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Railway diplomacy: le ferrovie come binari delle relazioni internazionali

Come i collegamenti ferroviari possono incidere sulle relazioni tra i Paesi. L’analisi di Emanuele Rossi

Il Consiglio di cooperazione del Golfo ha da tempo pianificato un progetto ferroviario di collegamento tra i sei stati membri – Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Oman e Arabia Saudita – che va sotto il nome di “Gulf Railway” e ha come scopo quello di migliorare le relazioni economiche e creare una circolarità di connessioni nella regione. Ora si discute di un probabile allargamento con altri attori regionali esterni al Gcc. Il progetto è in parte simbolo di un rinnovato spirito unitario con cui si approccia la regione alle proprie dinamiche e a quelle che la interessano.

I collegamenti ferroviari sono in effetti legami fisici tra stati che – esattamente come i gasdotti – hanno la capacità di rafforzare le relazioni oppure complicarle. Un esempio: lo scartamento ferroviario russo diverso da quello “normale” occidentale (dunque europeo) è stato considerato tra le ragioni degli insuccessi della Germania nazista nella campagna verso Mosca – i binari diversi richiedevano trasbordi che hanno rallentato la logistica dell’offensiva rendendola inefficace.

E se adesso si parla di diplomazia dello sport, diplomazia del clima o delle nuove tecnologie, allora non è azzardato parlare di una diplomazia ferroviaria. Strumento cruciale per il trasferimento dei beni lungo le catene di approvvigionamento – che in questo periodo, per via della pandemia e della guerra russa in Ucraina hanno mostrato tutte le loro sensibilità – le ferrovie sono un vettore di prosperità reciproca, regionale e interregionale.

Che questo momento sia particolare lo dimostra proprio il rilancio del progetto pensato dal Golfo. In ballo dal 2001, è stato per anni abbandonato fino ad essere rivitalizzato nel 2021. Ossia dopo la riconciliazione di al Ula e durante la fase di slancio della ripresa post-pandemica. Tutto avviene in un periodo in cui quei Paesi hanno la necessità di cercare forme di stabilizzazione, nell’ottica di un equilibrio intra-regionale che possa fare da base alle ambizioni legittime (e legittimate dalle sempre maggiori capacità economiche) di giocare le proprie carte ai tavoli globali.

Il progetto approvato dal Gcc prevede due fasi. La prima, per un investimento da 15 miliardi di dollari, avrà estensione di oltre 2.200 km e collegherà Arabia Saudita, Oman ed Emirati Arabi Uniti. I piani esecutivi parlano di un’entrata in operatività entro il 2023, con Abu Dhabi che sta costantemente investendo per crearsi un ruolo di hub logistico regionale e che ha tutti gli interessi (strategici) di bruciare le tappe.

La seconda fase, che collegherà Arabia Saudita, Kuwait e Bahrein, dovrebbe essere completata entro il 2025. La Saudi Railway Company svilupperà la rete in Arabia Saudita, Etihad Rail negli Emirati Arabi Uniti, Oman Rail in Oman e Qatar Rail in Qatar.

Come accennato, l’obiettivo diplomatico ulteriore sta adesso nel non fermarsi a costruire un collegamento tra quelle sei nazioni, ma nell’agganciarvi anche altri Paesi della regione, per rafforzare partnership attraverso i binari. Un’idea recente è quella di inglobarvi il progetto iracheno di connessione Nord-Sud fino alla Turchia.

A febbraio 2021 il governo iracheno ha deciso di firmare un contratto da 2,62 miliardi di dollari con la sudcoreana Daewoo Engineering & Construction per la costruzione della prima fase del Grande Porto di Al Faw, nella provincia meridionale di Bassora, che sarà collegato alla capitale Baghdad per poi allungarsi fino al confine con la Turchia.

Gli Stati del Golfo si sono mostrati già piuttosto interessati a investimenti su questo genere di infrastrutture, e per Paesi come l’Iraq (o anche l’Egitto e la Turchia) questo diventa un benefit per spingere forme di crescita e sviluppo che da soli avrebbero difficoltà a concretizzare.

Queste opere sono anche frutto di una normalizzazione a livello di rapporti politici e diplomatici con cui si sono superate divisioni geopolitiche che da anni increspavano le acque del Mediterraneo allargato. Ora la regione cerca forme di sviluppo sfruttando la distensione in atto e prova a giocare un ruolo internazionale anche facendosi snodo dei collegamenti est-ovest.

Queste linee ferroviarie sono infatti anche parte della volontà di posizionarsi tra le rotte dell’infrastruttura geopolitica cinese Belt & Road Iniative in un modo del tutto simile all’idea emiratina di agganciarvi in futuro la sua “collana di porti” – e non a caso a maggio 2023 il National Exhibition Centre di Abu Dhabi ospiterà la conferenza “The regional rail show for innovation, technology and strategy”.

Se la Gulf Railway sarà collegata anche alla Turchia, come recentemente annunciato da ambienti governativi di Ankara, allora quel progetto acquisirà un ulteriore valore nella funzione di ponte per lanciare le relazioni esterne della regione e collegare Europa e Cina. E in questo i turchi hanno da tempo fiutato spazi e possibilità. La ITI Train, che collega Istanbul, Teheran e Islamabad, è da anni uno dei vettori su cui si muove la Economic Cooperation Organization (nonostante un problema di scartamento ferroviario tra Iran e Pakistan a Zahedan).

La Baku-Tbilisi-Kars (BTK), altro esempio, è una forma fisica di collegamento tra tre nazioni – Azerbaigian, Georgia e Turchia – che hanno molto aumentato la cooperazione negli ultimi anni (effettivi visibili sul Nagorno-Karabakh, ma anche nell’incremento degli scambi reciproci). Qui vanno aggiunte le connessioni potenziali attraverso il Mar Nero che possono portare (per ora sul piano ideale) il Golfo a Danzica, città polacca dove l’Europa orientale si collega al Mar Baltico, tra gli sbocchi dell’iniziativa “Three Seas” – strategia in cui la geopolitica delle linee ferroviarie ha un ruolo centrale. Ossia, è potenziale la possibilità di portare questi collegamenti di diplomazia ferroviaria dal Golfo fino all’Europa. Un fattore da inserire nei presenti colloqui sulla nuova partnership strategica tra le due regioni.

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