacrificare il alla condanna del Cremlino pur di consentire al suo partito (il Nepali Congress) di ottenere il sostegno del Communist Party of Nepal-Unified Socialist e del Communist Party of Nepal-Maoist Center capeggiato da Dahal Prachanda. Un duro e dichiarato nemico degli USA che, tra l’altro, “Led the insurgency against the state for a decade between 1996 and 2006, and clashed with Deuba who, as Prime Minister for several of those years, offered cash rewards for Maoist heads. The larger number of the 17.000 individuals killed during the civil war belonged to Deuba’s Nepali Congress. Deuba himself survived an ambush by the Maoists. The two men are now allies”.

Un guazzabuglio aggravato dal fatto che il Nepal - 30 milioni di abitanti (di cui circa la metà vive con $1,25 al giorno), un’emigrazione annua di 500mila giovani, una giustizia travolta da scandali a ripetizione e un sistema politico cronicamente instabile (dal 1990 ad oggi si sono succeduti ben 32 governi) - è un paese perennemente conteso (e condizionato) dai suoi ingombranti e potenti confinanti: la Cina a nord, l’India a sud: “India, which used to play a decisive role in Nepal’s internal politics until 2005, lost its clout after it collaborated with the Maoists whom it had declared to be terrorists [...] New Dehli does not have a trusted institutional ally in Nepal at the moment [...] Since 2006 China has worked towards becoming a major player in Nepal, increasing its investments in multiple sectors and seeking a favourable regime in Kathmandu. As tensions rose with India the government signed a trade and transit treaty with China in 2016, President Xi Ping visited Nepal in October 2019 and in September 2022, ahead of the National Congress of the Chinese Communist Party, National Assembly chief Li Zhanshu held talks with Nepal’s leaders”.

Ma per questo paese incastonato tra le imponenti, sontuose montagne dell’Himalaya c’è, grazie a Dio, anche qualche raggio di luce.

Infatti, secondo quanto riferito dal reportage di Karam Deep Singh e Bhadra Sharma, pubblicato sul New York Times dell’11 novembre scorso, “In Nepal, thanks to a radical policy adopted by government more than 40 years ago, large swaths of national forest land were handed to local communities to protect and renew their local forests, an effort that has earned praise from environmentalists around the world. Community-managed forests now account for more than one-third of Nepal’s forest cover, which has grown by about 22% since 1988 […] Independent studies also confirm that greenery in Nepal has sprung back, with forests now covering 45% of the country’s land”.

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