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Pacific Games 2023: poco sport, molta politica internazionale

Le piccole Isole Salomone si confermano al centro della competizione tra Cina e Stati Uniti. L’analisi di Guido Bolaffi

Le sorti della grande geopolitica sono spesso legate ad eventi all’apparenza minori, come dimostra il caso dell’incrocio tra le pericolose ombre di guerra che aleggiano sul Pacifico e lo svolgimento dei Pacific Games (una sorta di mini olimpiade tra le nazioni di quell’immensa distesa oceanica) che a partire dal prossimo 19 novembre si svolgeranno ad Honiara, capitale delle Isole Salomone.

Un appuntamento che, scriveva Sydney Bauer nell’articolo di Foreign Policy The 2023 Pacific Games Wrap Small Countries in Big-Power Struggles:

For a movement that loves to say it’s outside of politics, the Pacific Games, a $450 million regional event for Pacific Island countries, which first ran in 1963, is yet another sporting event under the larger Olympic umbrella that keeps getting caught up in geopolitical agendas. The 2023 Pacific Games will be held in a small island archipelago close to Papua New Guinea that’s become increasingly entangled in the contest for influence in the Pacific between the West and China [...] The Games serve as a regional Olympic qualifier for multiple sports, allowing certain teams to enter the Olympics if they perform well. The draw of qualifying spots is enough to bring athletes from regional powers such as Australia and New Zealand as well as smaller countries, bolstering the importance of the venue”.

Questo evento sportivo rischia, però, di non avere il carattere “olimpico” da molti atteso, per la semplice ragione che i Pacific Games, a causa dei molti, antagonistici interessi geopolitici in ballo, si sono pericolosamente complicati prima ancora di iniziare. A partire dalle tormentate e paradossali vicende relative alla scelta del paese, che in qualità di main sponsor, date le poche risorse di cui dispongono le Salomons Islands, ne avrebbe assicurato il (costoso) finanziamento: “For the Solomon Islands support originally came from Taipei [because] when Honiara bid to host this year’s Games in 2016, the Solomon Islands remained one of the few countries in the world to diplomatically recognize Taiwan as an independent country [so much so that] in 2017 the two countries signed a bilateral agreement. But two years later newly returned to office Prime Minister Manasseh Sogavare reversed the country’s long- standing diplomacy policy and recognized Beijing. The move proved fortuitous for the Pacific Games, as Beijing footed the bill for seven sports facilities as part of the 2023 Pacific Games Stadium Project”.

Un vero e proprio fiume di denari, che però, sebbene Pechino non ne abbia mai ufficialmente reso noto l’ammontare, ha insospettito molti abitanti dell’arcipelago. Questo perché, spiegava Damien Cave nell’articolo del New York Times China’s Mad Dash into a Strategic Island Nation Breeds Resentment:

In the Solomons, a nation of about 700.000 people and around 1000 islands in the sea lanes between Australia and United States, recent experience suggests there is a cost to Beijing’s confident, money-driven approach to expanding its power around the globe. For many islanders, China is productive, yes, and attentive, but they see it less as a benign partner than as an imperious and corrupting force that raises the risk of conflict”.

Tesi confermata dalla politologa dell’University of Southern California Audrye Wong, secondo la quale: “China is much less successful than is commonly assumed. They think paying off people is a quicker and more efficient way of achieving the things the Chinese government wants. The reality is it often creates a backlash and doesn’t work”.

L’umor nero dei melanesiani nei confronti dei figli del Grande Dragone – già segnato dai moti del 2021 nel corso dei quali erano stati dati alle fiamme numerosi negozi e botteghe di immigrati cinesi – è ulteriormente peggiorato quando il Premier Sogavare, non contento di aver contraccambiato Pechino per i finanziamenti ricevuti sottoscrivendo un accordo che “gives China a right to send police officers or naval vessels to the country with few limitations”, ha anche pensato bene, con la scusa dei Giochi, di rinviare di un anno la data delle elezioni politiche che si sarebbero dovute svolgere nel 2023.

Una decisione aspramente criticata dai partiti dell’opposizione al punto che Daniel Suidani, leader della provincia di Malaita, la più popolosa del paese, “has refused to let China do any infrastructure work arguing that he has not seen it add any real value in the country”.

Al momento l’unica cosa certa di questa ingarbugliata vicenda è che i Pacific Games sembrano aver fatto scattare un campanello di allarme ai piani alti dell’amministrazione americana. Infatti, commentava con malcelata stizza Damien Cave nel suo articolo del New York Times:

A plan to reopen a long-closed embassy has been caught up in red tape, limiting the U.S. presence to three diplomats (and a dog) living and working out of hotel rooms, with an interim embassy scheduled to open later this year”.

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