La Conferenza Ministeriale di Berlino
Il Contributo dell’Africa al Futuro delle Operazioni di Peacekeeping. L'analisi di Chepkorir Sambu

Il 13 e 14 maggio, gli Stati membri delle Nazioni Unite (ONU) si riuniranno a Berlino per l’8ª Conferenza Ministeriale sul Peacekeeping, con l’obiettivo di discutere il futuro delle operazioni di mantenimento della pace. A guidare i lavori sarà uno studio indipendente commissionato dai co-organizzatori della conferenza, intitolato The Future of Peacekeeping, New Models, and Related Capabilities.
Lo studio analizza successi e sfide del peacekeeping, proponendo nuove strategie per affrontare tali difficoltà e adattarsi ai mutamenti della realtà contemporanea. In particolare, propone tre ampi quadri concettuali per il rilancio delle operazioni: i mandati, i modelli (ne sono individuati 30) e sei modalità operative per la loro attuazione.
Contestualizzare il Peacekeeping
Per decenni, il peacekeeping ha rappresentato uno dei principali strumenti del multilateralismo per perseguire la finalità primaria delle Nazioni Unite: il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. In diverse occasioni, ha contribuito a stabilizzare Stati, salvaguardarne la sovranità, proteggere i civili, prevenire atrocità in zone di conflitto, monitorare cessate il fuoco e supervisionare elezioni, oltre a sostenere la ricostruzione post-conflitto. Il tutto con una notevole efficacia in termini di costi.
Tuttavia, l’istituto del peacekeeping è oggi messo alla prova da sfide globali, operative e strutturali. Le attuali tensioni geopolitiche influenzano o minacciano di influenzare il processo decisionale del Consiglio di Sicurezza, l’organo ONU incaricato di autorizzare le missioni. Se in passato le decisioni in materia godevano di un consenso relativo, la polarizzazione – in particolare tra i membri permanenti – rischia di minare tale convergenza.
Parallelamente, si osserva una riduzione dell’impegno finanziario da parte degli Stati, che investono meno sia nelle missioni sia nel bilancio ONU complessivo. I tagli stanno già imponendo riforme strutturali, mentre la natura dei conflitti evolve: cresce il numero degli attori armati e si diffondono nuove tecnologie belliche. Inoltre, le parti in conflitto ricorrono sempre più spesso a sostegni bilaterali, indebolendo le soluzioni pacifiche previste dalla Carta delle Nazioni Unite e dalle norme dell’Unione Africana (UA).
Dal punto di vista strutturale, limiti nei mandati, divari tra capacità e aspettative, e comportamenti inappropriati da parte dei peacekeeper hanno generato un deficit di fiducia sia tra governi che a livello locale. Infine, il rallentamento o l’assenza di processi politici, uniti a un ancoraggio politico insufficiente delle operazioni, ne compromettono l’efficacia o ne vanificano i progressi. La Conferenza di Berlino si colloca dunque in un momento cruciale per affrontare queste criticità.
Il Ruolo Centrale dell’Africa
Il contributo dell’Africa sarà determinante per delineare il futuro del peacekeeping. Il continente ospita il maggior numero di missioni ONU e cinque dei dieci principali contributori di personale sono Paesi africani. L’Africa è quindi in una posizione privilegiata per orientare il dibattito, avendo sperimentato sia i benefici che i limiti delle operazioni internazionali.
Negli ultimi cinque anni, il continente ha visto un aumento dei conflitti armati e del terrorismo in tutte le sue sub-regioni, colpi di Stato, instabilità legate al cambiamento climatico e una crisi del debito. Al tempo stesso, alcuni Paesi – come Costa d’Avorio, Liberia e Sierra Leone – hanno registrato significativi progressi. Gli Stati africani portano quindi un bagaglio esperienziale prezioso per ridefinire il peacekeeping.
Complementarità tra UA e ONU
L’Unione Africana (e la sua organizzazione antesignana) ha una lunga tradizione di cooperazione con le Nazioni Unite. I delegati africani possono dunque ribadire con forza l’importanza del multilateralismo. La cooperazione tra UA e ONU nel mantenimento della pace è fondata sul Quadro congiunto ONU-UA del 2017 e sulla Risoluzione 2719 del Consiglio di Sicurezza (2023).
Le due organizzazioni presentano punti di forza complementari: l’ONU offre capacità operative, meccanismi di responsabilità, legittimità internazionale e finanziamenti relativamente stabili; l’UA contribuisce con norme avanzate in materia di pace e governance, conoscenza del contesto locale e disponibilità a intervenire in contesti asimmetrici.
La conferenza di Berlino rappresenta quindi un’opportunità per rafforzare questa collaborazione, anche alla luce dello studio sulle prospettive future. Si apre, ad esempio, la possibilità di co-creare mandati di peacekeeping in Africa, promuovendo l’allineamento con le norme UA grazie anche all’azione degli A3, ovvero i tre Stati africani membri del Consiglio di Sicurezza.
I modelli proposti dallo studio offrono alternative concrete per i mandati, facilitando eventuali compromessi e chiarendo il supporto atteso dai Paesi africani. Le modalità operative – come missioni autorizzate dall’ONU, operazioni congiunte e dispiegamenti paralleli – rilanciano esperienze di cooperazione già sperimentate. L’esperto El-Ghassim Wane ha sottolineato l’importanza di queste forme di collaborazione, proponendo inoltre di nominare referenti UA all’interno delle missioni ONU in Africa per rafforzarne l’efficacia.
Rinforzi Continentali
Lo studio propone una visione del peacekeeping politicamente centrata e orientata alle persone, in linea con quanto affermato dal Sottosegretario Generale ONU per le Operazioni di Pace: “I peacekeeper hanno bisogno dei peace-maker.” Entrambi i punti di vista ribadiscono la centralità della dimensione politica come condizione per il successo delle missioni.
L’Unione Africana dispone di architetture avanzate in materia di pace, sicurezza e governance, che si sono rivelate fondamentali non solo per la gestione delle operazioni, ma anche per la promozione di processi di pace sostenibili a lungo termine. Essa è dotata di strumenti per prevenire i conflitti e rafforzare le iniziative esistenti, talvolta rendendo superfluo il ricorso al peacekeeping.
La Conferenza di Berlino rappresenta, pertanto, non solo un’occasione per riaffermare l’impegno al multilateralismo, ma anche un’opportunità per l’Africa di plasmare il futuro del peacekeeping secondo le proprie esperienze, priorità e capacità.