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Il disgelo diplomatico tra Iran e Arabia Saudita: quali vantaggi per Teheran?

Quali sono le ragioni che hanno spinto l’Iran a riallacciare i rapporti diplomatici con l’Arabia Saudita? L’analisi di Giorgia Perletta

Le relazioni tra Iran e Arabia Saudita sono state caratterizzate da oltre un decennio di forti tensioni, accuse reciproche di destabilizzare l’area e di fomentare conflitti di matrice settaria. Il confronto geopolitico e ideologico tra le due potenze mediorientali, sebbene non sia mai sfociato in uno scontro militare diretto, ha portato alla progressiva securitizzazione della regione. Alcuni osservatori hanno definito le relazioni tra Teheran e Riad come una “guerra fredda”; altri hanno enfatizzato il loro confronto religioso e l’ambizione egemonica nell’area; altri ancora hanno sottolineato la strumentalità della narrativa religiosa per perseguire i rispettivi interessi nazionali. Per queste ragioni, la riconciliazione diplomatica tra Arabia Saudita e Iran, annunciata a inizio marzo con la dichiarazione di voler riallacciare le relazioni bilaterali e riaprire le rispettive rappresentanze diplomatiche, potrebbe trasformare in modo significativo gli equilibri mediorientali. In una regione martoriata da decenni di guerre civili, conflitti settari, presenza di attori non-statali e gruppi terroristici, il disgelo tra Teheran e Riad potrebbe costituire infatti una importante risorsa per la de-escalation nel Medio Oriente. Il progetto di “engagement costruttivo” e di cooperazione con le potenze regionali, proposto e promosso dall’ex presidente iraniano Hassan Rouhani, sembra trovare ora un punto di partenza, certamente non di arrivo. Sono molti, infatti, gli ostacoli che la Repubblica Islamica e la monarchia saudita dovranno affrontare per concretizzare il dialogo bilaterale. Ad esempio, sciogliere i nodi che restano dal conflitto yemenita, come spiega bene questo articolo di Emanuele Rossi.

Era il gennaio del 2016 quando l’Arabia Saudita decise di interrompere le relazioni con la Repubblica Islamica, dopo che la sua rappresentanza diplomatica a Teheran era stata assaltata da un gruppo di manifestanti a seguito l’esecuzione del clerico sciita Nimr al Nimr. Da allora, le tensioni tra le due potenze regionali si sono acuite al punto da rischiare, in diverse occasioni, un diretto confronto militare. Le animosità tra le due non devono essere lette nell’ottica di una competizione settaria, ovvero quella tra sciiti e sunniti, che molto spesso è stata superficialmente utilizzata per descrivere e interpretare il confronto geopolitico e geostrategico tra Riad e Teheran. È innegabile che il discorso religioso abbia un ruolo nell’autorappresentazione delle due potenze e nel tentativo di screditare la controparte: spesso gli iraniani si sono riferiti all’Arabia Saudita con termini quali “estremisti”, “radicali” e viceversa. L’Arabia Saudita ha accusato Teheran di destabilizzare la regione attraverso il sostegno militare e logistico delle milizie sciite e interferendo nei vari contesti di crisi, dall’Iraq alla Siria. Ma la competizione tra Iran e Arabia Saudita si è sviluppata lungo diversi fronti, tra cui quello geopolitico, energetico, e di sicurezza nei traffici marittimi del Golfo.

Dal 2014, il conflitto civile in Yemen è stato il palcoscenico per uno scontro per procura tra Teheran e Riad, dove la prima ha sostenuto i ribelli sciiti Houthi, e la seconda ha guidato una colazione per reinsediare il deposto governo di Mansour Hadi. L’anno successivo è stato siglato l’accordo multilaterale sul nucleare iraniano (il Joint Comprehensive Plan of Action o JCPOA), criticato da parte saudita e visto come una minaccia alla propria sicurezza. Nel settembre del 2019, due importanti istallazioni petrolifere della Saudi Aramco sono state danneggiate da attacchi droni rivendicati dagli Houthi. La presunta mano di Teheran dietro questi attacchi, o più verosimilmente nella fornitura di tecnologia e nel processo di addestramento dei miliziani yemeniti, ha ulteriormente innalzato il livello di tensione della regione.

Alla luce degli esempi qui citati, è lecito domandarsi quindi come mai Riad e Teheran abbiano optato per il disgelo diplomatico e, in particolare, quali siano le ragioni che hanno spinto Teheran a riallacciare i rapporti con la monarchia saudita. Guardando al trascorso postrivoluzionario del paese, si evince come l’Iran abbia cercato di riappacificarsi con l’Arabia Saudita già dai primi anni Novanta quando, conclusa la guerra contro l’Iraq e deceduto quel progetto di “esportare la rivoluzione”, Teheran riprese le relazioni diplomatiche con Riad. Dalle presidenze pragmatico-riformiste di Hashemi Rafsanjani e Mohammad Khatami, l’Iran ha adottato una politica estera pragmatica al fine di mantenere vivo il dialogo con Riad (ma non solo) e per ridurre le tensioni nell’area. Dai primi anni 2000 ad oggi, il Medio Oriente è stato scosso da una serie di epocali cambiamenti che hanno acceso la competizione e il confronto geopolitico tra Iran e Arabia Saudita: dalla caduta di Saddam Hussein nel 2003, all’ascesa regionale iraniana vista dai paesi arabi come un revival sciita, alle contestazioni dal basso delle cosiddette Primavere arabe del 2011-2012, al conflitto civile siriano e poi yemenita, all’ascesa di Daesh (o Stato Islamico) nel 2014.

Il riavvicinamento tra Teheran e Riad è stato possibile grazie alla mediazione di Oman e Iraq che hanno portato le due a colloqui bilaterali frontali dall’aprile del 2021. Oggi, il dialogo con i sauditi non è solo auspicabile per la Repubblica Islamica, ma addirittura necessario e per una serie di ragioni.

In prima battuta, Teheran sta affrontando una fase di isolamento internazionale dovuto sia al sostegno militare offerto alla Russia nel conflitto in Ucraina, sia all’impasse sul JCPOA. Nonostante gli sforzi delle parti coinvolte, il negoziato sul nucleare rilanciato nell’aprile del 2021 stenta a concretizzare un nuovo accordo. Di conseguenza, Teheran ha bisogno di rompere l’isolamento internazionale e aggirare il regime sanzionatorio imposto dagli Stati Uniti attraverso il mantenimento delle buone relazioni con la Cina, suo primo partner commerciale. Cina che nel mentre sta rafforzando le sue relazioni economiche, energetiche e di difesa con i sauditi.

In secondo luogo, l’Iran sta attraversando una preoccupante crisi economica e, in questa fase, non può permettersi di continuare il braccio di ferro con Riad. Nel mese di marzo, la Banca centrale iraniana ha riportato un aumento del 6,6% dell'inflazione mensile e un tasso di inflazione annuo del 46,5%. Si stima che circa il 30% della popolazione viva in condizioni di assoluta povertà. La distensione con i sauditi è un passo fondamentale per garantire la stabilità nella regione e, di conseguenza, la sicurezza nazionale, soprattutto in questo periodo di vulnerabilità interna.

In terzo luogo, l’Iran deve mostrarsi capace di proseguire la sua agenda di politica estera, e porsi come un partner credibile nonostante le numerose faglie che si stanno aprendo all’interno, soprattutto nel (lacerato) rapporto tra stato e società. A causa della repressione violenta delle proteste scoppiate a settembre 2022, Nazioni Unite e Unione Europea hanno imposto ulteriori misure restrittive nei confronti di persone ed enti ritenuti responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Muoversi lungo i binari della diplomazia e del dialogo con i sauditi è un ulteriore strumento per spostare l’attenzione internazionale verso la politica estera iraniana e verso questo rinnovato impegno diplomatico volto alla stabilizzazione della regione.

In ultimo, e non di minore importanza, è utile guardare alla Cina, che ha mediato tra Iran e Arabia Saudita. Secondo l’agenzia di stampa iraniana Fars News, la mediazione della Cina tra Riad e Teheran confermerebbe il declino degli Stati Uniti nella regione. In aggiunta, “l’Arabia Saudita di oggi non è quella degli ultimi 10 anni”, titola il quotidiano iraniano Donya-e eqtesad, che sottolinea come Riad si stia spostando verso Oriente, ovvero verso il blocco economico e di sicurezza guidato dalla Cina. A confermare questa tendenza vi è anche la recente richiesta di Riad di aderire alla Shanghai Cooperation Organization (SCO) che vede, invece, la Repubblica Islamica inserita nel processo di diventare suo membro permanente. La riduzione delle tensioni con i sauditi e la convergenza di intenti nello “sguardo a est” potrebbero creare un ambiente maggiormente favorevole agli interessi nazionali iraniani, all’interno di una riconfigurazione delle dinamiche e degli equilibri della regione e non solo.

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