Un nuovo scontro “informativo” tra Cina e India
Da qualche tempo tra Cina ed India è in atto una guerra del nuovo tipo. Il punto di vista di Guido Bolaffi
Da qualche tempo tra Cina ed India è in atto una guerra del nuovo tipo. Infatti, dalla fine dell’estate scorsa, dopo un crescendo di ripicche e contro ripicche politico diplomatiche, tra Delhi e Pechino è esplosa una nuova, violenta confrontation. Che però, rispetto al passato, si consuma più sul terreno della comunicazione che su quello militare. Un conflitto nel quale in luogo dei cannoni si preferisce colpire l’avversario “sotto la cintura” con le fake news avvelenate dei social media.
Un processo figlio di due eventi in particolare. Il primo: il binario morto su cui da tempo sono bloccati i negoziati tra le delegazioni militari cinese e indiana sulla cosiddetta Line of Actual Control (LAC) della regione himalayana del Ladakh. Teatro nel 2020 dei sanguinosi scontri tra le forze armate dei due paesi.
Uno stallo di cui amaramente rendeva conto Prakash Menon, ex Consigliere del National Security Council of India, scrivendo: “The talks of the 19th round of military commander-level held on 13 and 14 August do not indicate any breakthrough”.
Il secondo: quello segnalato da Bibek Bhandari nell’articolo India and China Are Locked in a Cycle of Mutual Spite edito a giugno scorso su Foreign Policy: “The world’s two most populous countries don’t have space for each other’s journalists [...] Over the past few months, India and China revoked the credentials of each other’s journalists in a tit-for-tat measure, leaving almost no reporters on the ground from both sides [...] For years, both Indian and Chinese correspondents have provided insights from the ground to hundreds of millions of readers [...] Indian journalists from privately owned outlets have provided nuanced reporting and analysis - including social media - helping many Indians develop an informed understanding of the world’s second-largest economy [...] Meanwhile Zhao Xu from state-run Xinhua News Agency is now the only Chinese journalist in India. During normal times China had 14 accredited correspondents in India [...] Public perception of China in India is at a serous low [because] in jingoistic, privately owned television channels anchors and talk show guests take jabs at China”.
Insomma, tra India e Cina mentre sale la tensione cala il livello e la qualità della reciproca informazione, nel cui vuoto si insinua quella apparentemente “spontanea” dei social media. Soprattutto in Cina. Dove, ad esempio, una volta resa pubblica la notizia (in verità mai confermata dall’azienda) dell’intenzione di Apple di spostare parte della sua produzione di iPhone dalla Cina in India, la rete dei bloggers ha usato, cavalcadolo, il messaggio lanciato mesi addietro dal veterano delle Scienze Militari Cinesi colonnello Zhao Xiaozhuo. Che nel corso dei lavori di Shangri-La Dialogue di Singapore aveva affermato che “India is unlikely to catch up to China in the coming decades because of its weak industrial infrastructure”.
Un là ai seguiti descritti da Aadil Brar nel pezzo del 27 settembre: China going all out to attack India-made iPhone 15. This techno-nationalism will isolate it: “Some Chinese social media users have gone on to claim that the new iPhone’s lens is dusty, while others have accused it of claiming to meet European standards [...] Chinese social media users are also targeting Vietnam for its new Apple MacBooks”.
Al punto che, secondo un anonimo utente di Shanghai, “The quality control of not only iPhones but also laptops have declined to the naked eye”.
La verità, proseguiva nella sua analisi l’editorialista di The Print, è che: “Chinese state media have furthered the notion that India is creeping up on the nation’s edge as manufacturing hub, which is a widely accepted concern within the public as well. The latest maligned commentary in public is articulating deep-seated sentiment that China’s economic prospect are on a downward trend as India’s promise as the next major hub of manufacturing gets more currency”.
Tanto è vero che nonostante Wenhao Ma, reporter di Voice of America, si fosse premurato con un twitter di segnalare che “China’s state media had previously debunked the rumor that India-made iPhone were primarily serve the Chinese market”, per giorni sulle reti di mezza Cina migliaia di messaggi hanno continuato a rilanciare l’allarme secondo cui “Apple spedisce i telefoni della migliore qualità in Europa e quelli di scarsa qualità in Asia, inclusa la Cina”.