Siria, le prime elezioni del dopo-Assad: un fragile esperimento di transizione politica
Le prime elezioni parlamentari della Siria post-Assad potrebbero rappresentare un passo importante per la transizione politica e la ricostruzione del paese.

Damasco, 5 ottobre 2025 — A quasi un anno dal crollo del regime degli Assad, la Siria ha compiuto un passo che molti osservatori definiscono “storico ma fragile”: le prime elezioni parlamentari del nuovo Stato, organizzate dal governo ad interim guidato dal presidente Ahmad al-Shara. L’appuntamento elettorale, annunciato ad agosto e inizialmente previsto per settembre, è stato salutato dal governo come l’inizio di una “nuova era di rappresentanza e sovranità popolare”. Tuttavia, dietro i proclami ufficiali, la realtà appare molto più complessa.
Un voto simbolico in una transizione incerta
Le elezioni del 5 ottobre 2025 rappresentano uno dei primi passaggi della transizione quinquennale delineata dopo la caduta del regime. Secondo la Costituzione provvisoria promulgata nel marzo 2025, l’Assemblea del Popolo (l’organo legislativo di Damasco) avrà un mandato di 30 mesi, rinnovabile, fino all’adozione di una Costituzione permanente. Il nuovo Parlamento dovrà esercitare funzioni legislative e di controllo sul governo: approvazione delle leggi, ratifica dei trattati internazionali, approvazione del bilancio statale, concessione di amnistie e audizioni dei ministri. In teoria, un passo verso la normalizzazione. In pratica, però, le modalità del voto e la struttura del potere mostrano una Siria ancora lontana da una piena legittimità democratica.
Un meccanismo di voto controllato dall’esecutivo
Le elezioni si sono tenute attraverso un sistema indiretto, scelto — ufficialmente — per la mancanza di registri civili aggiornati e per la difficoltà di organizzare un voto popolare su larga scala in un Paese devastato da oltre dieci anni di conflitto. Dei 210 seggi parlamentari disponibili, 70 saranno nominati direttamente dal presidente al-Shara, mentre i restanti 140 sono stati attribuiti tramite una procedura di voto indiretta gestita da un corpo ristretto di 7.000 grandi elettori. Questi ultimi, a loro volta, non sono stati scelti tramite un processo democratico, bensì selezionati dal governo in base a criteri di “affidabilità politica” e “rilevanza comunitaria”. A vigilare sull’intero processo è stato un Consiglio supremo di undici membri, formato in larga parte da ex esponenti del gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham (HTS), da cui lo stesso Al Shara proviene. È stato questo organo a scremare le oltre 3.000 candidature iniziali, riducendole a una lista finale di 1.570 candidati eleggibili.
Una rappresentanza sbilanciata
I risultati preliminari diffusi nei giorni successivi al voto confermano questa impressione. La nuova Assemblea è dominata da uomini musulmani sunniti, in gran parte ex miliziani o capi tribali che hanno combattuto contro il regime di Bashar al-Assad durante la guerra civile. Solo sei donne risultano elette e le minoranze etniche e religiose — principalmente alawiti, cristiani, curdi, drusi — ottengono complessivamente meno di quindici seggi. Secondo una nota dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR), pubblicata il 9 ottobre, “la scarsa rappresentanza delle minoranze e l’assenza di un processo elettorale inclusivo sollevano dubbi sulla capacità dell’Assemblea di riflettere la diversità della società siriana”.
Le regioni escluse dal voto
Proprio in relazione alla rappresentanza delle minoranze nazionali vi è da segnalare come dal processo elettorale siano state escluse per il momento – ufficialmente si parla di un rinvio per ragioni di sicurezza – la regione meridionale di Suweyda al confine con Israele, dove a luglio e agosto 2025 si erano verificati scontri tra le comunità druse e beduine, e le province nordorientali a maggioranza curda di di Hasakah, Raqqa e Deir ez Zor. Di conseguenza, dei 210 seggi assegnabili, circa 30 rimarranno vacanti.
Tali circostanze rischiano di alterare ulteriormente il fragile equilibrio interno del paese che fatica a realizzare un processo di centralizzazione completo e definitivo. La situazione nel sud del Paese resta infatti estremamente volatile. Nonostante il cessate il fuoco del 18 luglio 2025 e la successiva approvazione di una roadmap per la sicurezza — elaborata con la mediazione della Giordania e degli Stati Uniti — gli scontri tra alcune milizie druse e le forze governative continuano a intermittenza. Gli incidenti più recenti risalgono a fine settembre, quando un gruppo di combattenti drusi ha attaccato un posto di blocco governativo nei pressi di Shahba, accusando Damasco di non rispettare gli accordi.
Nel nord-est, la situazione non è meno tesa. Dopo l’accordo del 10 marzo 2025 sull’integrazione progressiva delle Syrian Democratic Forces (SDF) nel nuovo governo siriano, i combattimenti sono ripresi ad ottobre attorno alla Tishreen Dam, nella provincia di Aleppo. Anche a seguito di un incontro tra l’inviato speciale USA per la Siria Tom Barrack, il comandante del CENTCOM, ammiraglio Brad Cooper, e il comandante delle SDF, generale Mazloum Abdi, un nuovo cessate il fuoco è stato raggiunto il 7 ottobre nonostante la sua tenuta appaia ancora incerta. Le SDF, chiedono un’autonomia amministrativa garantita dalla nuova Costituzione provvisoria, mentre Damasco insiste sulla piena sovranità statale.
Verso quale futuro?
Le elezioni del 5 ottobre 2025 segnano, senza dubbio, un momento simbolico per la nuova Siria e per il suo processo di ricostruzione politica. Tuttavia, diverse sono le criticità che continuano a minare la stabilità del Paese e che riguardano la natura prettamente controllata delle votazioni e soprattutto la debole inclusività delle minoranze. Considerando anche le criticità già presenti nel paese dove, secondo i dati della Nazioni Unite, vi sono circa 7 milioni di sfollati interni e più di 4 milioni di rifugiati nei paesi limitrofi, questi elementi potrebbero compromettere il già fragile processo di ricostruzione siriano che deve anche scontare le diverse pressioni dei vari attori regionali ed internazionali presenti nel paese[1].