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Paradossi demografici: chi saranno i padroni del futuro?

La riduzione dei tassi di natalità e mortalità sta modificando la struttura della società contemporanea. Il caso della Cina ne è un chiaro esempio. L’analisi di Guido Bolaffi

La demografia sta silenziosamente ma inesorabilmente cambiando i connotati della popolazione del Pianeta. Per la semplice ragione che il galoppante fenomeno della denatalità sommato a quello crescente della demortalità ne stanno alterando la storica struttura a piramide, visto che essa, a differenza dal passato, tende oggi a restringersi alla base (a causa del calo delle nascite) ed a gonfiarsi verso l’alto (a causa dell’allungamento degli anni di vita). Inoltre, il fatto che sulla Terra si nasca meno e, soprattutto, si muoia ancor meno rischia di compromettere il ricambio tra le generazioni. Secondo cui, in base ad una regola non dissimile da quella che governa la rotazione degli astri, a scadenza fissa le giovani leve, sempre più numerose, subentrano a quelle, sempre meno numerose, degli anziani. Ma a leggere i dati appare evidente che oggi non è così.

Basta vedere, da ultimo, quelli davvero allarmanti della Cina. Dove nel 2001 il numero delle nascite, a causa del loro trend negativo degli ultimi cinque anni, è stato pari a quello delle morti. Un’inversione epocale degli andamenti storici della sua popolazione segnalato dal National Bureau of Statistics di Pechino, che nel preoccupato comunicato diramato lo scorso 17 gennaio scriveva: “The number of births fell to 10.6 million in 2021, compared with 12 million the year before […] That was fewer even than the number in 1961, when the Great Leap Forward, Mao Zedong’s economy policy, resulted in widespread famine and death […] For the first time China’s population could soon begin to contract [and] the number of people who died in 2021 – 10.1 million – approached the number of those born”.

Parole che riportano alla mente le profetiche previsioni formulate anni addietro da Steven Lee Myers, Jin Wu e Claire Fu nell’articolo China’s Looming Crisis: A Shrinking Population: “Chinese academics recently delivered a stark warning to the country’s leader: China is facing its most precipitous decline in population in decades, setting the stage for potential demographic, economic and even political crises in the near future […] A decline in the birth rate and an increase in life expectancy means there will soon be too few young people able to support an enormous and aging population […] With fewer workers in the future, government could struggle to pay for a population that is growing older and living longer […] A decline in the working-age population could also slow consumer spending and thus have an impact on the economy in China and beyond”.

Il caso della Cina è forse ancor più eclatante di quello, analizzato in un precedente articolo, dell’India. La verità è che, a partire dalla fine del ‘900 ed i primi del 2000, quella che gli studiosi della materia definiscono come seconda transizione demografica (declino sia della natalità che, soprattutto, della mortalità) si è estesa dai paesi del Nord del Pianeta a quelli del Sud. Dando luogo – nonostante la rilevante differenza tra i cosiddetti “emergenti” dove le nascite sono pari o inferiori ai due figli per donna e quelli “a sviluppo minimo”, maggioritari nell’Africa subsahariana, dove le nascite continuano ad essere sostenute – ad un rallentamento del tasso di fecondità globale. E, in parallelo, ad un incremento globale del numero degli anziani (dai 65 anni in su) che, dopo aver superato nel 2018 quello dei bambini al di sotto dei cinque anni, si stima che a metà del secolo supererà anche quello dei giovani tra i 15 e i 24 anni.

Anni addietro, Philip Longman nel saggio The Population Implosion: How will aging population change our future? faceva notare che i “Fertility rates are falling faster in Middle East than anywhere else on earth, and as a result, the region’s population is aging at an unprecedented rate. It took the United States 50 years to go from a median age of 30 to today’s 35. By contrast, during the first fifty years of the twenty-first century Algeria will increase its median age from 21.7 to 40. China’s low fertility has put the country on a course in which its median age will be soon far older than that of United States […] India’s sudden drop in fertility means that its population will be aging three times faster than will the U.S. population over the next half century. By 2050 the median age in India is expected to be 37.9 making its population older than that of United States today”.

Dunque, se i dati dicono il vero, il mondo è oggi chiamato a dare risposta ad un vero e proprio paradosso demografico, e cioè sfamare con un mercato del lavoro in cui diminuiscono le nuove leve un numero comunque crescente di bocche, visto che il crollo delle nascite frenerà (forse) solo alla fine del secolo l’aumento degli abitanti del Pianeta. E dare risposta ai bisogni non solo materiali (la sanità tra tutti) ma anche socio-culturali e politici di centinaia di milioni di nuovi anziani, che abbagliati dal miraggio di una quasi eternità saranno poco disposti a lasciare a figli e nipoti le leve del potere da loro saldamente tenuto. Donde la domanda: saranno gli anziani e non i giovani i padroni del futuro? In attesa di trovare la risposta vale forse la pena riportare quanto affermato da Ivan Krastev nella conferenza tenuta lo scorso ottobre al Collége de France sul tema Democracy, Demography and the East-West Divide: “Demography is not a destiny but demographic change shapes political power like water shapes rock. Democracy is a number game. When numbers change, power changes hands. The democratic narrative insists that power changes hands because voters change their minds. But in reality, power may also change hands when the population changes”.

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