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Mattarella va a Nairobi: come l’Italia rilancia la partnership col Kenya (e tutto il Corno d’Africa)

La visita del capo del Quirinale in Kenya arriva in un momento storico in cui tutti gli occhi del mondo sono puntati sulla regione. Tra simbolico e pratico, così il viaggio del Presidente rimette l’Africa al centro della politica estera italiana.

Dal 14 al 16 marzo il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato in visita di stato in Kenya. Accompagnato dal viceministro agli esteri Cirielli (deus ex machina dei rapporti con l’Africa per il governo Meloni) e dalla figlia Laura, il capo dello Stato è stato ricevuto dal presidente del Kenya, William Ruto. Successivamente, Mattarella ha visitato due strutture di alto valore simbolico per la presenza italiana nel paese: il centro spaziale “Luigi Broglio”, a nord di Malindi, gestito dall’Agenzia Spaziale Italiana all’interno del quale lavorano ricercatori kenioti e italiani e il Centro di Formazione professionale di san Kizito, una delle principali iniziative di cooperazione allo sviluppo gestito dal ministero degli Esteri e dall’Associazione Volontari per il Servizio internazionale (AVSI).

Il viaggio di Mattarella ha seguito il copione classico delle visite istituzionali delle autorità italiane in Africa. Si è cominciato dagli incontri con i responsabili del governo, proseguito con la visita alle le istituzioni economico-culturali e concluso con quella alle iniziative della cooperazione. Tuttavia, il comminato disposto tra momento storico e sviluppi geopolitici nella regione del Corno d’Africa fa assumere a questo viaggio un rilievo particolare ed evidente per diverse ragioni.

In primo luogo, Mattarella ha dato risalto al ruolo storico che Nairobi ha svolto in quanto paese simbolo dell’emancipazione africana dal colonialismo europeo e soprattutto al ruolo che il Kenya assume nell’immaginario africano come modello di sviluppo. In quest’ottica, va colto sia il riferimento che il capo del Quirinale ha fatto in merito alle tempistiche della sua visita, che cade nell’anno del sessantesimo anniversario dell’indipendenza keniota, sia il gesto simbolico della deposizione di una corona di fiori al mausoleo di Jomo Kenyatta, padre fondatore del Kenya moderno, primo presidente del paese e soprattutto figura di spicco del movimento anticoloniale negli anni 60. In un momento storico come quello attuale dove c’è una crescente insoddisfazione nelle opinioni pubbliche del continente nei rapporti con l’Europa il gesto di Mattarella assume una particolare importanza.

Guardando al di là degli aspetti simbolici della visita (dovuti ma non vuoti, come sempre in diplomazia) sono diversi gli elementi che emergono dal viaggio keniota di Mattarella e che segnalano un cambio di postura dell’Italia rispetto al continente. In primo luogo, la visita del Capo dello Stato è coincisa con lo sblocco della questione sulla costruzione delle tre dighe di Itare, Arror e Kimwarer che hanno un valore duplice per le relazioni bilaterali tra Roma e Nairobi. Le infrastrutture sono infatti elementi chiave per l’agenda politica interna del presidente Ruto (che fa del raggiungimento dell’indipendenza energetica del paese uno degli obiettivi centrali da raggiungere durante il suo mandato) che ne caldeggiava la costruzione già da vicepresidente. Infatti, il blocco dei lavori a causa di problematiche giuridiche aveva rappresentato un motivo di frizione nei rapporti bilaterali tra Italia e Kenya, rimasti sì solidi ma caratterizzati da qualche critica durante la presidenza di Uhuru Kenyatta. Al tema delle dighe si aggiunge il prestito italiano di 14 miliardi di scellini kenioti (102 milioni di euro) per lo sviluppo di iniziative nel campo della salute e la costruzione di progetti abitativi che rappresentano un contributo importante per supportare la ripresa economica del Kenya che in questo momento deve fronteggiare una certa pressione su alcuni fondamentali macroeconomici come disoccupazione, debito pubblico e inflazione. Ultimo, ma non meno importante, la promessa di abolire progressivamente le barriere non-tariffarie per rafforzare il commercio tra i due stati.

Soprattutto, il viaggio di Mattarella giunge in una fase particolarmente calda per le dinamiche geopolitiche del Corno d’Africa che vede il Kenya come uno degli attori maggiormente attivi su tutti i dossier più importanti della regione. La regione è al centro dell’agenda delle due superpotenze globali con la Cina che ha nominato lo scorso anno un inviato speciale ad hoc e gli USA che hanno speso ingenti risorse diplomatiche e finanziarie per sottrarla all’influenza dei competitors. Non è un caso che mentre Mattarella presenziava al banchetto presidenziale in suo onore, il segretario di Stato Antony Blinken si stesse imbarcando per l’Etiopia. Tuttavia, di là delle manovre delle grandi potenze, il Corno d’Africa in questo momento storico è centrale negli interessi anche di quelle di medie dimensioni. Ci sono gli Emirati Arabi Uniti, impegnati nelle mediazioni tra militari e civili in Sudan, così come nel supporto al governo somalo nella lotta ad al-Shabaab. Ci sono i turchi con i loro investimenti nel porto di Mogadiscio e i droni Bayraktar dispiegati in Somalia. Ci sono i russi che tessono la loro rete tra Eritrea e Sudan e la Francia che prepara il terreno per un rafforzamento dei rapporti commerciali con le economie più floride dell’area.

In questo groviglio d’interessi e di presenze, centrale resta il ruolo del Kenya. Nell’ultimo anno Nairobi ha nell’ordine: mediato sulla guerra nel Tigray, grazie al suo ex presidente Uhuru Kenyatta, contribuito in maniera multilaterale e bilaterale alla lotta ad al-Shabaab, lanciato un’iniziativa di peacekeeping nella Repubblica Democratica del Congo (dopo aver sponsorizzato l’ingresso di Kinshasa nella East African Community con successo) e rafforzato la partnership di cooperazione energetica con la Tanzania. A ciò si aggiunga anche la transizione di poteri dopo le elezioni presidenziali del 9 agosto che rappresenta un tornante storico importante per il paese. William Ruto ha infatti sconfitto al voto i figli dei padri fondatori Uhuru Kenyatta e Raila Odinga, uniti in coalizione, sancendo così un passaggio di consegne generazionale e che ha visto (in controtendenza rispetto al resto del continente) un affievolirsi della rilevanza del fattore etnico nelle scelte politiche della popolazione. Ruto, è infatti un esponente dell’etnia dei kalenjin ma è stato votato da una porzione rilevante dei giovani dell’etnia kikuyu che tradizionalmente si oppone ai primi sul piano politico. In questo senso non sorprende che Mattarella abbia voluto esplicitamente rimarcare il ruolo del Kenya come “esempio di democrazia”.

Nel lungo periodo, la visita di Mattarella punta a rimettere l’Italia nel grande gioco del Corno d’Africa, una delle aree più promettenti del continente in termini economici e più importanti sul piano geostrategico vista la vicinanza a Bab el-Mandeeb e alla direttrice del Canale di Suez. La visita del capo del Quirinale s’inserisce anche all’interno della nuova agenda governativa per il continente, quello che il premier Meloni ha ribattezzato come il “piano Mattei per l’Africa” nel suo programma elettorale e tramite il quale Palazzo Chigi punta ad arginare i problemi migratori e a guadagnare nuovi spazi di d’influenza. La visita di Mattarella, inoltre, conferma la centralità dell’Africa nella nuova agenda di politica estera di Roma come dimostrano i bilaterali intrattenuti dal primo ministro e dal presidente della Repubblica con il presidente del Niger, Bazoum, il presidente mauritano Ghazouani, il primo ministro etiope Abiy Ahmed e il presidente somalo Hassan Sheikh negli ultimi quattro mesi. Il viaggio a Nairobi però, segnala la volontà di andare oltre le tematiche che hanno sempre contraddistinto i rapporti con i partners nel continente, cioè energia e flussi migratori (il Kenya, infatti, non esporta energia e non ha nulla a che vedere con l’immigrazione illecita dal continente). In questo contesto la visita del capo del Quirinale potrebbe essere vista come un apripista per la prossima, attesa, visita del Primo Ministro Meloni in Etiopia l’altro gigante del Corno d’Africa per la cui ricostruzione dopo la guerra nel Tigray l’Italia ha stanziato 140 milioni di euro. Creare una base solida nei rapporti con le statualità africane non è un’impresa facile per qualsiasi nazione europea, specie in questo momento storico. L’Italia ha nel Corno d’Africa un passato coloniale pesante e una politica estera che è stata più spesso focalizzata sui rischi provenienti dal continente che non sulle opportunità legate ad esso. Insomma, serviranno sforzi diplomatici proficui e costanti per costruire quella relazione paritaria menzionata da Mattarella e promessa da Palazzo Chigi.

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