Nuovi equilibri e nuovi attori globali: l’ascesa del Global South
Dallo spostamento degli equilibri geopolitici all’emergere di nuove leadership regionali: come il Global South sta ridefinendo le dinamiche del potere globale e influenzando le agende economiche, politiche e ambientali del XXI secolo. Di seguito l’approfondimento di Enrico Casini, Damiano Toderi e Alessandro Riccioni, pubblicato nel nostro Report Annuale 2025.

Il sistema internazionale sorto sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale sembra essere ormai entrato in crisi da tempo. Se dopo la fine del bipolarismo della Guerra Fredda sembrava avviarsi un’epoca di dominio assoluto degli Stati Uniti e dell’Occidente, nel volgere di pochi anni, dall’inizio del terzo millennio in poi, tale prospettiva è mutata. Dopo una breve parentesi di unipolarismo, infatti, il mondo si è orientato sempre di più verso un modello multipolare.
A dire il vero una serie di eventi, alcuni dei quali probabilmente sottovalutati in principio, hanno favorito questo progressivo cambiamento di prospettiva, che si è nei fatti reso possibile soprattutto nel momento in cui l’ascesa economica cinese – e successivamente anche politica e militare – è emersa in tutta la sua grandezza. Parallelamente all’emersione della Repubblica Popolare Cinese (RPC) quale nuovo player globale di prima grandezza, capace di rivaleggiare con le altre grandi potenze economiche mondiali, inclusi gli Stati Uniti, si è assistito al ritorno in auge di una potenza dal grande passato, che troppo frettolosamente era stata ritenuta ormai confinata ad un ruolo residuale, la Federazione Russa.
A partire dall’inizio della seconda decade del XXI secolo, soprattutto a seguito della svolta impressa alla politica estera e di sicurezza di questi due paesi dai loro leader indiscussi, Vladimir Putin e Xi Jinping, la competizione strategica con l’Occidente, e soprattutto con gli Stati Uniti, si è fatta più palese. Una serie di eventi imprevisti e di crisi ha, infatti, via via contribuito ad un ridimensionamento del ruolo dei paesi occidentali a livello internazionale e, soprattutto, ha inferto ulteriori colpi alle istituzioni multilaterali nate nel quadro del sistema internazionale a guida occidentale. In questo contesto, Russia e Cina hanno iniziato a guidare una sorta di eterogeneo “nuovo polo globale”, composto da paesi autocratici e revisionisti, in cui è possibile anche includere Iran e Corea del Nord. La competizione tra questi paesi e l’Occidente da un lato ruota intorno a settori quali l’energia, le nuove tecnologie, l’economia e le infrastrutture, dall’altro ha sempre di più anche risvolti di natura militare, come dimostrato dai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente.
Il confronto, però, non riguarda solo Occidente e potenze revisioniste, ma coinvolge molti attori che scelgono come posizionarsi, di volta in volta – in base ai propri interessi strategici ed economici – sui singoli dossier, trovandosi a cooperare anche con paesi che rappresentano dei rivali su altri fronti. Si tratta, quindi, di una sorta di assetto a geometria variabile nelle relazioni internazionali che conferma quanto il sistema attuale sia sostanzialmente privo di una guida univoca e in balia di una nuova possibile forma di anarchia dopo le relative certezze della Guerra Fredda e quelle degli anni dell’unilateralismo americano.
Nel multipolarismo prodotto dai nuovi equilibri geo-politici e geo-economici planetari è possibile individuare almeno tre differenti poli di riferimento. Quello dei paesi occidentali e dei loro alleati, in cui, oltre a Stati Uniti ed Europa, rientrano anche Australia, Giappone e Corea del Sud; quello delle potenze autocratiche revisioniste, che hanno nella Cina e nella Russia il principale riferimento e che condividono al momento numerosi interessi comuni; e infine, il grande gruppo dei paesi del cosiddetto Sud Globale (o Global South). Quest’ultimo è un gruppo vasto e molto variegato – in quanto riunisce paesi con traiettorie e strategie spesso alternative tra loro –, in cui si distinguono grandi potenze emergenti come l’India o l’Arabia Saudita, il Brasile o il Sud Africa. Anche se Mosca e Pechino stanno tentando di costruirsi una propria, autonoma, sfera di influenza all’interno di questo gruppo, molti paesi del Sud Globale seguono in realtà una politica di multi-allineamento – cercando di mantenere buone relazioni sia con i paesi occidentali che con la Cina e la Russia –, ritenendola la più adatta a favorire i propri interessi nazionali.
Grazie anche a questa strategia, alcuni paesi appartenenti al Sud Globale sono diventati, o stanno diventando, protagonisti dello scenario internazionale, spesso sfruttando la loro forza economico-finanziaria in alcuni ambiti specifici per acquisire influenza politica. Paesi come India o Arabia Saudita sono infatti ormai diventati dei player i cui numeri definiscono i nuovi equilibri del sistema internazionale e con cui, di conseguenza, tutte le grandi potenze si trovano a dover fare i conti.
Global South: un po’ di numeri
Il ruolo dei paesi del Sud Globale nei nuovi scenari della politica e dell’economia internazionale è dibattuto ormai da alcuni anni. Basti ricordare, per esempio, il confronto emerso già tra la fine degli anni Novanta del Novecento e i primi anni Duemila proprio intorno alla questione degli squilibri tra Nord e Sud del mondo, o alla cancellazione del debito dei paesi più poveri, bandiere dei movimenti No Global nati in quel periodo storico. Ma dai fora alternativi di Porto Alegre ad oggi molto è cambiato a livello internazionale e di certo in pochi, anche tra gli oppositori al modello della globalizzazione “neoliberista”, avevano immaginato o previsto le dinamiche che, grazie anche alla globalizzazione stessa, hanno permesso l’emergere di nuovi equilibri sul piano economico e politico mondiali. Alcuni paesi al tempo considerati come le “vittime” di un sistema economico internazionale guidato dai campioni della globalizzazione sono oggi diventati attori protagonisti e, pur restando spesso formalmente paesi in via di sviluppo, hanno assunto un ruolo di primo piano nella scena economica mondiale.
L’espressione “Global South” venne utilizzata per la prima volta alla fine degli anni Sessanta dal politologo Carl Oglesby, esponente di spicco della New Left statunitense, in riferimento ai paesi del “terzo mondo”, ovvero quelli che non rientravano nel sistema bipolare Stati Uniti-Unione Sovietica. Tuttavia, il Sud del mondo non è più quello immaginato durante la Guerra fredda. Anche se alcune dinamiche geopolitiche del tempo, relative ai paesi “non allineati”, possono ricordare il posizionamento e le mosse di alcuni attori odierni – in alcuni casi (come ad esempio India, Egitto e Indonesia) si tratta, peraltro, degli stessi stati – oggi molto è cambiato. Il mondo è notevolmente più interconnesso, le economie nazionali e regionali sono più interdipendenti tra loro, le catene del valore e le supply chain hanno una dimensione sempre più globale e alcuni paesi, un tempo ai margini dei grandi processi di sviluppo mondiali, risultano oggigiorno essere degli snodi imprescindibili di queste dinamiche. Anche alla luce di questi cambiamenti, non esiste attualmente una definizione ufficiale di quali paesi rientrino nel Global South. Seguendo la classificazione dello United Nations‘ Finance Center for South-South Cooperation, ad esempio, il gruppo racchiuderebbe i 78 paesi definiti anche Group of 77 and China.[1]
Se si guardano un po’ di numeri si ha una maggiore idea dell’impressionante ascesa di questi paesi. Nel decennio 2014-2024 il Global South ha contribuito per il 71,3% della crescita del PIL globale e ne detiene oggi il 54,1% a fronte del 44,8% dei paesi del Nord, con un PIL pro-capite stimato in media intorno a 18.728 dollari. Si prevede che nel 2030 tre delle quattro maggiori economie mondiali saranno paesi del Global South, con India e Indonesia che andranno a sostituirsi ad alcune potenze occidentali. Anche il dato demografico è significativo: il Sud globale, la cui popolazione supera già i 6 miliardi di persone, mostra infatti una crescita demografica stimata intorno all’1,2% (contro lo 0,4% del Nord). Un esempio di questa tendenza è dato dall’India, che lo scorso anno è diventata il primo paese al mondo per popolazione, segnando uno storico sorpasso sulla Cina.
Anche in relazione al commercio e alla finanza globale, il ruolo del Global South è notevolmente cresciuto negli ultimi venticinque anni, e soprattutto dopo la crisi del 2007-08. In particolare, gli investimenti Sud-Sud sono quelli che hanno visto il tasso di crescita maggiore (passando da 2.300 miliardi di dollari a 5.600 miliardi di dollari), seguiti, nell’ordine, da quelli Nord-Sud, Sud-Nord e Nord-Nord.[2]
Sulla scorta dei livelli di crescita attuali e stimati per il futuro, e del ruolo crescente nell’economia mondiale, alcuni paesi del Global South stanno mostrando un maggiore attivismo internazionale, rivendicando, in molti casi, una riforma sostanziale degli organismi internazionali, che tenga conto dei nuovi equilibri. In tal senso, questi paesi sembrerebbero essere allineati a Cina e Russia, ad esempio nella creazione di istituzioni finanziarie alternative – per esempio, la Cina ha lanciato nel 2015 il sistema CIPS, la Russia il STFM e il FPS, l’India l’UPI e il Brasile il Pix[3] – o nella promozione di questi obiettivi di riforma all’interno del gruppo BRICS. Anche se in realtà, come si vedrà, le ambizioni e i programmi dei suoi paesi membri sono spesso ben poco allineati, il ruolo crescente rivestito da questo forum – le cui riunioni sono diventate sempre di più una sorta di contraltare al G7 e hanno attirato negli anni un numero sempre maggiore di partecipanti – è un’ulteriore dimostrazione di un progressivo mutamento negli equilibri mondiali.
I BRICS e la sfida al ruolo economico occidentale
L’ultima riunione dei paesi BRICS, che si è tenuta nell’ottobre 2024 a Kazan, in Russia, ha visto la partecipazione, oltre che dei membri originari (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e dei nuovi membri che si sono aggiunti all’inizio del 2024 dando vita al BRICS+ (Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti), anche dei rappresentanti di altri stati, principalmente provenienti dal Sud Globale, in qualità di paesi interessati all’adesione, a testimonianza della notevole attrattiva del forum[4].
Numerosi sono stati i temi trattati, poi raccolti nella Dichiarazione di Kazan, documento conclusivo del vertice, i cui contenuti evidenziano, tuttavia, una limitata uniformità di vedute tra i membri. La grande eterogeneità dei partecipanti, con le relative strategie ed interessi, è uno degli elementi che emerge costantemente nelle riunioni dei BRICS (così come in diversi altri contesti in cui si riuniscono gli esponenti del Sud Globale). Il gruppo, infatti, è caratterizzato da notevoli difformità economiche, politiche e sociali tra i suoi membri. Differenze che anche a Kazan sono state evidenti, soprattutto intorno al tema dei conflitti in corso e del posizionamento internazionale, ma anche sul piano economico e finanziario.
I paesi membri dell’organizzazione, infatti, presentano performance e aspirazioni economiche differenti e non vi è intesa, ad esempio, sulla necessità di una moneta unica, tant’è che, diversamente dal summit 2023 di Johannesburg, a Kazan non è stato fatto alcun riferimento esplicito a questo punto. Inoltre, non tutti – in particolare India, Sud Africa ed Emirati Arabi Uniti – intendono svincolarsi totalmente dal dollaro, soprattutto laddove questo implicherebbe un rafforzamento significativo dello yuan cinese. Allo stesso tempo, però, i paesi del gruppo sembrano concordare sulla necessità di avviare una ristrutturazione dell’ordine economico internazionale. In tal senso si colloca la creazione del BRICS Clear, sistema di liquidazione e compensazione degli scambi tra paesi membri (e partner) alternativo allo SWIFT occidentale, e del BRICS Interbank Cooperation Mechanism (ICM) quale sistema di cooperazione bancaria dell’organizzazione. Su proposta della Russia si è discussa, inoltre, la creazione di una BRICS Grain Exchange Platform per il commercio di cereali, da estendere, eventualmente, anche ad altri settori agricoli e non. Si ricorda, inoltre, come dal 2014 i BRICS si siano dotati di una propria istituzione finanziaria, la New Development Bank (NDB), creata per sostenere progetti di investimento in sostituzione della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Al momento, tuttavia, la NDB presenta capacità di azione ancora ridotte rispetto a queste ultime: nel 2021, ad esempio, ha mobilitato 29,7 miliardi di dollari, rispetto ai 157 miliardi della Banca Mondiale.
Al vertice di Kazan si è discusso anche di un ulteriore allargamento del forum, con l’introduzione della categoria di partner country, intesa come stadio preliminare all’adesione effettiva. Anche in questo ambito permangono, tuttavia, visioni differenti. All’entusiasmo della Cina per un ampliamento dei BRICS si contrappone, infatti, l’approccio più cauto di Brasile e India, che non condividono l’orientamento sempre più antioccidentale attribuito da Pechino – così come da Mosca – a tale allargamento. Sembrerebbe ricollegarsi a questi timori, ad esempio, il veto posto dal presidente brasiliano Lula all’accesso, come partner country, del Venezuela, il cui presidente Maduro si è recato a Kazan, dove ha ribadito il suo pieno sostegno a Putin. Da segnalare inoltre la partecipazione al summit di Turchia e Arabia Saudita, due paesi che sono stati invitati ad entrare nei BRICS, anche se la loro eventuale adesione rimane ancora incerta.
L’attenzione dimostrata da alcuni attori di primo piano per il gruppo BRICS lascia ipotizzare come il forum sia destinato a diventare sempre più centrale negli anni a venire. Oltre alla notevole crescita in termini economici vissuta dai suoi membri nel corso degli ultimi anni, tra gli elementi che hanno concorso ad aumentare l’influenza politica dei BRICS vi è stata la volontà di dare voce alle istanze dei paesi del Sud del mondo e, in particolare, di quelle potenze in ascesa che intendono portare avanti una politica estera di multi-allineamento. Tutti i componenti sono membri, infatti, dei principali organismi internazionali – di natura economica, come il FMI, o politica, come l’ONU – e alcuni sono parte di alleanze più o meno formalizzate con i paesi del G7, come nel caso del QUAD (che riunisce Australia, Giappone, India e Stati Uniti). Tuttavia, resta da chiedersi se in futuro il gruppo si configurerà in maniera complementare oppure in contrasto con l’Occidente. Infatti, laddove il ruolo di Mosca e Pechino dovesse continuare a condizionare l’agenda dei BRICS in funzione antioccidentale è possibile che si consolidi uno schema di antagonismo tra G7 e BRICS. Viceversa, se paesi come India, Emirati Arabi ed Egitto riusciranno a portare avanti una politica più cooperativa con gli attori occidentali sarà possibile evitare questa competizione tra blocchi.
Dall’India al Brasile, il G20 mette in scena i paesi emergenti
India e Cina sono diventate, negli ultimi anni, due protagonisti indiscussi nel folto e articolato fronte del Global South, con l’ambizione, da parte di entrambe, di svolgere un ruolo di guida al suo interno. Le tensioni e le rivalità esistenti tra i due giganti asiatici, riflesso anche di decenni di relazioni complicate e questioni irrisolte, potranno condizionare anche nei prossimi anni le iniziative introdotte a livello internazionale, a partire dalla competizione nell’area dell’Indo-pacifico. Se il peso economico e politico della Cina a livello globale è ormai indiscusso, dopo decenni di crescita, negli ultimi anni anche l’India di Narendra Modi ha saputo sfruttare alcune occasioni importanti, come la presidenza del G20 nel 2023, per presentarsi al mondo nella veste di quarta potenza globale, pronta a incarnare un ruolo più autonomo rispetto alla polarizzazione tra Russia e Cina da una parte e Stati Uniti ed Europa dall’altra, e a farsi portavoce delle principali istanze del Sud Globale.
Questo atteggiamento dell’India, adottato in più occasioni nei vertici dei BRICS, si è manifestato anche durante il Summit 2024 del G20 a Rio De Janeiro, la diciannovesima edizione del vertice che ogni anno riunisce i membri di questo forum nato nel 1999 come risposta alle crisi finanziarie globali degli anni Novanta, con l’obiettivo di promuovere la cooperazione economica internazionale. Denominata “Building a just world and a sustainable planet”, questa edizione ha visto la partecipazione dei 19 stati e delle due organizzazioni internazionali appartenenti al gruppo,[5] i quali rappresentano l’85% del PIL globale, più del 75% del commercio internazionale e due terzi della popolazione mondiale.
Il G20 di Rio ha costituito un’importante vetrina internazionale per il Brasile, che sotto la presidenza Lula ha avviato una nuova fase di attivismo in politica estera, con la quale Brasilia, pur tenendo spesso una linea di non allineamento sui principali dossier, si sta affermando come un attore sempre più centrale nella comunità internazionale. Questo indirizzo passa sia da un forte impegno nei principali fora internazionali – dopo il G20, infatti, nel 2025 il Brasile ospiterà la COP30 e avrà la presidenza dei BRICS –, sia da una parziale riformulazione delle relazioni bilaterali. Ad esempio, dopo le ultime elezioni venezuelane caratterizzate da brogli elettorali, il Brasile ha abbracciato le preoccupazioni degli Stati Uniti sul dossier Venezuela, criticando apertamente il regime di Maduro dopo anni di storica vicinanza. O ancora, sul piano economico, Brasilia ha intensificato le proprie relazioni economiche con alcuni paesi chiave, siglando, ad esempio, diversi accordi con gli Emirati Arabi Uniti e un memorandum per la creazione di un Saudi-Brazilian Coordination Council con l’Arabia Saudita.
Tra i temi trattati durante il vertice di Rio si è discusso del rafforzamento del ruolo delle Nazioni Unite e dei suoi principali organi, dall’Assemblea Generale all’Economic and Social Council (ECOSOC), dalla Peacebuilding Commission al Segretariato. Particolare attenzione è stata dedicata al ruolo e alla composizione del Consiglio di Sicurezza, il quale, secondo numerosi paesi membri – sebbene con posizioni differenti – andrebbe riformato, garantendo l’inclusione di regioni e gruppi sottorappresentati (Africa, Asia-Pacifico, America Latina e Caraibi). Al contempo, per quel che concerne le istituzioni economiche e finanziarie internazionali, è stata adottata la G20 Roadmap towards Better, Bigger, and More Effective Multilateral Development Banks, un piano finalizzato a potenziare il ruolo e l’efficacia delle banche multilaterali di sviluppo – a partire dalla Banca Mondiale – nel rispondere alle sfide globali, rendendole più snelle, efficienti e meglio integrate e favorendo una collaborazione sistematica tra istituzioni e partner. L’iniziativa si inserisce in una più ampia proposta di riforma delle istituzioni economiche e finanziarie internazionali che comprende, oltre alla Banca Mondiale, anche il FMI e la World Trade Organization (WTO).
In riferimento allo scenario internazionale odierno, invece, sono state espresse preoccupazioni per le crisi in corso, in particolare per la situazione nella Striscia di Gaza e per il conflitto in Ucraina. Se in merito alla prima si è fatto esplicitamente riferimento al diritto all’autodeterminazione della Palestina, proponendo la soluzione dei due stati come possibile risoluzione del conflitto israelo-palestinese, diversa è stata la posizione sull’Ucraina. Sebbene, infatti, sia stata sottolineata la necessità di promuovere una pace globale e duratura, non vi è stata nessuna menzione, né tantomeno una condanna, in merito all’invasione russa.
Un elemento interessante del G20 brasiliano deriva dal fatto che si è trattato del terzo presieduto da un paese del Sud Globale, dopo quello indonesiano del 2022 e quello indiano del 2023. Una continuità che proseguirà anche nel 2025 con la presidenza del Sudafrica e che conferma l’importanza crescente di alcuni paesi del Sud Globale che non rientrano tra le tradizionali potenze mondiali. Nei prossimi anni, saranno sempre di più le occasioni – dai vertici internazionali alle grandi manifestazioni sportive – in cui questi paesi saranno al centro delle attenzioni del mondo intero, come è già avvenuto per la Cina nel corso del primo decennio del Duemila, e potranno mostrare tanto le proprie ambizioni quanto i risultati già conseguiti a livello politico ed economico.
L’Africa al centro del Global South
Nella corsa dei paesi del Sud Globale c’è un continente che sembra emergere sempre più come l’autentico cuore del Sud Globale: l’Africa[6]. Il continente africano resta ancora oggi – come negli scorsi decenni – fortemente caratterizzato da forte instabilità politica, conflitti, povertà e disuguaglianze, oltre che da epidemie, migrazioni e dagli effetti dei cambiamenti climatici. Tuttavia, non solo alcuni paesi africani stanno emergendo da condizioni di sottosviluppo con ritmi di crescita economica sostenuti, ma il continente nel suo insieme, per le sue enormi ricchezze minerarie e naturali, per la sua demografia in forte espansione e per le dimensioni potenziali dei suoi mercati interni, rappresenta in questo momento l’area del mondo con il maggior potenziale economico.
Qualche dato può aiutare a comprendere meglio la rilevanza di questo potenziale. Sebbene il continente costituisca ancora nel 2024 solamente il 2,5% del PIL mondiale, pur ospitando circa il 18% della popolazione del pianeta, esso presenta un tasso di crescita complessivo che nel 2025 dovrebbe superare la soglia del 4%, ben superiore quindi a quello medio mondiale – che si colloca intorno al 3% – e secondo solo a quello dell’Asia[7]. Questa crescita risulta particolarmente evidente, ad esempio, nel caso dell’Etiopia, un paese che negli ultimi dieci anni (2013-2023) ha visto un tasso di crescita medio del PIL dell’8,3%, il secondo più alto a livello mondiale. Quello etiope non è, tuttavia, un caso isolato: nel 2024, dieci delle venti economie in più rapida crescita sono state africane[8]. Occorre sottolineare, però, che si riscontrano forti disparità per quanto riguarda il peso economico dei paesi africani, con cinque stati – Algeria, Egitto, Etiopia, Nigeria e Sudafrica – che da soli contano per metà del PIL africano (1,4 trilioni), la stessa quota detenuta dai restanti quarantotto[9]. Tra i principali driver di crescita di queste potenze economiche regionali – ma anche, più in generale, dell’intero continente – troviamo le risorse energetiche e minerarie. L’Africa detiene, ad esempio, il 7,3% della disponibilità mondiale di petrolio, con la Libia che si colloca al primo posto per riserve e la Nigeria per produzione (oltre un quinto dell’intero continente). Altri grandi produttori di petrolio sono Angola, Egitto e Algeria, i quali, insieme alle già citate Libia e Nigeria, vedono un analogo primato anche nel caso del gas naturale. Tuttavia, il potenziale dell’Africa si estende anche oltre il settore degli idrocarburi, dato che, ad esempio, il continente detiene il 60% del potenziale globale in energia solare[10]. Inoltre, l’Africa ospita enormi riserve di minerali critici, fondamentali per le tecnologie green – oltre che, in generale, per tutte le tecnologie più avanzate –, tra cui il 50% delle riserve mondiali di cobalto, manganese e metalli del gruppo del platino (PGMs)[11]. Questo insieme di fattori rende quindi l’Africa una delle regioni in cui si misura maggiormente la competizione tra i grandi player globali – intesi sia come governi che come attori privati –, che negli anni hanno messo a punto strategie di vario orientamento dedicate a capitalizzare dalle opportunità del Continente.
La Russia, ad esempio, sfrutta la propria presenza storicamente radicata in Africa sul piano politico, militare e diplomatico, per ottenere vantaggi anche a livello economico ed energetico. La Cina, con la Belt and Road Iniziative (BRI), ha fornito a numerosi paesi del continente cospicui investimenti difficilmente ripagabili per le deboli finanze africane, producendo, in gran parte di queste economie, il cosiddetto fenomeno della trappola del debito e limitando quindi le opportunità di sviluppo. Anche la Turchia ed i paesi del Golfo, con gli Emirati Arabi Uniti in testa, stanno portando avanti diversi progetti di sviluppo e di investimento nel continente. Se Ankara mira a garantire una certa copertura politica, economica e militare alle amministrazioni africane, l’approccio del Golfo è tendenzialmente più business oriented, e quindi alternativo sia a quello cinese che a quello occidentale. Proprio in relazione a quest’ultimo, si citano le strategie di Unione Europea ed Italia. Per quanto concerne l’UE, Bruxelles ha introdotto diverse iniziative di cooperazione con i paesi africani, condensate nel Global Gateway Africa-Europe Investment Package. La strategia è finalizzata a supportare, con investimenti complessivi sia pubblici che privati che dovrebbero raggiungere i 150 miliardi di euro entro il 2027, un processo di sviluppo dell’Africa che sia attento alla transizione verde, al quadro regolatorio, al mondo del lavoro e allo sviluppo sostenibile[12]. Anche l’Italia attraverso il Piano Mattei per l’Africa – che, tra le altre cose, opera in stretta sinergia con il Global Gateway europeo – sta portando avanti un nuovo modello di partenariato con gli stati africani su base paritaria, volto a generare benefici e opportunità per tutti i soggetti interessati. Il piano si sviluppa lungo sei direttrici d’intervento: istruzione, sanità, acqua, agricoltura, energia, ed infrastrutture (fisiche e digitali)[13].
Risulta quindi chiaro come l’Africa incarni pienamente le principali sfide che in questa fase storica coinvolgono i paesi del Global South. Pur essendo caratterizzato da una crescita sostenuta e da grandi potenzialità di sviluppo, il continente presenta ancora notevoli elementi di fragilità e vede numerose incognite gravare sul suo futuro, tra cui i rapporti con le grandi potenze mondiali.
Conclusione: il Mediterraneo crocevia tra Nord e Sud del Mondo
In conclusione, pensare che nel mondo odierno e, soprattutto, in quello che vedremo nei prossimi anni, siano applicabili alcuni schemi politici tipici del passato è probabilmente fuorviante. Numerosi analisti hanno preconizzato un ritorno ad una sorta di “nuova guerra fredda”, in riferimento al confronto strategico tra Cina e Stati Uniti, ma quanto sta avvenendo attualmente nello scenario globale – comprese anche le prime scelte portate avanti dall’amministrazione Trump a inizio 2025 – fa presagire in realtà uno scenario diverso e, per certi versi, ancor più complesso. La Guerra fredda del secondo Novecento si basava infatti, essenzialmente, su un’idea di ordinamento bipolare del mondo che risulta oggi impensabile, alla luce del grado di interconnessione e interdipendenza delle dinamiche globali raggiunto negli ultimi tre decenni. I tavoli sui quali si disputano oggi le partite strategiche sono sempre più numerosi – con energia e tecnologie in testa – e vedono coinvolto un numero sempre maggiore di contendenti. In questo contesto, lo spettro di guerre commerciali e conflitti a bassa intensità – mezzi privilegiati del gioco – si fa sempre più incombente.
Siamo di fronte al sorgere di nuovi equilibri mondiali, che mettono seriamente in discussione molti pilastri dell’attuale sistema politico internazionale e con questi il ruolo egemonico svolto finora dall’Occidente. Nelle nuove dinamiche geopolitiche e geoeconomiche, infatti, il Global South cercherà di emergere sempre di più con un proprio ruolo autonomo, sebbene i soggetti che lo compongono siano uniti spesso più da finalità strumentali che da una vera comunanza di valori e strategie. A guidare questo processo, anche attraverso i diversi consessi internazionali, sarà, probabilmente, il protagonismo ambizioso e determinato di alcuni paesi che stanno diventando sempre più influenti anche al di fuori del proprio contesto regionale. E saranno probabilmente le sfide più strategiche per il futuro – dal climate change alla transizione energetica, all’approvvigionamento di materie prime critiche – il campo in cui il Sud Globale tenterà di affermare il proprio peso crescente a livello politico ed economico, con l’intento di riequilibrare gli equilibri globali.
In queste dinamiche, un ruolo sempre più centrale sarà quello del Mediterraneo, un’area che, fin dall’antichità, è stata un crocevia strategico tra mondi diversi. Tre continenti si affacciano su questo piccolo, ma molto trafficato, mare, ove da secoli si incrociano, e spesso si scontrano, gli interessi di tutte le grandi potenze mondiali. Il Mediterraneo è ancora oggi un luogo di incontro tra Nord e Sud del mondo, dato che connette i paesi europei a quelli dell’Africa e dell’Indo-pacifico tramite numerose vie terrestri e marittime.
In questa regione confluiscono, o confluiranno nei prossimi anni, infrastrutture strategiche sul piano energetico, così come alcune linee di comunicazione indispensabili per la connettività globale. Il Mediterraneo, ad esempio, è la via di accesso in Europa della BRI cinese e lo sarà anche per l’India–Middle East–Europe Economic Corridor (IMEC). Oltre a costituire un fulcro per le relazioni riguardanti energia, nuove tecnologie e rapporti economici in genere, la regione mediterranea – e in particolare alcune aree come l’Africa – sarà anche teatro delle principali sfide strategiche per il futuro del pianeta, come la questione migratoria e quella climatica, oltre alle diverse questioni di sicurezza. Su questi dossier si intrecceranno gli interessi di Nord e Sud globali e sarà quindi fondamentale ricorrere a strumenti e consessi di cooperazione internazionale, così da trovare un terreno comune di collaborazione ed evitare di accentuare le tensioni e i conflitti che già attraversano la regione.
La necessità di una collaborazione diventerà tanto più imprescindibile nei prossimi anni anche perché i paesi emergenti rappresenteranno partner sempre più importanti a livello sia economico che politico. Se l’Europa non vorrà essere tagliata fuori dalle grandi partite globali in corso non potrà non rafforzare la propria capacità di azione verso le altre sponde del Mediterraneo e in particolare verso l’Africa, sulla quale, come visto, si concentrerà sempre più l’interesse dei grandi player globali, in termini di investimenti e accordi strategici.
In quest’ottica, data anche la sua posizione geografica e la tradizione di ottimi rapporti con molti dei player più importanti tra i paesi africani e del Sud Globale, l’Italia si presta ad essere il naturale hub europeo verso questi paesi. Non a caso, il già citato Piano Mattei è stato pensato proprio nell’ottica di rafforzare e rilanciare le relazioni italiane con i paesi africani e di sostenere gli interessi strategici del Sistema Paese nel continente, allargando lo spettro di obiettivi e iniziative anche verso la regione mediorientale e quella indo-pacifica.
Proprio perché posta al centro del Mediterraneo, e quindi particolarmente esposta alle potenziali crisi che lo possono riguardare, l’Italia ha la necessità di costruire un proprio protagonismo nel confronto con il Sud Globale, non solo per evitare o arginare i rischi, ma anche per le grandi opportunità che questo insieme di paesi può portare alla sua economia. Il mondo sta vivendo una fase di profondo cambiamento e i prossimi anni potrebbero rivelarsi tumultuosi. Per fare in modo che gli sviluppi futuri diventino un’occasione di crescita, sarà decisivo il modo in cui l’Italia e l’Europa sapranno confrontarsi con il nuovo scenario globale e quindi, in maniera sempre maggiore, con il Global South. L’Italia, come si è detto, può essere agevolata in questo compito da fattori geografici e storici che la distinguono da altri paesi europei. Come ci ha insegnato anche l’esperienza di Enrico Mattei, si tratta quindi di un’occasione da sfruttare investendo risorse, intelligenze, capacità.
Per saperne di più, consulta il nostro Report Annuale
[1] https://worldpopulationreview.com/country-rankings/global-south-countries
[2] https://cepr.org/voxeu/columns/growth-south-global-finance-new-bilateral-data-and-stylised-facts.
[3] Cross-Border Interbank Payment System, System for Transfer of Financial Messages, Faster Payment System, Unified Payment Interface; cf. https://www.policycenter.ma/publications/institutions-policy-coordination-global-south.
[4] Tra questi, da segnalare Algeria, Bielorussia, Bolivia, Cuba, Indonesia, Kazakistan, Malesia, Nigeria, Thailandia, Turchia, Uganda, Uzbekistan e Vietnam.
[5] Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Corea del Sud, Messico, Arabia Saudita, Sud Africa, Russia, Turchia, Regno Unito e USA, Unione Europea e Unione Africana.
[6] H. Tran, Africa: the center of the Global South, Policy Center for the New South, https://www.policycenter.ma/pu...
[7] International Monetary Fund, World Economic Outlook – October 2024 (https://www.imf.org/external/datamapper/NGDPD@WEO/OEMDC/ADVEC/WEOWORLD/AFQ).
[8] African Development Bank Group, Africa’s Macroeconomic Performance and Outlook 2025, 14 febbraio 2025, p. iii (https://www.afdb.org/en/documents/africas-macroeconomic-performance-and-outlook-january-2025).
[9] Wale Gbadebo, “Africa’s oil giants: Top 10 countries with largest oil reserves in 2024”, The Nation, 1° Settembre 2024 (https://thenationonlineng.net/africas-oil-giants-top-10-countries-with-largest-oil-reserves-in-2024/).
[10] Fatih Birol e William Ruto, “A new energy pact for Africa”, International Energy Agency, 13 luglio 2023 (https://www.iea.org/commentaries/a-new-energy-pact-for-africa).
[11] United States Institute for Peace, Critical Minerals in Africa, ottobre 2024, p. 20 (https://www.usip.org/publications/2024/04/critical-minerals-africa-strengthening-security-supporting-development-and).
[12] https://www.governo.it/sites/g...
[13] Ibidem.