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Tra fame energetica e crisi alimentare. La partita per il Maghreb si gioca (anche) sull’idrogeno verde

Lo sviluppo di filiere domestiche di idrogeno verde potrebbe rappresentare una potenziale contromisura alla crisi energetica e alimentare che interessa il bacino mediterraneo. Il punto di Francesco Meriano

La società cinese CEEC (China Energy Engineering Corporation) ha siglato un protocollo d’intesa con l’azienda saudita Ajlan & Bros. e la marocchina Gaia Energy per la realizzazione di una centrale a idrogeno verde nel Marocco meridionale. L’impianto fornirà 32.000 tonnellate di idrogeno per la produzione di circa 140.000 tonnellate annue di ammoniaca, attraverso l’energia generata da una centrale fotovoltaica da 2 GW e un impianto eolico da 4 GW. Un investimento relativamente contenuto per gli standard dell’Impero del centro, la cui risonanza è, nondimeno, amplificata dalle correnti dinamiche geoeconomiche. Lo sviluppo di filiere nazionali dell’idrogeno verde (vale a dire prodotto attraverso fonti rinnovabili) profila infatti una potenziale contromisura alla doppia crisi – energetica e alimentare – che interessa il bacino mediterraneo.

L’ammoniaca rappresenta il precursore chiave per la lavorazione dei fosfati (di cui il regno alawide possiede il 75% circa delle riserve conosciute) in fertilizzanti chimici. Si tratta dunque di un asset fondamentale per rafforzare la produzione agricola nel più ampio quadro della crisi alimentare africana, innescata dall’interruzione delle catene di fornitura mediterranee sulla scia del conflitto Russia-Ucraina e dalla prolungata siccità relativa ai cambiamenti climatici. Basti pensare che la conseguente impennata dei prezzi dei generi di consumo, cresciuti del 28% già nel 2021, ha fruttato all’Office Cherifien des Phosphates marocchino (OCP) un aumento dei profitti annui del 56% per circa 10.3 miliardi di dollari. Introiti finanziari cui si aggiunge il credito politico accumulato da Rabat sullo scacchiere africano: la prevalenza del comparto agricolo nelle economie del continente costituisce un efficace strumento diplomatico per la proiezione strategica del regno. Il controllo di oltre la metà delle quote di mercato africane consente alla parastatale marocchina di cavalcare l’onda della crisi, agendo quale ufficiosa longa manus della monarchia alawide.

Se i fosfati marocchini costituiscono preziosa leva strategica, il loro utilizzo rappresenta una lama a doppio taglio. Un primo ostacolo è legato, sulla scia dell’interruzione di forniture degli idrocarburi russi, alle pressioni inflattive sul gas metano, che il Marocco utilizza tradizionalmente per ricavare idrogeno di tipo “grigio” e da cui dipende l’80% dei costi variabili di produzione dell’ammoniaca. Ma contraltare alla “diplomazia del fertilizzante” è soprattutto il rischio ambientale profilato dall’utilizzo di derivativi gasieri nel processo di sintesi, responsabile del consumo annuo dell’1% del fabbisogno idrico nazionale e del rilascio di più di due milioni di tonnellate annue di anidride carbonica, principale driver del surriscaldamento globale. Dati che – alla luce degli ingenti danni provocati ai raccolti maghrebini dall’incremento delle temperature e dalla sempre più allarmante carenza d’acqua – cozzano con la realtà di un’industria del fertilizzante in piena espansione.

In questo quadro, lo sviluppo di una filiera domestica dell’idrogeno verde costituirebbe un potenziale game-changer per scindere il nesso tra esternalità ambientale e ambizione geoeconomica, alleviando al contempo la dipendenza marocchina da idrocarburi – di cui il regno è sostanzialmente privo – e ammoniaca di importazione. Tantopiù che Rabat, alla luce della scarsità di giacimenti convenzionali sul territorio, ha varato nel 2009 un piano di diversificazione su vasta scala del fabbisogno energetico nazionale, fissando al 52% la percentuale di energia generata da fonti rinnovabili entro il 2030. Mentre la strategia nazionale per l’idrogeno verde, inaugurata nel 2021, punta a conquistare al Marocco uno share del 4% sui mercati globali della risorsa.

Sviluppi, questi, che favoriscono nuove convergenze con Pechino. Tra i principali produttori globali di fertilizzante, la Repubblica popolare ha stabilito in luglio quote restrittive sugli export nel settore. Uno strumento di policy volto a contenere le pressioni inflattive sul comparto alimentare domestico, ma che rischia, tuttavia, di rallentare la penetrazione economica cinese verso i mercati africani: di qui il potenziale interesse ad accrescere la partecipazione delle industrie cinesi in produzioni delocalizzate. A sua volta, la riduzione degli export dalla Cina contribuisce a mantenere elevati i prezzi del fertilizzante sui mercati internazionali a vantaggio del regno alawide. Senza contare che il supply squeeze contribuisce ad avvicinare Rabat a Nuova Delhi, che in gennaio ha stipulato un accordo con OCP per la fornitura di 1,7 milioni di tonnellate di fertilizzante nell’arco del 2023.

Ma laddove i giganti asiatici mostrano i primi segni d’interesse, il partenariato di riferimento per il Marocco è (ancora) quello con l’Europa. Il regno è il primo paese della sponda sud del Mediterraneo ad aver sottoscritto con Bruxelles, nell’ottobre 2022, l’accordo-quadro per una Green Partnership su clima e transizione energetica, inclusi piani per lo sviluppo di una filiera dell’idrogeno. Mentre risale a questo marzo lo sblocco di un accordo da 300 milioni di euro con la Germania – congelato a inizio anno a seguito di frizioni diplomatiche sul Sahara occidentale – che il governo Merkel aveva sottoscritto nel 2020 per facilitare la ricerca nel settore.

Si tratta, a ben guardare, di una convergenza a più livelli. Cruciale allo sviluppo di un mercato sostenibile del fertilizzante, l’idrogeno verde rappresenta anche una fonte di energia alternativa agli idrocarburi per gli obiettivi di transizione energetica europei. Le proiezioni del piano strategico REpowerEU (stilato dalla Commissione europea a seguito del taglio alle forniture di gas russo verso l’Unione) prevedono l’importazione di 10 milioni di tonnellate annue di idrogeno derivate da fonti rinnovabili entro il 2030: domanda che Marocco e Maghreb, complice l’alto potenziale eolico e solare, potrebbero soddisfare a prezzi competitivi. Non a caso guarda in questa direzione anche l’Algeria, che sembra voler approfittare del volano degli idrocarburi per puntare alla diversificazione del comparto energetico e al blending (o parziale riconversione al trasporto di idrogeno) dei progetti per i gasdotti di raccordo con l’Italia.

La convergenza sull’idrogeno verde favorisce dunque il rafforzamento dell’engagement europeo con la sponda sud del Mediterraneo. Non fa eccezione Roma, che nel marzo 2023 ha varato un piano da 450 milioni di euro a supporto degli investimenti sull’idrogeno verde e che – tramite l’accordo quadro tra Eni e Sonatrach dell’aprile 2022 – collabora allo sviluppo del parco rinnovabili algerino con un progetto pilota a Bir Rebaa.

La partita non è – in ogni caso – priva di incognite. Solleva dubbi, in primis, l’alto consumo di acqua che la produzione di idrogeno verde esigerebbe in un Maghreb già sottoposto a forte stress idrico. Riduzione dell’intensità idrica ed efficientamento del processo produttivo sarebbero driver chiave, dunque, dei futuri partenariati Europa-Maghreb in ambito energetico. Non da meno, tuttavia, le sfide di ordine geopolitico. Sullo sfondo di una crisi idrica e alimentare sempre più pronunciata, le tensioni tra Algeria e Marocco sulla regione del Sahara occidentale spronano i competitor maghrebini a massicci investimenti sui rispettivi comparti militari, a diretto detrimento del budget allocato nei nuovi piani finanziari – promulgati a fine 2022 – per gli obiettivi di diversificazione del fabbisogno energetico e per la sostenibilità della filiera alimentare. Mentre la crisi tunisina e le forze centrifughe che promanano dalla Libia minacciano la stabilità di una regione già provata dal deterioramento sempre più rapido delle condizioni ambientali e politiche.

Equilibri delicati che le criticità energetiche e alimentari minacciano di incrinare, destabilizzando uno scacchiere di cruciale importanza strategica. Per l’Europa, finanziare lo sviluppo di industrie maghrebine dell’idrogeno favorirebbe la creazione di un mercato dell’energia alternativo alle forniture di gas russo. Ma contribuirebbe, al tempo stesso, ad alleviare le pressioni sulla filiera alimentare nordafricana, rafforzando una cintura territoriale necessaria al contenimento dei flussi migratori dall’entroterra sub-sahariano.

Tuttavia, il nesso tra sicurezza energetica e alimentare offre una potenziale testa di ponte per una Cina sempre più interessata alla penetrazione commerciale nel Mediterraneo e nelle economie africane dell’entroterra. Un obiettivo verso cui la Repubblica popolare potrebbe – presto – gettare un’occhiata più approfondita.

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