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Nubi di tempesta sul Kashmir

Tra India e Pakistan soffiano venti di tempesta sul Kashmir. L’analisi di Guido Bolaffi

Tra India e Pakistan soffiano venti di tempesta sul Kashmir. Sul finire dell’estate scorsa, infatti, il diritto di sovranità da entrambi rivendicato sulle splendide, ma inquiete, vallate della regione – divisa dopo la guerra 1947-48 da una linea di confine mai accettata dai due paesi come definitiva – è tornato ad agitare le acque, da tempo non certo tranquille, tra i governi di Delhi e di Islamabad.

Nell’occasione, a dare fuoco alla tenzone tra i due paesi, era stata la conferenza stampa tenuta ad Ottawa dal Premier canadese Justin Trudeau. Che lo scorso 19 settembre, parlando ai microfoni di mezzo mondo, aveva denunciato il possibile coinvolgimento dei servizi segreti di Delhi nell’uccisione in British Columbia di Hardeep Singh Nijjar, leader del separatismo Sikh nel Kashmir indiano.

Un’accusa accolta con interessata attenzione da autorevoli ambienti politici pakistani, ma rabbiosamente respinta al mittente da quelli indiani.

Come testimonia più di tante parole la campagna di “controinformazione” condotta dall’ascoltatissimo canale televisivo indiano Wion, che nella rubrica Gravitas del 23 settembre chiedeva con sferzante malizia: “Justin Trudeau, if Khalistanis [i separatisti Sikh] seek homeland in Canada, will you allow it? May be you should”.

E che di lì a pochi giorni tornava a rincarare la dose mandando in onda uno speciale titolato Khalistani secret sponsor revealed: How Pak spy agency influences anti-India agenda, per informare i suoi numerosissimi ascoltatori che “We delve into the history of so-called Khalistani movement and reveal the sinister connection between the secessionist forces and Pakistan’s notorious ISI (Inter-Services Intelligence)”.

L’amministrazione americana, preoccupata dal pericoloso crescendo di accuse e controaccuse tra India e Pakistan – che, è bene ricordare, dispongono di armi nucleari insieme ad un ristrettissimo gruppo di altre nazioni (Usa, Cina, Russia, Regno Unito, Francia, Corea del Nord e, ufficiosamente Israele) – ha, come si dice, cercato di correre ai ripari. E di usare, in via riservatissima, la moral suasion dei suoi attuali, ottimi rapporti con Delhi e di quelli storici con i militari di Islamabad, per cercare di raffreddare gli animi.

Tanto è vero che solo accidentalmente si è venuti a conoscenza, grazie ad uno scoop del quotidiano indiano The Wire che: “After the US ambassador in Pakistan visited Gilgit-Baltistan in Pakistan-occupied Kashmir, his counterpart in New Delhi Eric Garcetti, on September 26, drew a parallel with the American delegation’s visit to Srinagar [...] US ambassador Donald Blome travelled to the Gilgit and Hunza valleys recently, which was flagged by opposition parties in Pakistan”.

Cosa confermata dal foglio pakistano Dawn nell’articolo del 26 settembre Blome’s visit to Gilgit-Baltistan meant to strengthen region’s climate resilience: US embassy: “In the Gilgit-Baltistan Assembly opposition leader Kazim Masum said that the mysterious activities of the US ambassador in the region has raised questions [...] and former Senate chairman and PPP leader Mian Raza Rabbani said the manner in which diplomats were visiting strategic areas and commenting on the internal affairs of the country led one to believe that a new form of East India Company had invaded Pakistan”.

Ma se andiamo più a fondo dei motivi che potrebbero aver spinto la diplomazia Usa ad immischiarsi in questa ingarbugliata matassa politica, forse ne scopriamo uno ben diverso e delicato rispetto a quelli, francamente singolari, ventilati dai politici pakistani, collegato all’aspro, storico contenzioso indo-pakistano sull’uso delle acque del bacino dell’Indo “The second-most overstressed aquifer in the world”. Riacutizzatosi di recente a causa del via libera del governo di Delhi alla costruzione di una colossale centrale idroelettrica nell’area di Kishanganga e Ratle.

Una diatriba che, spiegava Betsy Joles nell’articolo Can India and Pakistan’s Historic Water Pact Endure?, rischia di mandare all’aria “A treaty brokered since 1960 by the World Bank that has prevented a water war between pugnacious neighbors India and Pakistan – even as the two countries have gone to war three times over other issues. The Indus Waters Treaty outlines the usage rights of the Indus River and its five tributaries, which snake through the countries. China and Afghanistan also utilize water from Indus Basin”. Con l’aggravante che oggi, sempre secondo Betsy Joles, “As India (the world’s largest groundwater consumer) and Pakistan (the world’s third largest) face an elevated risk of frequent droughts and floods exacerbated by climate change [...] their recent disagreement testing the language of the treaty and its ability to anticipate how dams could be used or abused in the water sharing arrangement in the disputed region of Kashmir”.

Per fortuna, il Ministero degli Esteri indiano a fine settembre rendeva noto con uno stringato comunicato che “India has attended a two-day meeting of the Neutral Expert proceedings in Vienna on the Kishanganga and Ratle hydroelectric project dispute with Pakistan”.

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