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L’evoluzione dei rapporti russo-sauditi nelle dinamiche globali

La recente visita di Putin in Arabia Saudita e le evoluzioni delle sinergie russo-saudite, nel quadro delle crisi in Ucraina e Gaza. L’analisi di Giorgio Cella

Dalla guerra in Ucraina il Mediterraneo ha ritrovato una sua straordinaria centralità. Queste parole pronunziate nel marzo scorso da Marco Minniti, alla luce del recente tour diplomatico di Vladimir Putin ad Abu Dhabi e in Arabia Saudita, assumono oggi una aumentata valenza e ne rilevano l’implicita carica predittiva. La concatenazione degli eventi dell’uomo nella Storia a noi nota viaggia per traiettorie certamente misteriose e ricche di variabili imponderabili, e ciò vale senz’altro anche per le dinamiche delle quali ci occuperemo in questa sede. In pochi, prima dell’inizio del conflitto in Ucraina, avrebbero potuto immaginare mutamenti tali degli equilibri globali (e regionali) come li stiamo osservando da quasi due anni a questa parte. Come di difficile previsione sia stato intravedere che dalle poco studiate, marginalizzate e complicatissime quanto secolari trame geopolitiche del territorio ucraino, sarebbe divampato un conflitto globale che avrebbe interessato le maggiori potenze e ridisegnato le mappe del potere mondiale. Ancor più difficile fu prevedere, tra le molteplici implicazioni e conseguenze del conflitto, un più prossimo rapporto bilaterale tra Mosca e varie potenze mediorientali, come ad esempio con il regno degli Āl Saʿūd di cui ci occuperemo in questa sede. Ed ecco ordunque riecheggiare le parole sul Mediterraneo tornato nella sua piena centralità ricordate in apertura, alle quali, con una nota ancillare, si potrebbe ben aggiungere il termine-concetto di Mediterraneo allargato, visto che financo attori mediorientali come il regno saudita stanno brillando sul palcoscenico della diplomazia mondiale inserendosi astutamente nelle dinamiche scaturite dalle onde lunghe del conflitto ucraino. Un riadattamento strategico evidentemente richiesto dall’odierno volatile scenario globale, ed improntato a una chiara vocazione realista, meno sensibile alle violazioni del diritto internazionale. Difatti, sebbene Riyad mantenga tuttora le fondamenta della sua collocazione internazionale ancorate ai poteri occidentali - basti guardare alle origini storiche di tali relazioni nel ‘900, questioni non espandibili in questa sede -, ha sviluppato nel corso degli ultimi anni una politica realista multipolare di engagement anche con le potenze maggiori del nuovo fronte globale alternativo (apostrofati talvolta con la generica e vaga formula di Global South) tra le quali Russia e Cina.

Per quanto concerne l’ultima tappa diplomatica del leader russo nella capitale del regno saudita di settimana scorsa, si conferma nuovamente questa intenzione di dialogo multilaterale adottata dal giovane leader saudita Muhammad Bin Salman, principale figura dietro il vasto processo di riforme e innovazioni adottate dal regno negli ultimi anni. Un rapporto, quello tra Muhammad Bin Salman e Putin suggellato, simbolicamente, da una molto confidenziale quanto ormai celebre stretta di mano in occasione del G20 di Buenos Aires del 2018, replicata anche nell’ultimo incontro a Riyad. Al tempo di quel G20 argentino, la situazione internazionale si trovava già in una fase di tensioni e transizione, sebbene incomparabile rispetto alla configurazione di turbolenza globale plasmatasi dalla guerra in Ucraina dal 2022 a oggi. Al tempo tuttavia, entrambi i due leader erano nell’occhio del ciclone mediatico, sotto pressione e in qualche misura isolati: Putin per lo speronamento e il sequestro di due navi ucraine nel Mar di Azov (prime pericolose avvisaglie elle future turbolenze), Muhammad Bin Salman per le accuse riguardo l’assassinio del giornalista Jamal Kashoggi. Fu anche in questo contesto di ostracismo e di generale rimprovero morale dei leader dei paesi occidentali che i rapporti tra i due Stati, e soprattutto tra i due leader, presero una piega sinergica. Ed è proprio alla luce di questo frame della storia bilaterale tra Mosca e Riyad che si può meglio comprendere – oltre le questioni economiche e commerciali che vedremo a breve - il perché della continuata sintonia tra Muhammad Bin Salman e Putin; il perché di questa sponda fornita al leader russo a fronte di una continuata pressione diplomatica e sanzionatoria da parte di Unione Europea e Stati Uniti. Una sorta di ricompensa diplomatica per il sostegno dato a Riyad nei tempi più critici della storia recente della governance del regnante arabo per via dell’affare Kashoggi. Un generale rimprovero morale dal quale, per la cronaca, si distanziò l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che diede quantomeno il beneficio del dubbio al principe arabo saudita.

Molta acqua è passata sotto i ponti della politica internazionale da allora (2018), e oggi sebbene Putin sia ulteriormente ai ferri corti con l’Occidente per via dell’infinita guerra in Ucraina, la posizione del leader saudita si è indubbiamente rafforzata e mutata. A dispetto delle iniziali volontà dei leader occidentali al G20 di cinque anni fa, l’intento occidentale di marginalizzare il principe - ricordiamo anche “le parole molto ferme” che Macron riferì di aver detto al leader saudita proprio in occasione del G20 di Buenos Aires - la forza inarrestabile della Realpolitik e dell’ineluttabile divenire delle relazioni internazionali hanno difatti nel tempo lasciato sullo sfondo i rimproveri etici, portando a una graduale reintegrazione con l’Occidente. Un occidente inoltre che verrà in seguito guidato dagli Stati Uniti di Biden a guida democratica, ma che in una visione realista e nel solco delle iniziative prese dell’amministrazione Trump in Medioriente, continuerà quel mirabile processo iniziato dagli Accordi di Abramo, con il coinvolgimento in questi meccanismi anche di Riyad. I sauditi hanno infatti contribuito alla costruzione di rapporti più strutturati con Israele: un rapporto che non si è tra l’altro dissolto alla luce della guerra di Israele a Gaza.

Tornando specificatamente al recente incontro tra i due leader, i dossier affrontati (come a Dubai durante l’incontro con Muhammad Bin Zayed al Nahyan), hanno riguardato la stabilizzazione dei prezzi del petrolio - entrambi sono membri di Opec + - e i due grandi archi di crisi odierni in Ucraina e a Gaza. Su questo fronte, si considerino i tentativi di risoluzione del conflitto in Ucraina da parte degli Stati del Golfo e il ruolo di Riyad nelle negoziazioni per gli scambi di prigionieri tra russi e ucraini. Presenti a Riyad, in una delegazione russa al completo, figure apicali del settore gas & oil, energia nucleare e aerospaziale, così come erano presenti i ministri dell’economia e degli affari esteri. Oltre a queste figure di alto profilo, da notare soprattutto la presenza del leader ceceno Ramzan Kadyrov, sulle cui sorti e salute erano circolate varie voci nei mesi scorsi. La presenza di Kadyrov è significativa nella comprensione dei rapporti diplomatici sviluppati da Mosca con il mondo islamico negli ultimi decenni, con il leader ceceno nel ruolo di apripista in varie sinergie mediorientali: tra queste troviamo proprio quella con i custodi delle due moschee sacre, Muhammad Bin Salman in particolare, con il quale il ceceno vanta una conoscenza personale. Per quanto concerne i meri rapporti commerciali invece, tutta l’area del Golfo rimane importantissima per Mosca come hub economico-finanziario per aggirare le sanzioni e far fluire merci e dirottare affari ormai impraticabili con l’Occidente. Anche la sinergia tra Federazione Russa e Arabia Saudita nel campo della gestione dei prezzi del petrolio in questo momento di turbolenze economiche per via del conflitto in Ucraina ha coperto una parte importante dell’incontro: si consideri in questa dimensione come fu proprio l’Arabia Saudita di Muhammad Bin Salman a caldeggiare e promuovere l’entrata di Mosca nell’Opec+.

Una relazione bilaterale dunque vista anche come una forma di reciproco beneficio diplomatico: tale partnership fornisce difatti ad entrambi gli attori l’opportunità di collocarsi come interlocutori dei complessi meccanismi diplomatici, uno e l’altro in campi differenti. Mentre Riyad si fregia del ruolo di interlocutore e mediatore tra Russia e Occidente, Mosca ambisce invece ad agire su un doppio livello di mediazione diplomatica: da un lato nella gestione e contenimento dell’Iran e dell’asse sciita sia agli occhi dell’Occidente che a quelli dei sauditi e delle altre potenze sunnite e di Israele. Una sinergia multidimensionale dunque quella russo-saudita, che si interseca da un lato su un piano diplomatico globale nei rapporti con quello che i vertici russi chiamano sovente occidente collettivo, sia su quello geopolitico-regionale mediorientale. Un tipo di sinergia che per la sua rilevanza strategica e multilivello sarà indubbiamente da monitorare nel tempo e che, plausibilmente, è destinata a durare nei prossimi anni.

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